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“Università, i rischi dell’autarchia”, di Luciano Modica

Dopo tre o quattro annunci in un anno ieri il progetto di riforma universitaria del ministro Gelmini è stato finalmente approvato dal governo.
Gelmini ha puntato in alto. Articoli e commi per oltre diecimila parole che toccano molti dei nervi scoperti del nostro sistema universitario: dalla governance degli atenei ai concorsi, dallo stato giuridico dei docenti al diritto allo studio e ai premi per il merito degli studenti.
Sarebbe auspicabile che il parlamento affrontasse con un dibattito molto attento questa gran messe di argomenti ma certo c’è da temere che i tempi di approvazione non saranno affatto rapidi. Anche perché il nervo più irritato di tutti, quello che riguarda le risorse finanziarie del sistema, è pudicamente sottaciuto. L’università italiana, la meno finanziata d’Europa secondo i dati Ocse, dovrà misurarsi tra due mesi con quel drastico taglio del 50% delle spese di funzionamento (al netto degli stipendi) che ha portato Francesco Giavazzi a prevedere che la maggior parte delle università chiuderà.
In questa situazione porre l’intero sistema universitario in fibrillazione riformatrice è rischioso oltre che ingiusto: «A costo zero si fa meno di zero» ha subito osservato Salvatore Settis.
Alcuni intenti di fondo sono più che condivisibili come anche alcune norme specifiche. È certamente positivo distinguere tra le procedure valutative da mettere in opera quando si vuole promuovere un docente internamente all’ateneo e quando invece si vuole reclutare dall’esterno un nuovo docente. Come è positivo introdurre il principio, mutuato dal programma Ideas dell’European Research Council, dei finanziamenti statali ai giovani ricercatori più brillanti utilizzabili in una sede universitaria a loro scelta.
Del resto ambedue queste norme sono presenti nel disegno di legge del Partito democratico presentato nel maggio scorso e la seconda faceva parte del programma di governo proposto da Veltroni per le elezioni politiche del 2008. Ma, in generale, la proposta governativa appare asfittica e autarchica.
Asfittica perché, come è ormai usuale nella nostra farraginosa legislazione di cattiva qualità tecnica e politica, il testo, in perfetto burocratese, è soffocato da una quantità ossessiva di condizioni e di parametri numerici che sembrano dare una parvenza di oggettività ma invece diffondono deresponsabilizzazione decisionale e finta omogeneità, dando la stura ai comportamenti elusivi tipici, in particolare, del mondo accademico.
Testi di tal fatta sono talora umoristici se non fossero avvilenti.
Un capolavoro dell’assurdo, alla Ionesco, ha scritto Davide Rondoni.
Autarchica perché sembra non accorgersi che nelle università di tutto il mondo sviluppato le frontiere sono cadute. Per sviluppare le nuove ricerche, per gestire gli atenei, per sperimentare nuove forme didattiche, per giudicare il valore scientifico dei singoli ricercatori vengono chiamate le persone più adatte ed esperte, indipendentemente dalla loro nazionalità.
Invece da noi si fa tutto in casa.
Per valutare un curriculum di un candidato ad un posto di docente presso un’università, la legge Gelmini prevede che ci si rivolga a cinque professori della medesima università, senza nemmeno dar loro la possibilità di raccogliere il parere di luminari italiani o stranieri di altre università secondo le procedure standard a livello internazionale. La situazione diventa poi paradossale quando lo stesso disegno di legge prevede invece il ricorso ad esperti revisori italiani o stranieri solo per i concorsi a posizioni di ricercatore precario.
Asfittico e autarchico insieme è l’eccesso di attenzione all’approccio per discipline, di cui va segnalata la pericolosità culturale in un mondo in cui le nuove conoscenze più importanti e interessanti avvengono sempre ai confini interstiziali tra le discipline. Questo vale per i sempiterni settori scientifico- disciplinari ma anche per i dipartimenti, che la legge Gelmini vuole obbligatoriamente formati per affinità disciplinari e mai tematiche.
L’università dei nostri padri era in fondo più libera e più moderna di quella che ci si vorrebbe imporre.
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