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Franceschini: “Il Pd sarà alleato con chi vuole mandare il premier a casa”, di Pietro Spataro

“Il Pd non è una parentesi per poi ricominciare daccapo come prima…». Dario Franceschini è segretario da sette mesi, ha preso sulle spalle la difficile eredità di Veltroni, ha guidato il partito nella bufera della sconfitta e ora cerca la riconferma. «Il nostro obiettivo – dice subito scandendo le parole – deve essere chiaro: fare un Pd che sia in grado di mandare a casa Berlusconi…».

Segretario, cominciamo dal premier che provoca imbarazzi internazionali: è davvero un uomo in declino?
«Non vedo più tracce di equilibrio in lui, è un uomo impaurito e nervoso. Credo che siamo in presenza di una forma di moderno autoritarismo e tutte le forme di autoritarismo, anche quelle mascherate, sono più pericolose nella fase del declino perché riservano colpi di coda».

Quindi il dopo Berlusconi è già cominciato?
«Riportiamo l’orologio indietro, alle europee. Tutti ci aspettavamo un Pdl sopra il 40% e il crollo del Pd. Ma questo non è avvenuto. Il dopo Berlusconi è cominciato lì. Attenzione, però: il percorso sarà lungo e doloroso. Per questo dobbiamo vigilare e fare più opposizione».

Fini è sotto tiro nella destra per avere criticato il capo. Il Pd deve fargli da sponda come dice Enrico Letta?
«Mi pare una posizione politologica. Siamo proprio messi male se parole di buonsenso espresse da chi ha un ruolo istituzionale diventano atti di eroismo civico».

A dire la verità non è che la vostra opposizione si veda così tanto. Il paese è in crisi e voi state lì a discutere…
«Sono mesi che denunciamo le omissioni del governo che nega la crisi e non prende alcuna misura per fronteggiarla. Sono mesi che presentiamo proposte che in aula vengono regolarmente bocciate. Ma al circuito comunicativo interessa poco. Fa più notizia la frase a effetto. Per questo il tema dell’informazione oggi è decisivo».

Per le nomine a Raitre perché si deve aspettare il congresso del Pd?
«Le scelte sulle persone le fa il Cda, il nostro congresso non c’entra nulla. Noi però dobbiamo fare di tutto per difendere gli spazi di libertà e Raitre è un importante spazio di libertà. Oggi l’informazione è a rischio, soprattutto per responsabilità di Berlusconi. C’è una parte della stampa condizionata dal conflitto di interessi e dobbiamo ripetere che è stato un grande errore non avere fatto la legge. L’altra parte viene intimidita. Per questo il 19 noi saremo in piazza per difendere la libertà di stampa».

Franceschini, per battere la destra servono buone alleanze. Con Di Pietro e la sinistra, oppure con l’Udc di Casini?
«Così è una domanda fuorviante. Dico che dobbiamo costruire un sistema di alleanze tenendo fermo un punto: che non si deve ridurre la capacità di espansione del Pd. Le nostre alleanze vanno cercate tutte nel campo alternativo alla destra. Se l’Udc si riconosce in questo campo l’allargamento si può fare. Però, sia chiaro: devono essere alleanze vere su programmi precisi. Le vecchie alleanze di venti partiti, frammentate e litigiose, non le vogliamo più vedere».

Nei momenti di confusione in Italia torna sempre il fantasma del grande centro. Lei che ne pensa?
«Io penso che la sfida del Pd è essere la casa dei riformisti, laici e cattolici. È sbagliato pensare che il rapporto con il mondo cattolico vada appaltato. Non abbiamo bisogno di costruire un soggetto al centro per parlare ai cattolici».

Però Rutelli ieri ha aperto a Casini e Fini, prefigurando quas una nuova forza di centro. Che ne dice?
«Dico che se ha proposto un allargamento all’Udc dell’alleanza per battere la destra, è quello su cui sta lavorando il Pd in alcune regioni italiane, per le elezioni del prossimo anno».

Bersani usa una parola chiave senza vergognarsi: sinistra. Qual è la sua parola chiave?
«Sinistra è una parola bellissima che mi appartiene. Vengo dalla sinistra dc, dall’esperienza di Zaccagnini e Moro. La sinistra è un pezzo della storia italiana piena di valori, lotte e conquiste e anche del presente. Ma fare un grande partito è avere dentro tante identità: la sinistra, il centro, i laici, i cattolici».

D’accordo, ma il Pd una propria identità dovrà pure avercela, non crede?
«La nostra sfida è fare delle diverse identità una ricchezza e non un problema. Altrimenti ognuno restava dove era prima, nei Ds e nella Margherita. Se devo usare una parola chiave dico: il Pd come grande forza progressista in cui si sono mescolate le storie. La cosa più bella me l’ha detta abbracciandomi un vecchio signore: “Sono l’ultimo segretario del Pci di Gallipoli ma voterò per te perché non mi interessa da dove vieni ma dove vuoi andare”».

I problemi del Pd nascono dagli errori di Veltroni?
«Le responsabilità sono di tutto il gruppo dirigente. Non si può fare che quando ci sono i meriti vanno divisi e quando ci sono responsabilità vanno addossate solo a uno. Ogni segretario nella nostra storia purtroppo ha avuto più problemi con il “fuoco amico” che con quello avversario. È ora di smetterla».

Dalle inchieste di Bari arrivano notizie poco edificanti per voi: c’è una questione morale anche nel Pd?
«È ingiusto trasformare alcuni episodi in un giudizio collettivo sulla classe dirigente del Pd che è fatta di gente onesta e seria e tantomeno utilizzarli nelle vicende congressuali. Detto questo, il Pd che ho in mente deve pretendere rigore, distinzione tra pubblico e privato e comportamenti coerenti. Al di là di ogni rilevanza penale».

Non crede che il vostro dibattito congressuale sia troppo chiuso nelle stanze?
«Vedo che la rappresentazione è questa. Poi però quando vado nelle feste o nei circoli trovo altro: voglia di fare, passione, iscritti e elettori mescolati. L’opposto di quel che leggo».

Perché ce l’ha tanto con quelli che “c’erano prima”? Le hanno fatto notare che quasi tutti quelli che c’erano prima sono con lei…
«Non ce l’ho con nessuno, non attacco nessuno. Penso solo che il nostro dovere è passare il testimone alle nuove generazioni. La saggezza di quelli che hanno più esperienza va messa al servizio di questa opera di innovazione. Ma non si tratta di un fatto anagrafico. Dobbiamo cambiare noi stessi. Io voglio un partito che faccia della chiarezza la sua cifra. Voglio dei sì e dei no. Quando a Napoli mi hanno chiesto della candidatura di Bassolino a sindaco potevo rispondere con il politichese. E invece ho risposto: no, è ora di cambiare. Ecco, basta con prudenze e ipocrisie».

Secondo lei c’è il rischio di una scissione nel Pd?
«No. Questo partito darà una grande prova di maturità. Il 25 ottobre uno di noi vincerà e gli altri, stia sicuro, lo sosterranno. Chiunque sia. Questa sarà la nostra forza».
L’Unità 13.09.09