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“Nessuno salva Onna dal fango. Interventi solo per le parate”, di Enrico Fierro

Non funziona nulla, i bagni sono inservibili. Piove da giorni ma da un po’ la Protezione civile si occupa solo degli allestimenti: prima per il premier e da oggi per la visita del Papa. E i terremotati?
Accolto come un santo. Il Santo della ricostruzione promessa. Quando Silvio Berlusconi esce da quello che fu il centro storico del paese simbolo del terremoto abruzzese, viene sommerso da un coro. «Silvio che Dio ti benedica». «Silvio aiutaci tu». «Sei grande, grande». E poi giu’ lacrime, mani che cercano quelle del premier, digitali che scattano. E lui, Silvio, che non si sottrae. Stringe e promette: «Faremo miracoli». Accarezza e assicura: «Tranquilli, seguirò tutto io personalmente». Consiglia: «Il sindaco ha trovato 1500 appartamenti sfitti, presto potrete avere una casa, per i mobili basta andare all’Ikea, si spende poco e vi fate un arredamento completo». Sei grande, Silvio. La piccola folla riunita per vedere l’uomo dei miracoli di dubbi non ne ha. Gli altri, quelli della tendopoli ne hanno tanti.
Da giorni a Onna si vive nel fango. I camion dei soccorsi sprofondano nelle strade ridotte ad una palude, la pioggia è il tormento di chi vive sotto una tenda, la fanghiglia l’ultima disperazione. Lavarsi come si deve e con quel minimo di intimità necessaria, un sogno. Ancora oggi, quando dal terremoto sono passati 19 giorni. «Le vedi quelle docce? Sono dell’Esercito, sono strette, sono buone per soldati di vent’anni, non certo per i vecchi, le donne e i bambini». Gianfranco Busilacchio è uno degli animatori della Onlus di Onna. Prima dell’arrivo del premier ha parlato dei problemi della tendopoli con Dario Franceschini che in mattinata ha visitato il borgo e deposto una corona d’alloro sul monumento della strage nazista del ’44. «Siamo montanari e non ci lamentiamo, ma le docce sono insufficienti, non garantiscono igiene e intimità. Ho visitato altri campi e lì hanno tutto. Da noi invece mancano le cose essenziali. La verità è che qui in molti stanno lavorando solo per organizzare le visite: Berlusconi, e poi il Papa. Guarda quel prato, vigili del fuoco, volontari e Protezione civile stanno dando l’anima per costruire una pista di atterraggio per gli elicotteri. Fanno tutto, ma dicono che i camion con le docce qui non possono passare che affondano nel fango. Sta per arrivare il caldo e non so cosa potrà succedere». Onna, paese simbolo con migliaia di riflettori accesi dal giorno del terremoto, visite di ministri e deputati, eppure mancano ancora le condizioni minime per tutelare almeno la dignità di queste persone così duramente colpite dalla tragedia. Fa rabbia, ancora di piu’, quando a poche centinaia di metri, lungo la strada che porta a l’Aquila, vedi prefabbricati modernissimi dotati di sportelli e postazioni internet. Sono quelli delle banche. Funzionano a pieno regime. Il bancomat innanzitutto!
Onna, paese del terremoto e della strage nazista di 65 anni fa. Diciassette morti, uccisi dai soldati del generale Hans Boelsen per vendicare il gesto di una ragazza semplice, Cristina Papolo, 16 anni, colpevole di essersi ribellata al furto di un cavallo. Silvio Berlusconi è qui per ricordare quel giorno e la Resistenza. E lo fa a modo suo. La Festa del 25 aprile è festa di tutti. E poi quei discorsi sull’equiparazione tra repubblichini di Salò e partigiani. Che non piacciono a quelli che qui, tra i monti dell’Abruzzo, cantarono «scarpe rotte eppur bisogna andar». Davanti al palchetto dove il premier pronuncia il suo discorso ci sono i partigiani della “Brigata Maiella”. Ascoltano, applaudono e donano a Berlusconi un fazzoletto tricolore con le insegne del loro gruppo. Ubaldo Grossi, uno di loro, apprezza ma non è convinto. «Guarda che anche sotto il fascismo c’erano le feste ed erano le feste di tutti. Poi sappiamo come è andata a finire. Berlusconi vuole equiparare i partigiani ai fascisti? Lui è alla guida di un governo di cui tutti conoscono l’orientamento, questo accostamento si commenta da solo».
I discorsi sono finiti, Berlusconi ha stretto mani e va via. I partigiani della “Maiella” depongono le bandiere e vanno a pranzo. Ci incontriamo in un ristorante che ha riaperto da poco. Tra un bicchiere di rosso e una bruschetta, Ennio Pantaleo (classe 1930 e fisico da eterno ragazzo), racconta la sua storia. Quella di un “imbroglione”, che falsificò la sua data di nascita per entrare nella “Brigata Maiella” e risalire l’Italia. Aveva «solo 14 anni» (è anche il titolo del suo libro di ricordi) e sparava. Ha liberato Bologna e ha risalito il Nord. «Cosa mi spinse? La rabbia e l’odio per quello che stavano facendo alla mia gente». Il primo atto di ribellione del ragazzaccio Ennio, fu quello di portare a casa dei genitori, contadini poveri, un ufficiale inglese. «Lo nascondemmo per mesi e con lui dividemmo il pane che non c’era». Parliamo, ci raccontiamo. A pochi metri da noi una tavolata imbandita. Gente in cravatta. Al centro un signore che ascolta i discorsi di uno con l’accento del Nord su prefabbricati, ditte che sono pronte. Cose della ricostruzione che verrà. «Non ti preoccupare – rassicura – quello lo conosco, il funzionario è amico mio. Possiamo vedere». Brindano. I vecchi partigiani, i “Lupi della Maiella”, mi salutano. Non hanno sentito i discorsi del tavolo accanto.
L’Unità 26.04.09