cultura, politica italiana

«Beni culturali, a Resca un palazzetto d'oro», di Vittorio Emiliani

Al Ministero per i Beni culturali, dopo i tagli feroci inferti da Tremonti e supinamente subiti da Bondi, non c’è un euro. Non se ne trovano, almeno, per scongiurare lo sfratto dato al glorioso Istituto Centrale per il Restauro (120.000 euro di affitto all’anno) nel Palazzo Borgia-Cesarini. Una vergogna nazionale: l’ISCR stava lìdal 1939, progettato da Argan e diretto da Brandi. Si trovano per contro 400.000 euro per pagare l’affitto del palazzetto in via dell’Umiltà, n. 32/33, dove stanno insediandosi uno dopo l’altro i consulenti del supermanager alla valorizzazione Mario Resca, e cioè: l’ex titolare del Mi.BAC, Giuliano Urbani, Paolo Peluffo, già al Quirinale con Ciampi, da ultimo l’ex soprintendente al Polo Museale romano, Claudio Strinati. Il palazzetto, proprietà (a quanto si dice) di una immobiliare collegata ai Berlusconi, fu la prima sede di Forza Italia. Che lo trovò poi angusto traslocando due numeri più in là. Allora il ministro Urbani lo prese in affitto per il Servizio dei beni librari e per quello di Controllo.

Da poco il primo è stato, di corsa, mandato altrove per far posto alla squadra di consulenti del poliedrico Resca che continua a sedere nel CdA della Mondadori SpA (Fininvest) controllante al 100% di Electa, società di servizi museali, e in altri CdA (Finbieticola, ecc.). Alla Reggia di Caserta faticano a pagare i tagliaerba per il parco. Per via dell’Umiltà 400.000 euro d’affitto non pesano a nessuno. Non c’era spazio al Collegio Romano, ai piani alti, per lo staff specialissimo (un ex ministro, mai visto) di Resca? Sì, ma si sarebbe fatto un torto a Silvio. Non si sa però chi pagherà quei 400.000 euro se per l’ISCR non se ne sono trovati 250.000. Improbabile che sia il Servizio Beni librari.

Quest’ultimo è stato spedito alla Lungara, nella palazzina dell’auditorium dei Lincei, assieme al Centro per il libro. Che Bondi ha presentato come una gran novità, ma in realtà esisteva dal 2007. Cambiata la forma giuridica, entrati i privati, subito è stato chiamato un altro uomo-Mondadori/Fininvest, dopo Resca: Gian Arturo Ferrari all’epoca direttore della divisione libri. Lo stesso che, eroicamente, ha subito rafficato “il comunista” Giulio Einaudi morto dieci anni prima. C’è il decreto di nomina di Ferrari? C’è un capitolo di bilancio? Lo si dovrebbe chiedere al Collegio Romano. Ma al Mi.BAC sono stufi di rispondere alle interrogazioni parlamentari. Sul superdirettore Resca, ora anche commissario a Brera, e sul suo mega-emolumento finale, hanno replicato, il 18 scorso, alle ostinate deputate del Pd, De Biasi e Ghizzoni: “in via preliminare”, leggetevi i comunicati già apparsi sui giornali…

La Camera incasserà lo sgarbo senza battere ciglio? Sarebbe grave. Chiedevano anche di quali “soggetti attuatori”, di quali consulenti si avvarrà Resca, con “ulteriori oneri per le casse dello Stato”. Su tutto ciò il più completo silenzio. A De Biasi e Ghizzoni diciamo: guardatevi le prime formidabili pubblicità partorite dall’ingegnoso Mario Resca «Se non lo visitate, ve lo portiamo via». Riguardavano: il Colosseo, cioè il più visitato di tutti; il Davide di Michelangelo, “star” dell’Accademia; il Cenacolo di Leonardo dagli ingressi severamente contingentati. Un genio della comunicazione.
L’Unità 21.02.10

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“Ridevano del terremoto. Lottizzavano la cultura”, di Luca Del Fra

«Bene, bene, mi piace andare a teatro»: così Pierfrancesco Gagliardi esprime tutta la sua soddisfazione di fronte alla notizia di aver acquisito nel suo «portafoglio lavori» – e mi raccomando portafoglio – anche il restauro del Teatro di San Carlo a Napoli. A comunicargli il lieto evento è suo cognato Francesco Piscicelli: sono i due che ridevano la notte del terremoto dell’Aquila. Cosa c’è di strano in questa conversazione intercettata dagli inquirenti nell’inchiesta sulla Protezione civile? Che è avvenuta il 25 maggio 2008 mentre la gara d’appalto si apriva solo il 4 giugno successivo: insomma non erano state depositate, e forse neppure ancora formulate le offerte, la cui data di ultima consegna era il 31 luglio.

