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“Tre scialuppe contro il naufragio”, di Stefano Fassina

Dietro la crisi della finanza, c’è la crisi dell’economia reale. L’occupazione, i redditi dei lavoratori e dei pensionati, i consumi delle famiglie, gli investimenti delle imprese sono al centro della tempesta. Una tempesta scatenata dalle difficoltà delle persone in carne ed ossa, non dall’impazzimento della borsa globale, aperta 24 ore su 24 da Tokyo a New York, via Shanghai, Hong Kong, Mosca, Londra, Parigi, Milano, Rio de Janeiro, Città del Messico. Come è accaduto tutto questo?

Il motore truccato dalla finanza ha incominciato ad incepparsi quando la Federal Reserve, seguita inevitabilmente dalle altre banche centrali dell’occidente, a partire dalla fine del 2005, è stata costretta ad innalzare i tassi di interesse a causa dell’insostenibile livello raggiunto dal debito estero degli Stati Uniti. Aumenti delle rate per mutui e carte di credito, quindi. Poi, l’impennata dei prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari ha ulteriormente morso i bilanci delle famiglie. Non a caso la scintilla dell’incendio della foresta è stata prodotta dai mutui subprime, i prestiti ad elevatissimi tassi variabili dati alle famiglie messe peggio in termini di livello e stabilità di reddito da lavoro.

Dall’economia reale alla finanza. E ritorno. Le difficoltà delle banche hanno colpito le imprese, in particolare le micro, piccole e medie. «La stretta creditizia è una certezza. La liquidità scarseggia anche per motivi psicologici: gli intermediari non si fidano l’uno dell’altro. Le banche stanno chiedendo il rientro parziale a tutte le aziende, piccole, medie e grandi. L’impressione che ho è che in media ci sia una riduzione degli affidamenti del 30%» (Attilio Tranquilli, consigliere Finanza e Fisco Unione Industriali di Roma, Il Sole 24 ore, 8 ottobre). Il razionamento del credito alle imprese determina la riduzione degli investimenti, dell’occupazione, del reddito da lavoro, dei consumi, della domanda per le imprese e l’aumento dell’insolvenza verso le banche creditrici e, il cerchio si chiude, l’ulteriore razionamento del credito. È un circolo vizioso, soffocante per l’economia reale. Un circolo vizioso da spezzare al più presto.

Come? Con iniziative, in primo luogo, globali ed europee. E speriamo che a Washington il G7, integrato dalle economie emergenti, decida di intervenire direttamente sull’economia reale. Ma sono necessarie anche con misure specifiche per l’Italia. Tre sono urgenti.
La prima, a costo zero per lo Stato, dovrebbe portare ad ampliare e rafforzare gli strumenti esistenti di garanzia del credito bancario alle micro, piccole e medie imprese.

Non basta affidarsi alle maggiori risorse attribuite alla Banca Europea per gli Investimenti (Bei) dal Consiglio Ecofin del 7 Ottobre scorso. L’Italia ha una specificità in Europa per l’elevatissimo numero di micro imprese (95% del totale). Il Governo italiano dovrebbe decidere, qui ed ora, un intervento supplementare. La fonte principale per realizzare l’intervento potrebbe essere il patrimonio delle fondazioni di origine bancaria. Tali fondazioni dovrebbero, in via temporanea, rendere disponibile alle “loro” banche una piccola porzione del loro ingente patrimonio al fine di garantire a micro, piccole e medie imprese accesso al credito. Quale migliore occasione per le fondazioni di origine bancaria per raggiungere gli scopi statutari e sostenere i territori di riferimento?

La seconda misura, sempre a costo zero per il bilancio pubblico, è rivolta alle famiglie al fine di riportare a livelli sopportabili il costo dei mutui a tasso variabile. È stata lanciata un paio di giorni fa da Bini-Smaghi, componente del comitato esecutivo della Banca Centrale Europea: «È necessario, per via legislativa o attraverso accordi privati, legare il tasso sui mutui al tasso di riferimento della Bce, piuttosto che all’Euribor». Dopo la rivoluzione operata dalla Bce nel rifinanziamento delle banche (illimitato al 3,75%), non c’è ragione per rinviare l’applicazione della misura suggerita da Bini-Smaghi. Se la proposta fosse accolta, vorrebbe dire una riduzione di quasi un paio di punti percentuali del tasso variabile sui mutui, quindi un risparmio medio di 2000 euro all’anno!
Infine, la terza misura che riguarda i redditi da lavoro e da pensione.

Siamo in recessione in Italia ed in Europa e ci rimarremo a lungo se non decidiamo in fretta un intervento di sostegno ai redditi. L’Unione Europea è un’area di 450 milioni di consumatori e di milioni di imprese. Dobbiamo esportare a noi stessi. Le politiche di bilancio devono tornare in campo. Di fatto, stanno tornando in campo, ma in modo non coordinato, surrettizio (si veda la decisione della Francia di rinviare la scadenza per il pareggio di bilancio). E, così, perdono efficacia. Il comunicato finale dell’Ecofin indica che: «possono essere adottate misure circoscritte e temporanee, in particolare nei confronti di quanti sono maggiormente colpiti dall’attuale fase economica».

Allora, il Governo porti in Europa la proposta avanzata alla Conferenza economica del Pd, lunedì scorso a Roma: riduzione, per un biennio, delle imposte sui redditi da lavoro e da pensione per 0,5 punti percentuali di Pil in tutti e 27 i paesi membri o, almeno, nei Paesi Ecofin. Realizzata contestualmente avrebbe effetti moltiplicativi significativi, dato il livello di integrazione tra le economie europee. La temporaneità dell’intervento non comprometterebbe gli obiettivi di bilancio di medio periodo.

La proposta del Pd non è alternativa ad altre ipotesi orientate a sostenere la spesa in conto capitale (ad esempio, attraverso gli Eurobond suggeriti da Delors negli anni ‘90). Sono da perseguire. Ma, non hanno alcuna possibilità di produrre effetti nel breve periodo. L’insistenza del nostro ministro dell’Economia, giovedì alla Camera, sulla sua idea di affidare alla Bei risorse per spese per investimenti ha tempi incompatibili con l’esigenza di una risposta anticiclica (siamo «all’avvio dello studio di fattibilità»). Arriveremmo troppo tardi. Invece, una decisione Ecofin o dell’Eurogruppo a favore di una politica fiscale di sostegno ai redditi sarebbe di efficacia immediata.

Se non fosse possibile una politica di bilancio europea, il Governo attui la proposta in Italia. Il risanamento ereditato dal Governo Prodi è solido, il comunicato Ecofin lo consente e gli obiettivi di bilancio saltano senza un minimo di tenuta dell’economia reale.
Nella difficilissima fase in atto, il Governo ascolti le opposizioni. Chiudere, come ha fatto ancora una volta ieri Berlusconi, è da irresponsabili. La destra italiana non perde occasione per dimostrare la sua anomalia e aggravare i rischi per il Paese.

L’Unità 11.10.08