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“Di Robin Hood non c’è traccia, vincono sempre i ricchi”, di Alfredo Recanatesi

È sera, il Consiglio dei ministri è finito, ma di Robin Hood non ci sono tracce. Non ci sono tracce di una politica volta ad invertire le sperequazioni nella distribuzione del reddito, quindi ad alleviare la condizione di quelle fasce di popolazione il cui livello di vita continua ad essere eroso dal rincaro dei generi di prima necessità a fronte di una remunerazione del lavoro sostanzialmente stagnante.

Altro che Robin Hood! Il grosso della manovra annunciata ieri da Tremonti consiste nel taglio – anzi, nell’ulteriore taglio – delle risorse degli enti locali che solo qualche illuso può escludere che non vengano così costretti o a calcare (ulteriormente) la mano fiscale nella imposizione di loro competenza, o, soprattutto, a tagliare (ulteriormente) servizi alla cittadinanza. E non è previsione azzardata pronosticare che a pagare questa reazione di Comuni e Regioni saranno ancora una volta le categorie più deboli. Poi c’è, tra le novità dell’ultim’ora, oltre ai già annunciati e corposi tagli alla sanità, la reintroduzione dei ticket: ritorneranno dall’anno prossimo; e così, dopo aver denunciato e documentato inefficienze e sprechi, invece di misure per contenerli, il governo non ha trovato di meglio che misure di natura esclusivamente finanziaria che riducono l’impegno dello Stato ed accrescono il prelievo da chi ha necessità di assistenza. Anche in questo vaso, la individuazione di chi risentirà maggiormente della presumibile riduzione del servizio, e di chi si troverà a dover maggiormente sostenere il certo aumento del prelievo, è cosa che chiunque può comprendere da sé.

Sul cavallo di battaglia di questa manovra, quello sul quale il ministro dell’economia aveva maggiormente puntato per testimoniare la sua inventiva e dimostrare il suo impegno “di togliere ai ricchi per dare ai poveri”, nulla è emerso che ci induca a rivedere lo scetticismo col quale ne apprendemmo le prime ipotesi. Detto in sintesi: se banche ed aziende petrolifere hanno conseguito cosiddetti extra-profitti, vuol dire che nei due settori di attività c’è scarsa o nulla concorrenza. Ma se è così, cosa può portare ad escludere che i maggiori oneri fiscali ora introdotti non vengano recuperati trasferendone il costo sui prezzi? In altre parole: cosa esclude che, anche approfittando della grande mobilità dei prezzi dei carburanti e dei tassi di interesse, consumatori ed utenti finiscano per essere i pagatori finali di quegli aggravi fiscali? Infine, lo sviluppo. Era stato annunciato che la manovra avrebbe dovuto comprendere anche misure per sostenere la crescita dell’economia, ma di queste, come di Robin Hood, non c’è traccia. A meno di non voler far passare come sostegno all’economia la detassazione di alcune plusvalenze reinvestite; un genere di misure, questo, che ha sempre fallito lo scopo in quanto le motivazioni fiscali sono solo una piccola parte di quelle che spiegano la scarsa propensione ad investire del sistema produttivo. Per converso, hanno sempre offerto qualche maglia larga – e questa non sembra da meno – per poter essere usate come misure elusive della tassazione di guadagni milionari.

Concludendo, la linea di politica economica e fiscale è quella originata con la abolizione dell’Ici sulle abitazioni di fascia più elevata. Ora, ovviamente, la manovra è più articolata, ma il suo senso, al dilà della propaganda, non cambia: il bilancio è negativo per chi se la passa peggio, mentre quello per chi se la passa meglio è positivo o, nella peggiore delle ipotesi, non cambia. Non è, questa, una questione solo di politica economica, ma di politica tout court.

Gli squilibri nella distribuzione del reddito, quando arrivano ad essere i più accentuati d’Europa raggiungendo livelli paragonabili a quelli degli Stati Uniti, non determinano solo una contrazione della domanda interna, precludendo così la gran parte del sostegno allo sviluppo delle attività produttive; determinano anche un logoramento del tessuto sociale con inquietudini e risentimenti, un affievolimento del senso di appartenenza ai diversi livelli di comunità, tendenze a rifugiarsi negli egoismi personali, familiari, locali, di categoria: una vera e propria regressione civile della quale, per altro, tutti leggendo i giornali o, più semplicemente, guardandoci intorno possiamo avere percezione. Il mondo della competizione globale già va in questa direzione. Facendo parte di questo mondo, anche noi vi siamo spinti. Ma sarebbe già qualcosa se, poi, non ci mettessimo del nostro, come con queste misure destinate nel loro insieme – e non è la prima volta – a rendere più poveri i poveri, e più ricchi i ricchi. Altro che Robin Hood!
L’Unità 19.06.2008

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