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«I narcisi del non voto», di Beppe Sebaste

A ogni scadenza elettorale, anche se magari non sono mai gli stessi, incontro amici e conoscenti che dicono che stavolta non voteranno.

Non sono come gli ignavi di Dante, tormentati nel vestibolo dell’Inferno perché, già rifiutati dal Cielo, sono sgraditi anche a Satana, non avendo avuto neanche il coraggio di peccare. C’è chi è deluso (e chi non lo è?), c’è chi protesta per punire i partiti (ma punire chi?). C’è chi si sente ormai al di sopra della mischia, chi ostenta un’idea della coerenza e della purezza morale e politica che non ha niente a che vedere né con la coerenza, né con la morale, né con la politica. Tutti hanno invece molto a che vedere con una patologia dilagante: il narcisismo.

Il narcisismo di chi vuole astenersi dal voto si ammanta infatti della pretesa di identificarsi totalmente nell’atto del voto, di specchiare se stessi nella crocetta apposta sul simbolo elettorale, come se esistesse un simbolo o un partito capace di riflettere la complessità di sentimenti, aspirazioni e idee politiche di cui ognuno è portatore (consapevolmente o no).

A chi ha questa assurda, ingenua pretesa, ricordo che il voto è un atto pragmatico che non esaurisce la politica che conta davvero, quella che ogni santo giorno ogni persona conduce in ciò che fa e che non fa – beninteso anche dopo le elezioni. Nessuna cabina elettorale può legittimamente contenere questo universo. Il narcisismo dell’illusoria coerenza di chi si astiene esprime invece un invadente egocentrismo che non conosce empatia né alterità, come lo specchio. Non conosce politica, pur essendone parte. Una volta anch’io dichiarai di non avere votato per protesta. Naturalmente era falso (avevo votato Pci), ma dire è fare, contano gli effetti di ciò che si enuncia. Era un messaggio politicamente interpretabile.

Ma il non voto, scheda bianca o nulla, è un anonimo spreco che cancella ogni intenzione e va a vantaggio aritmetico dei partiti, anche quelli più avversi. Votare è un atto pragmatico che accade una volta ogni qualche anno. Non ho mai pensato che esaurisse le mie idee e emozioni, i miei orizzonti personali e collettivi. Non ho mai preteso che riflettesse più di tanto i miei sentimenti. Se voto Veltroni lo scelgo come interlocutore di un dialogo, fosse anche conflittuale. Votare significa poi contribuire a scegliere una serie di effetti irreversibili, a volte devastanti. Se si pensa che per una manciata di voti il petroliere Bush Jr. ha prevalso sull’ecologista Al Gore, e ha fatto così la catastrofica guerra all’Iraq allevando generazioni di terroristi islamici, il contributo individuale alle elezioni assume una responsabilità da brividi.

Scrivo queste frasi il giorno in cui appaiono dichiarazioni sconvolgenti di Bossi, Berlusconi e del suo delfino Dell’Utri. Se vincono loro, dice quest’ultimo, cambieranno i libri di Storia delle scuole per cancellare la Resistenza antifascista (lui la dice con la erre minuscola, per disprezzo); e che il mafioso Mangano, già stalliere di Arcore, fu un eroe, perché è morto in galera senza aver fatto mai il nome di Berlusconi. Ecco, le elezioni possono verosimilmente mandare al governo queste persone.

Cari astensionisti, se davvero vi sentite neutrali di fronte a questa concreta eventualità, allora avete già scelto, e il mio voto sarà anche contro di voi.

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