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“Sì alla riforma della sanità. Prima vittoria di Obama”, di Umberto De Giovannangeli

La tensione si stempera in un sorriso radioso. Obama ha vinto la prima battaglia di una «guerra» epocale. Una «guerra» giusta che ha come posta in gioco il diritto alla salute per decine di milioni di americani.

Sorride Barack Obama, ed ha tutte le ragioni per farlo. È notte tarda a Washington (l’alba in Italia), quando la Camera dei Rappresentanti scrive una pagina storica nella vita degli Stati Uniti d’America: per la prima volta in decenni deputati americani hanno detto sì alla riforma del sistema sanitario.

LA DESTRA CONTRO
La Camera, in una rara seduta di sabato conclusasi a notte fonda, ha votato a favore della riforma fortemente voluta dal presidente Obama. Il testo è passato nonostante l’opposizione compatta di tutti i deputati repubblicani tranne uno, Ahn Joseph Cao, e di un certo numero di «blue dogs», deputati democratici moderati: 220 voti a favore, 200 i contrari. Il testo è passato anche grazie al compromesso sull’aborto trovato dalla speaker Nancy Pelosi, che prevede restrizioni ai finanziamenti pubblici per le interruzioni di gravidanza.
Affinché la riforma diventi legge, tuttavia, occorre che si esprima anche il Senato, dove la maggioranza democratica non è affatto data per scontata.
Nello stesso tempo, però, il sì della Camera rappresenta una vittoria politica di straordinaria portata per l’amministrazione Obama. Lo stesso presidente, infatti, nell’imminenza del voto si era recato la Congresso per esortare i deputati ad esprimersi a favore della riforma. E in una dichiarazione successiva aveva parlato di «momento storico» per gli Stati Uniti. Le stesse parole erano state usate dalla Speaker della Camera, Nancy Pelosi: «Oggi aveva detto – è una giornata storica per l’America. I nostri pensieri vanno al senatore Ted Kennedy, che era solito definire la riforma sanitaria come il grande lavoro incompiuto del nostro Paese». La riforma prevede la assistenza sanitaria nei confronti di 36 milioni di cittadini americani che attualmente non godono di alcuna copertura. Inoltre prevede in un arco di dieci anni di arrivare a coprire il 96% della popolazione, per un ammontare complessivo di 1.200 miliardi di dollari. Il testo introduce poi una serie di norme restrittive per le compagnie assicurative rispetto al sistema attuale.

COLPO ALLE ASSICURAZIONI PRIVATE
Non solo prevede di introdurre nel mercato la tanto contestata «public option», l’opzione pubblica voluta dal governo per «calmierare» il mercato, ma contiene regole nuove come per esempio l’obbligo da parte dei datori di lavoro di assicurare i loro dipendenti; oppure il divieto nei confronti delle compagnie di assicurazione di negare a clienti la copertura sulla base delle cosiddette «condizioni mediche preesistenti», oppure di alzare in misura significativa il prezzo delle polizze nei confronti delle persone più anziane. «Questa notte, con un voto storico, la Camera dei Deputati ha approvato un provvedimento che rende finalmente possibile la promessa di un’assistenza sanitaria di qualità per il popolo americano», ha commentato Obama in una dichiarazione diffusa dalla Casa Bianca. Il provvedimento approvato dalla Camera, denominato Affordable Health Care for America Act, secondo Obama «fornirà stabilità e sicurezza agli americani che hanno l’assicurazione, e opzioni possibili di qualità a coloro che non ce l’hanno, abbassando i costi». Inoltre «contribuirà sul lungo termine a ridurre il deficit». «Ora siamo a soli due passi dal portare a compimento la riforma sanitaria in America», ha proseguito Obama che si è detto «assolutamente fiducioso» che il provvedimento passerà anche in Senato.
A condividere con Obama questa vittoria è Nancy Pelosi: «Che notte – ha commentato la combattiva Speaker della Camera I miei colleghi ed io abbiamo appena ricevuto una telefonata del presidente Obama che si congratula per il passaggio della riforma. È un passo storico fatto nell’interesse di tutti gli americani».

L’Unità, 9 novembre 2009

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“Una vittoria di misura”, di Vittorio Zucconi

