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“Caro Massimo non si minaccia l’ira degli iscritti”, intervista a Piero Fassino di Fabio Martini

Dopo tante perifrasi Luciano Violante lo dice senza ipocrisie: basta con le Primarie.
Fassino, se vince Bersani i gazebo vanno al macero?
«Viva la sincerità. Violante dice chiaramente ciò che molti “bersaniani” hanno ripetuto nei Circoli e che Bersani e Penati non hanno detto con altrettanta chiarezza. Ma se tanto mi dà tanto, questo significa che se prevalesse Bersani, questa è l’ultima volta che gli elettori partecipano all’elezione del leader Pd».
Le Primarie sono tutt’uno col progetto dei Pd? «Cancellarle sarebbe un grave errore. Oggi viviamo in una società più dinamica di prima, il rapporto con gli elettori non è più affidato ad una fede incrollabile. E poi perché noi dovremmo aver paura dei nostri elettori? Se tutte le volte che si sono fatte le primarie il numero dei partecipanti è stato superiore alle previsioniciò significa che gli elettori lo considerano uno strumento per dire la loro.
Lei li conosce quali ragioni portano Bersani e D’Alema a rifiutare un partito aperto agli elettori? «Una vecchia idea di partito.
Nel dopoguerra, ma ancora venti anni fa, un elettore iniziava a votare Dc o Pci e poi per tutta la vita confermava quel voto, anche se non era d’accordo su nulla. Era un atto di fede.
Oggi c’è una grande mobilità e per questo devi avere un rapporto più stringente con l’elettore.
Non basta più dire: dammi il voto e poi ci penso io».
Lei che nel Pci ha condiviso con D’Alema il culto dei legalitarismo, è stato sorpreso da quella sua frase: «In caso di vittoria di Franceschini, i dirigenti rispetteranno le regole, gli iscritti non so»? «Parole infelici. Un dirigente, tanto più quando è autorevole, non deve evocare, quasi in una forma di velata minaccia, forme di separazione, ma semmai impegnarsi in prima persona a contrastarle e a non assecondare atteggiamenti non dico scissionisti, ma di rifiuto di una decisione presa da milioni di persone».
Voi dite che non c’è corto circuito in un partito nel quale gli elettori possono decidere diversamente dagli iscritti, però dovreste ammetterlo: il prezzo per avere un partito aperto è che gli iscritti finiscono per essere cittadini dimezzati. Pagano le quote, ma come gli stranieri che pagano le tasse, poi non possono votare…
«Ma perché non possono votare? Gli iscritti non vengono diminuiti nei loro diritti: concorrono alle decisioni del partito, selezionano i candidati segretario e poi votano alle Primarie.
Io, da iscritto al Pd, non mi sento diminuito dal fatto che il 25 ottobre, assieme a me voteranno milioni di non iscritti: sono comunque elettori che hanno affidato le loro speranze al Pd e lo vogliono vincente. Andiamo alla sostanza: se Franceschini risultasse il più votato, che dovremmo dire? Vi dovete tenere un segretario anche se non vi riconoscete in lui? Dico di più: è indifferente che il segretario sia eletto da 2-3-400.000 persone o invece da 2-3-4 milioni di persone? Tanto più è la larga la base di legittimazione, tanto più il segretario del Pd sarà autorevole nella società».
Lo Statuto andrà rivisto in alcune parti? «Anche sulla base dell’esperienza del nostro, vero primo congresso lo Statuto andrà rivisitato. Ne siamo talmente consapevoli che la Convenzione nazionale ha istituito una commissione per la sua revisione».
Alla fine le Primarie chi le vince? «Hanno tutti e due le stesse chances. Franceschini è il Pd che va oltre le storie di ieri, Bersani ha tutte le qualità per fare il segretario, ma di storie ne evoca una sola».
La Stampa 13.10

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