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“Brunetta bluff”, di Gianni Del Vecchio e Stefano Pitrelli

Ha vantato risultati clamorosi contro gli assenteisti. Ma ora si scopre che purtroppo non sono diminuiti. E che le statistiche riportavano soltanto i dati ottimistici. Mentre il ministro ha penalizzato soprattutto le donne.
I benefici effetti prodigiosi della ‘cura Brunetta’ per i fannulloni della nostra pubblica amministrazione sono il fiore all’occhiello di questo governo. Della sua terapia miracolosa, il ministro figlio di un venditore ambulante veneziano è riuscito a convincere tutti, dagli statistici agli stessi politici d’opposizione. Per la gente comune, grazie a lui l’impiegato lavativo è stato rimesso in riga. D’altronde come interpretare altrimenti il mirabolante meno 40 per cento di assenze per malattia propagandato a più riprese dal suo ministero? La realtà, però, è diversa dai fuochi d’artificio alla festa del Redentore. E poche coraggiose voci fuori dal coro fra gli statistici del nostro Paese sgonfiano quei numeri, ridimensionando l’ormai celebre effetto-Brunetta. Che si fonda su tre pilastri di cartapesta.

Il primo: l’analisi si limita agli enti che ci tengono a farsi belli della propria virtuosità (mentre gli asini se la battono). Il secondo: nei suoi conti mancano all’appello grossi pezzi dell’apparato statale – come l’istruzione e le forze di polizia – nonché ministeri o comuni importanti. Il terzo: le sue statistiche tagliate con l’accetta spesso finiscono col premiare chi non se lo merita e punire chi non ha colpa. Senza dimenticare che gli stessi dati del ministero iniziano a riconoscere che ‘l’onda’ si sta ritirando.
Che il travet non abbia più così paura degli strali di Brunetta, infatti, è proprio il suo ministero a raccontarcelo. La riduzione delle assenze per malattia registrata a settembre dello scorso anno, quando si era raggiunto il meno 44,6 per cento, è stato il picco dal quale poi non si è fatto altro che scendere. In modo graduale, ma inesorabile: meno 41 a novembre, meno 33 ad aprile, meno 27 a giugno, per finire con il meno 17 di luglio. Mai come in quest’ultimo mese ci sono state tante amministrazioni che hanno invertito la tendenza, col meno che si è andato trasformando in più. Al Comune di Napoli le assenze si sono impennate del 30 per cento, nonostante il fatto che a palazzo San Giacomo i dipendenti siano diminuiti. Anche l’altra grande città del Regno delle due Sicilie, Palermo, si distingue per la propria indifferenza al ministro-castigatore. Con una particolarità: fra gli uffici che hanno lavorato meno, negli ultimi quattro mesi dell’anno scorso, ci sono quelli addetti a raccogliere soldi per il Comune (servizio Tributi e Tarsu). Alla faccia della lotta all’evasione. Sempre stando ai numeri ministeriali, non è che a Nord se la passino meglio. A Parma, per esempio, chi lavora in Comune a luglio se l’è squagliata: più 32 per cento, rispetto allo zero di giugno e al meno 21 per cento di maggio. E il malcostume non cambia se ci spingiamo ancora in su, per fare tappa in un paesino brianzolo piuttosto noto: ad Arcore, dove il premier ha casa, le assenze sono salite del 27 per cento rispetto all’anno scorso. In barba al suo illustre e industrioso cittadino.
L’afflosciarsi dell’effetto Brunetta è però solo una parte di quello che il ministro non dice. Se oggi il fannullone italiano inizia a essere una specie protetta, non è solo merito suo (anche se lui se lo arroga tutto). Come dimostrano i dati della Ragioneria generale dello Stato, è già da fine 2004 che si verifica nella popolazione dei dipendenti pubblici una concreta diminuzione di chi si dà malato. Ovverosia già molto prima dell’era post Brunetta del pubblico impiego . Alla Provincia a Pisa lo sanno bene: dall’inizio del 2005 l’ente toscano è riuscito nell’impresa di abbassare del 20-30 per cento il tasso d’assenteismo. “Tutto quello che potevamo recuperare l’abbiamo recuperato, motivo per cui ora le assenze oscillano di mese in mese, seguendo cause fisiologiche come il tempo o i cicli influenzali”, dice il direttore generale Giuliano Palagi, non curandosi del più 17,5 per cento fatto segnare a luglio.

Al di là di questa ‘appropriazione indebita’, cosa più grave nel bluff mediatico del ministro-economista è la mancanza di attendibilità dei dati che diffonde ogni mese. “Le sue cifre aprono una finestra solo su una parte del panorama della nostra pubblica amministrazione: quella migliore”, fa notare Giulio Zanella, ricercatore all’Università di Siena e firma del sito di economisti noisefromamerika.org. Appellandosi alla collaborazione delle singole amministrazioni, il ministero infatti non pubblica tutti i numeri degli enti – né potrebbe – ma solo quelli inviati di loro spontanea volontà. Per capirci, è come se a scuola venissero interrogati solo i ragazzi che si offrono volontari: ai somari per cavarsela basta stare zitti. “Però in questo modo il campione non è rappresentativo, e i risultati tanto strombazzati non hanno alcun valore scientifico, perché inevitabilmente sovrastimano la realtà”, aggiunge Zanella. E non ha aiutato nemmeno “l’operazione di ‘pulitura’ dei dati fatta dall’Istat”, perché si è trattato, per l’appunto, solo di una pulitura. “Mi aspetto che i prossimi dati ufficiali della Ragioneria generale dello Stato, che rappresenteranno la prova del nove, ridimensionino quel 40 per cento di Brunetta”, conclude il ricercatore senese. Facendo piazza pulita della retorica politica.
L’Espresso 10.09.09