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“Una democrazia più forte”, di Walter Veltroni

Pubblichiamo il testo integrale della lettera inviata dal segretario del Partito Democratico Walter Veltroni al Corriere della Sera.

Caro direttore,

nel suo editoriale di ieri Pierluigi Battista descrive la preoccupazione e l’allarme che avevo manifestato nell’intervista al Corriere della Sera di domenica come una «vecchia narrazione», come la ripresa di uno scontro muro contro muro in cui viene messa in forse la legittimità democratica dell’avversario. Credo che questa analisi non sia corretta, per due motivi che proverò a spiegare.

Il primo riguarda il rapporto impostato dalla maggioranza e da Berlusconi per primo con l’opposizione, il secondo la natura e la portata del ragionamento sui rischi di un impoverimento della democrazia che ho avviato ormai da tempo, che era al centro del mio discorso al Lingotto e poi a Sinalunga e dell’intervista al suo giornale.
Ha certamente ragione Battista a dire che attorno al tema del rapporto maggioranza- opposizione c’è stato un «gigantesco equivoco»: quello che i giornali hanno stucchevolmente chiamato dialogo, ovvero il confronto con il governo sulle riforme istituzionali necessarie al Paese, è diventato una «autocensura moderata dell’opposizione, la sordina sulle critiche anche veementi all’azione di governo ». Uno schema impossibile e irrealistico, prima di tutto per la vita stessa della democrazia, che però è stato adottato per primo proprio da Berlusconi, che è sembrato aspettarsi una opposizione non dialogante ma inesistente. In cinque mesi di vita il Parlamento è stato chiamato a ratificare una lunga serie di provvedimenti, tutti o quasi decreti legge, tutti o quasi votati sull’onda della fiducia. Male sui contenuti (che si tratti di scuola o di sicurezza, di giustizia o di conti pubblici), male nel metodo che è poi sostanza democratica. Su questo insieme a Casini ho inviato una lettera al presidente della Camera per sottolineare come il Parlamento fosse messo nella condizione di non discutere nulla e sostanzialmente espropriato.
Su tutto questo, sui concreti contenuti dei provvedimenti del governo Berlusconi e sui rischi di una vera decadenza della democrazia, il Pd ha promosso la sua manifestazione del 25 ottobre a Roma. È, questa, una delegittimazione dell’ avversario? Potrei ribattere ricordando come il 2 dicembre del 2006, parlando su un palco in cui campeggiava la scritta «Contro il regime, per la libertà», Silvio Berlusconi affermava di rappresentare la maggioranza dell’Italia in lotta contro l’oppressione «imposta da un governo di minoranza».

Ma non voglio andare così indietro per comprendere chi davvero è abituato a mettere in discussione la legittimità democratica dell’avversario. Mi limito a partire dallo scorso giugno: mentre alle Camere arrivava la norma blocca-processi i magistrati erano definiti metastasi della democrazia e il leader dell’opposizione diventava un «fallito» che dovrebbe «ritirarsi dalla politica». Ed è di qualche giorno fa, nel pieno della trattativa Alitalia, la battuta insultante di un «Veltroni inesistente », spesa per conquistare titoloni sui giornali e smentita solo giorni più tardi. In mezzo, un mare di insulti di tutti gli uomini del Pdl. Chi, se non Berlusconi, ha definito la giudice Gandus suo «nemico politico»? Chi minaccia la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sul lodo Alfano? Chi parla del governo come di un «consiglio d’amministrazione »? Chi durante una trattativa offende il sindacato con i suoi prendere o lasciare e si esprime nei confronti di una forza dell’opposizione come l’Idv definendola nemica della democrazia e della libertà? Una litania, questa sì, delegittimante per l’opposizione e per le istituzioni.

È per tutto questo che ho sottolineato quanto sia grande la differenza tra governare
pro tempore, come avviene in democrazia, e invece sentirsi «al potere». E a proposito di narrazione, quando Berlusconi dopo essersi dichiarato disposto al confronto sulle riforme strappa la tela di ogni possibile convergenza e riprende come sempre ad aggredire ed insultare i suoi avversari non ripropone, questa sì, la narrazione antica di cui gli italiani si sono stancati?
Peraltro le mie riflessioni di domenica, sulle quali più del 70% dei lettori del Corriere.it si è dichiarato d’accordo, erano un tentativo di portare lo sguardo un po’ più in là rispetto a quanto sta avvenendo nel nostro Paese e alle polemiche contingenti. Non ho interesse, e non ne ho nemmeno la presunzione, ad ascrivere nessuno nella categoria dei «nemici ontologici» della democrazia. A preoccuparmi sono quegli stessi fenomeni di fondo che attraversano le società occidentali e che ovunque richiamano l’attenzione di tanti commentatori e uomini politici. Basti pensare a come in Francia una rivista cattolica del prestigio di Esprit abbia dedicato un intero numero agli attuali rischi di «regressione democratica », alla possibile fine della democrazia come la conosciamo in Occidente.

A preoccuparmi è questo, è una realtà che si sta incaricandodi dimostrare che nel mondo il mercato può esistere anche senza democrazia o in presenza di democrazie deboli. È la realtà di una diffusa crisi democratica, di pericolose pulsioni xenofobe e razziste che ormai trovano aperta espressione e rappresentanza politica, come il voto austriaco ha appena dimostrato. È la realtà di un generalizzato bisogno di decisione che si manifesta con un insieme di semplificazione mediatica dei problemi, di fastidio per ogni complessità, di richiamo alle paure più profonde delle persone, di tendenze all’investitura plebiscitaria della leadership, di scavalcamento o marginalizzazione delle istituzioni, di noncuranza per la patologica concentrazione del potere, di irrisoria facilità nell’oscillare tra il ruolo di profeti della deregulation e quello di paladini dell’intervento dello Stato. Di tutti questi fenomeni il nostro Paese, anche per l’evidente propensione del Presidente del Consiglio ad esserne l’incarnazione, è purtroppo un evidente esempio.

Non vecchie narrazioni e residui del passato, insomma. Noi siamo l’opposizione dell’innovazione e della democrazia che decide. Abbiamo la preoccupazione per la complessità dei problemi presenti e sentiamo la responsabilità di cercare risposte nuove per difendere e rafforzare la nostra democrazia, per rendere il nostro Paese più moderno.