Stravolta ed esausta, come una maratoneta costretta a rifare il percorso dozzine di volte sotto il peso di un testo lungo 1.099 pagine, ma la prima legge per estendere l´assicurazione sanitaria a tutti i cittadini americani è finalmente stata approvata. L´ha votata per un soffio la Camera dei Rappresentanti.
Barack Obama ha avuto la sua prima vera vittoria politica dopo l´elezione e gli Stati Uniti si sono avvicinati al resto del mondo evoluto nel quale la sanità è un diritto civile e non un privilegio di chi la può pagare. Ma la maratona ricomincerà subito, sul monte Calvario del Senato che la deve sigillare e rendere applicabile.
Ancora lontanissima da quello che le nazioni europee, il Giappone e altri Stati evoluti considerano da generazioni normale e scontato, che tutti i cittadini abbiano diritto a cure mediche senza esclusione di censo e senza rischiare la bancarotta, la legge sulla riforma sanitaria votata venerdì sera nonostante le massicce defezioni del partito democratico che da 80 anni finge di volerla, cerca di integrare l´intervento della “mano pubblica” con gli interessi delle assicurazioni private. Si guarda bene dall´istituire quelle polizze di Stato offerte a chi non può permettersi le polizze commerciali, o dall´imitare l´ottimo sistema canadese del “pagatore singolo”, cioè lo Stato, che interviene se i privati si tirano indietro. La lobby delle assicurazioni, l´intero partito repubblicano (meno un solo deputato) e 39 democratici su 258 l´avrebbero considerato la opzione di Stato, “opzione” si noti, non obbligo, come la reincarnazione dello stalinismo con la carnagione scura dell´afroamericano Obama, in camice e stetoscopio.
Ma è quel proverbiale «primo passo» che nessuno, da Roosevelt a Harry Truman al naufragio del duo Bill e Hillary Clinton era mai riuscito a fare. Tra lo stupore incredulo del resto del mondo, e degli ammiratori dell´America, che si sono sempre chiesti come potesse la nazione più ricca del mondo, lo Stato che può buttare senza un gemito ormai quasi mille miliardi per due inconcludenti guerre fatte «per scelta ideologica» su false premesse in Iraq e quasi 700 miliardi all´anno per il proprio apparato militare, impuntarsi e recalcitrare generazione dopo generazione davanti al costo della guerra per proteggere i propri cittadini dall´infermità, come se anche questa non fosse una fondamentale «guerra di civiltà». Il prezzo della legge è calcolato poco sopra i mille miliardi di dollari, che sono molti, ma meno di quando lo stesso governo federale abbia riversato nelle casseforti delle grandi banche e finanziarie per salvarle, senza che i beneficiati gridassero al neo leninismo.
La legge che ora deve passare nel tritacarne del Senato, dove il partito di Obama ha in teoria 60 voti su 100 ma sta già perdendo i pezzi di quei senatori disponibili come il finto indipendente Joe Libermann che rappresenta lo stato del Connecticut con la massima concentrazione di interessi assicurativi, è una versione annacquata e diluita di quella promessa da Obama in campagna elettorale. Ma di fatto obbliga tutti ad avere una copertura assicurativa, mettendo chi non ce la farebbe, in condizioni di acquisirla a tariffe di favore o sovvenzionato. E in quell´obbligo sta il nocciolo delle proteste anti statalisti dei duri (e dei ben finanziati).
Non avrebbe ottenuto neppure quei 220 voti necessari al passaggio, se non avesse ridotto il ruolo della “mano pubblica” a quello di integratore e calmieratore delle polizze, non di pagatore, per chi non ha i fondi per le polizze o un lavoro che garantisca anche la salute. E se non avesse proibito l´uso di questa “integrazione” pubblica per pagare le procedure di aborto, mentre estende almeno alle coppie gay la copertura oggi data alle coppie eterosessuali. Dunque le donne con polizze private potranno ancora abortire. Le più povere, che dovrebbero ricorrere anche al danaro pubblico, non potranno, o dovranno arrangiarsi da sole, nel segno della profonda carità degli ultraconservatori cristianisti che impongono la maternità soltanto a chi non può pagarsi l´interruzione.
Ma anche se questa prima breccia nel muro delle lobby, che finora era stato sbrecciato soltanto dall´assistenza pubblica per gli anziani oltre i 65 anni e per i bambini con famiglie di reddito inferiore, risponde al classico monito del cancelliere tedesco Bismarck («se vi piacciono le leggi e le salsicce non guardate come sono prodotte») è, come ha detto un Obama sollevato, «un evento storico». Qualcosa che la sua amministrazione, e il riottoso partito percorso da correnti opposte e contrarie che porta le sue insegne, «hanno fatto e porteranno fino in fondo non perché sia facile, ma perché è difficile». Una formula ripresa direttamente dal famoso “discorso della Luna” fatto da John Kennedy, quando promise di raggiungere il nostro satellite, proprio perché l´impresa si annunciava difficile.
Di questa breve schiarita, nelle nubi di una situazione che lo avevano visto in difficoltà tra la delusione dei suoi devoti e la violenta aggressività dei suoi avversari, il presidente aveva disperato bisogno, dopo la amara giornata elettorale di martedì scorso e l´ha avuta. Ha vinto, per appena cinque voti di maggioranza in una Camera dove pure i Democratici hanno sulla carta 40 voti di margine sui Repubblicani, perché perdere sarebbe stata una ferita mortale per la presidenza e per la sua immagine.
Non erano soltanto i soldi e le lobby di Big Pharma delle multinazionali del farmaco o della grandi Assicuratrici, quelle società che fanno profitti negando ai pazienti cure e coperture nel caso siano portatori di patologie preesistenti e che, arbitrariamente, capricciosamente, negano – o lesinano – rimborsi per limitare le spese e gonfiare i profitti a danni di pazienti, medici, ospedali, a fare muro.
Introdurre, sia pure dalla finestrina che questa legge apre e che molti in Senato tenteranno di chiudere quando nelle prossime settimane dovrà superare quel calvario, comporta una rivoluzione piccola forse nei fatti, ma enorme nella storia culturale degli Stati Uniti. La salute, come ogni altro aspetto della vita individuale e collettiva, non è mai stata vista qui come un diritto, ma come un prodotto, al quale può accedere chi lo possa acquistare, come un´automobile, un frigorifero, una laurea. Trasformarla in un diritto, al quale anche per i 47 milioni che non potevano “acquistarlo”, escludendo per ora soltanto gli immigrati senza permesso di soggiorno o residenza (altra concessione), spiega perché i “nativisti”, i difensori della americanità pura, dura e crudele, ma anche quella che ha fatto dell´America ciò che è, si oppongano con unghie e con denti.
In questo, Barack Obama, politico e presidente del tutto equilibrato e noi diremmo “centrista” nell´azione, quanto suona radicale nella retorica, appare come la nuova minaccia “socialista” e deve faticare per far capire che negare la chemioterapia a una donna afflitta da un tumore al seno recidivo, come fu per sua madre morta senza assistenza sanitaria, non è nazismo, stalinismo e neppure banale laburismo inglese. È semplice eguaglianza dei cittadini davanti a quella minaccia che non conosce partiti e non discrimina, la malattia.

La Repubblica, 9 novembre 2009

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