attualità, partito democratico

Sospendere l’Auditel solo per l’informazione

Dario Franceschini replica all’articolo di Piero Ostellino apparso sul Corriere della Sera: necessario mettere il valore del pluralismo al riparo da criteri puramente contabili o commerciali.

Caro direttore,
leggo sul suo giornale un duro intervento di Piero Ostellino nei miei confronti, dedicato al tema del rapporto tra sinistra, potere ed egemonia culturale. Secondo Ostellino sarei un nemico della democrazia liberale! Lo dimostrerebbe un mio recente intervento, proprio sul Corriere della Sera. In un colloquio con Aldo Cazzullo, pubblicato l’11 settembre e dedicato al film documento Videocracy, secondo Ostellino avrei proposto l’abolizione dell’Auditel, meritandomi per questo una pesante rampogna come irriducibile nemico del mercato e delle sue regole, probabilmente a causa della mia militanza progressista e alla ineliminabile necessità, per chi sta a sinistra, di avere un nemico di classe con cui prendersela. Cosa che, data la storia politica da cui provengo, mi è parsa addirittura divertente.
Ostellino sostiene il suo attacco su una citazione delle mie parole, così riportate: «Sospendiamo le rilevazioni dell’Auditel (…) Il criterio della quantità a scapito della qualità trascina tutti verso il basso». Il problema è che la citazione, grazie a quei puntini tra virgolette, è incompleta e dunque fuorviante. Io ho detto testualmente: «Sospendiamo le rilevazioni Auditel per i programmi di informazione, dai telegiornali ai talk-show. Che senso ha misurare chi ha vinto la gara dei tg? Il criterio della quantità a scapito della qualità trascina tutti verso il basso». Come si vede la mia riflessione e la mia proposta sull’Auditel era circoscritta all’informazione. Alla sua qualità. Alla necessità di mettere il valore del pluralismo dell’informazione al riparo da criteri puramente contabili o commerciali. Perché ci sono notizie che occorre dare anche se non sono divertenti, anche se riguardano una minoranza, o se non producono ascolto. Tanto più se si tratta di servizio pubblico. E un pubblico servizio è anche quello che dal punto di vista informativo producono le reti commerciali. Tutto qui. Non mi sembrano affermazioni tali da urtare la suscettibilità di un antico liberale come Ostellino, al quale, credo — proprio in nome dei principi di libertà che così puntigliosamente evoca — starà a cuore come uno dei principi fondamentali in democrazia, il diritto di informare e di essere informati indipendentemente dagli incassi pubblicitari che una notizia produce. Cosa che non appare tanto scontata, alla luce di quanto sta accadendo in queste ore, come il suo giornale ieri con forza ha denunciato nell’editoriale di Paolo Conti.
Dario Franceschini

Non vedo cosa cambierebbe sospendere la rilevazione Auditel sui telegiornali. Penso anzi che sapere quale telegiornale sia più visto incrementi la concorrenza anche nel campo dell’informazione, la quale concorrenza produce sempre qualità rispetto al monopolio. (P.O.)
Il Corriere della Sera 16.09.09

******
Di seguito l’articolo di Piero Ostellino a cui fa riferimento Franceschini

Quando il nemico di classe è l’Auditel
Dice il segretario del Pd, Dario Franceschini: «Sospendiamo le rilevazioni dell’Auditel (…) il criterio della quantità a scapito della qualità trascina tutti verso il basso» (Corriere di venerdì). L’Auditel è il meccanismo che rileva quanti spettatori guardano ogni programma delle TV. Non giudica. Registra. E al servizio delle aziende che sanno, così, quali sono i programmi più visti e possono orientare i loro investimenti pubblicitari televisivi dove ritengono sia più conveniente. Attenzione: non è la dittatura «del» mercato; è la libertà «di» mercato, una delle libertà liberali; che è anche il diritto dei telespettatori di guardare brutti spettacoli e delle aziende di trasmetterci la propria pubbllcità. Ma al segretario del Pd non va giù. Si comporta come la strega della favola di Biancaneve quando chiedeva allo specchio chi fosse «la più bella del reame», se la prendeva con lo specchio perché rispondeva «Biancaneve» e cercava di avvelenarla. Già Marx mi si passi la metafora aveva proposto di sospendere l’Auditel dell’epoca, che nelle parole di Adam Smith (La ricchezza delle nozioni, 1776) aveva rilevato che non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio e del fornaio che deriviamo il nostro desinare, ma dal loro tornaconto, mentre lui, Marx, li avrebbe voluti disinteressati, Lenin sulla base delle convinzioni di Marx aveva addirittura avvelenato Biancaneve che, solo dopo la scomparsa del comunismo, la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la conversione al capitalismo delia Cina, è riuscita finalmente a guarire.
Franceschini teme la libertà perché la ritiene un pericolo per le virtù dei cittadini. E una mentalità da Stato etico. E, fin qui, passi: ciascuno ha il diritto di pensarla come crede e di dirlo. Ma, oltre a dire culturalmente una sciocchezza, egli vuole anche «avvelenare Biancane ve». Chiede la sospensione dell’Auditel perché non vuole si sappia quali sono le (cattive) preferenze dei telespettatori: che indurrebbero gll inserzionisti pubblicitari a orientarsi verso gliù spettacoli peggiori. I network televisivi sarebbero, a loro volta, spinti a produrre spettacoli sempre più «bassi», impedendo la nascita di una televisione «alta».
Ora, anche ammesso che ll teorema del segretario del Pd che condanna la libertà di scelta dei telespettatori e degli investitori pubblicitari sia corretto, sarebbe impossibile risolverlo se non con un intervento, in sede politica, che imponesse spettacoli migliori. Ma è possiblie in una società «aperta» impedire ai cittadini di guardare la tv che preferiscono, alle aziende di fare pubbllcità dove vogliono, alla politica di imporre alla società civile come divertirsi? La sinistra può essere politicamente crediblle, avendo una cultura improponibile?
Corriere della Sera 15.09.09