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“Il caos sul caso Englaro. La volontà di quella donna” di Umberto Veronesi

Il caos regna sul caso Englaro, trasforma il dibattito in una guerra di parole. Eluana è viva o non è viva; i trattamenti sono cure o accanimento; l’esito della sua storia è una questione medica, giuridica o politica. Eppure ha parlato semplicemente e chiaramente Eluana: “Io non voglio esistere così”, diceva indicando il suo amico in coma vegetativo, riferendosi inequivocabilmente a quel corpo che stava davanti a lei, a come lo vedeva e lo percepiva, provandone terrore. Non ci sono giochi di parole: proprio quello ad ogni costo non voleva Eluana , e da lì dobbiamo ripartire, per non perderci nella “tragedia degli equivoci”.

La confusione è sempre una cattiva consigliera perché alla fine delle polemiche abbandona la gente alla sfiducia sconsolata nella capacità della società, attraverso le sue istituzioni, di aiutare i suoi cittadini proprio nelle situazioni più complesse e drammatiche, quando la collettività e i suoi servizi dovrebbero invece essere di sostegno e di incoraggiamento.

Occorre allora riconcentrarsi sul tema: la volontà di Eluana. Se qualcuno ha dei dubbi deve fermarsi lì: se effettivamente quella del rifiuto della vita vegetativa fosse davvero la scelta lucida della ragazza. Resta da vedere perché mai dovremmo mettere in dubbio il lavoro paziente e meticoloso dei nostri giudici che hanno ricostruito questa volontà, emettendo una sentenza che sapevano perfettamente sarebbe stata altamente impopolare. E perché mai un padre adorante verso la propria “bambina”, come dice Beppe Englaro, avrebbe dovuto battersi per anni per realizzare tale volontà, affrontando la gogna mediatica e la distruzione della sua vita personale?

A prescindere dalle considerazioni puramente umane, però, i dubbi sono legittimi perché non esiste purtroppo un documento firmato che riporti il pensiero di Eluana. Ma se invece siamo d’accordo che la volontà di Eluana è quella ricostruita dalla magistratura, allora la confusione su chi decide che cosa è subito dissipata. Decide Eluana e la sua decisione va rispettata. Se io scelgo che preferisco morire piuttosto che farmi amputare un arto, come è successo pochi anni fa nel caso della signora siciliana, nessuno può tagliarmi una gamba, esercitando una violenza che per me è tortura.
Su questo punto non si può transigere perché significherebbe accettare che nel nostro paese la società è autorizzata a perpetrare violenza nei confronti dei suoi cittadini. E questo non è vero né per la magistratura, né per la scienza , né per il Vaticano, né per la politica. Come ricorda Carlo Casonato, grande esperto di diritto costituzionale comparato e responsabile del Progetto Biodiritto “il diritto di disporre della propria vita esiste. E’ sancito dall’articolo 13 sulla libertà personale e dall’articolo 32 della Costituzione, secondo il quale nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario e anche dall’articolo 35 del Codice di Deontologia Medica che conferma che non è consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona.”.
Sappia quindi la gente che c’è un punto fermo : nessuno può violare questo diritto e c’è chi si impegna a farlo rispettare sempre e comunque nella sua sostanza. La confusione si crea piuttosto sulla forma e si alimenta delle definizioni e delle prese di posizione politiche e ideologiche. Sono mesi che dalle pagine dei giornali e dagli schermi di televisioni e computer ci ossessiona la figura di una donna nella dirompente bellezza dei suoi vent’anni: Eluana con il cappello nero, Eluana in tuta rossa fiammante sulla neve, Eluana che esce dalla doccia e ride. Eluana oggi non è quella delle foto. E’ una donna di quasi quarant’anni anni, senza sorriso, senza espressione negli occhi, senza vita di relazione, senza coscienza, senza controllo di un corpo, che è ormai un involucro in disfacimento. La sua vita meravigliosa si è spenta per sempre 16 anni fa.

La Repubblica, 18 dicembre 2008