Nell’inchiesta dei magistrati fiorentini emerge un fiume carsico di fango che riguarda i beni culturali, in particolare i nostri teatri d’opera. È il modo della destra di mettere le mani sulla cultura, e, incapace di proporre un ceto intellettuale da mettere alla testa delle istituzioni, va all’attacco con le sue solite truppe da sbarco: imprese edili e cantieri per centinaia di milioni di euro. Si fanno lavori spendendo più di quanto non si faccia perché i teatri possano funzionare. Non casualmente l’arrembaggio parte dai cosiddetti Letta boys: nel suo schieramento politico recalcitrante alla cultura, il sempiterno Gianni infatti è il primo a intuirne le potenzialità. E il fiume si snoda in una sorta di circumnavigazione della penisola, che parte dal restauro della Fenice di Venezia, dove come commissario straordinario alla ricostruzione Angelo Balducci s’è scaldato i muscoli, giù per la dorsale adriatica fino al Petruzzelli di Bari, scavalcando l’Irpinia fino a Napoli, e poi su verso nuove ed eccitanti avventure nel grande affare della nuova città della musica a Firenze.

Sugli appalti del San Carlo emergono sospetti: il 3 luglio, bando aperto ma buste ancora chiuse, Salvo Nastasi, capo gabinetto del ministro Sandro Bondi, direttore generale dello spettacolo dal vivo al Ministero della cultura e commissario del teatro partenopeo, chiama per un incontro urgente prima Balducci e poi vede Francesco De Santis, «per una questione un po’ delicata». A incontro terminato, De Santis chiama Balducci e gli spiega che Nastasi è preoccupato per i «rumor esterni»; poi cambia utenza telefonica per parlare più «liberamente» e continua: «Era talmente preoccupato che c’aveva Sgarbi che aveva fatto accomodare, è uscito, abbiamo passeggiato nei corridoi: quindi l’ha lasciato lì». La descrizione della situazione che fa Nastasi è «catastrofica», così a Balducci riferisce De Santis che imputa il fatto a «un po’ di battute a destra, un po’ a sinistra, … una battuta gliel’ha fatta il sottosegretario (probabilmente Francesco Giro), insomma l’ha messa in una forma particolarmente grave». Balducci si stizzisce: «questo fatto di Salvo mi scoccia molto, sai perchè? Perchè ti rendi conto con che, -quando io dico, purtroppo-, con che clima bisogna confrontarsi». Comunque garantisce Balducci: «Tanto noi faremo una cosa: una commissione molto severa, molto. Ci mancherebbe».

Il 7 ottobre 2008 è pubblicato l’esito della gara, la severissima commissione ha affidato i lavori alla costituenda Consortile Restauro Teatro San Carlo: vi figurano la Cobar, Imac di Piero Murino risultato in stretti rapporti con Diego Anemone e con cui spesso collaborano Piscicelli e Gagliardi, Consorzio ITL e così via. I soliti noti, che si ritrovano dalla ricostruzione del Petruzzelli ai cantieri del G8, naturalmente a L’Aquila e in futuro a Firenze. «Dei rumors non ho ricordo, –spiega Salvo Nastasi che in quei giorni era attivo su molti tavoli che riguardavano il San Carlo, ma precisa–, non mi occupavo in prima persona dei lavori del restauro. Ma sono contento che questa storia sia uscita fuori, perché volevo una commissione di alto profilo, per giudicare il migliore dei progetti presentati».

Eppure il caso del San Carlo è emblematico anche in altro senso: tra i pochi cantieri ad aver rispettato tempi e preventivi, con un restauro che ha reso lo splendore, ma su cui pesa uno sfregio: il nuovo foyer, ricavato sotto la platea. E a che prezzo? Una immensa e costosissima gru con braccio plurisnodato è scesa giù dal tetto della torre scenica, attraversando il boccascena ha sfondato il pavimento della platea: un bellissimo parquet sostituito con un doghettato stile Ikea. Per molti una ferita.
L’Unità 21.02.10

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