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"Politica industriale azzerata", di Romano Prodi

Caro direttore, a una mia analisi sulla mancanza di politica industriale nel tempo di crisi, il ministro Claudio Scajola ha avuto l’amabilità di rispondere con ampiezza di argomentazioni sul Sole 24 Ore del 16 febbraio. A questo vorrei replicare con dati concreti, a volte un poco pedanti, ma sempre efficaci per chiarire i termini del dibattito.
Prima di tutto vorrei ricordare al ministro in carica che il programma Industria 2015 è stato interamente ideato, organizzato e costruito sotto il mio governo e approvato dal Consiglio dei ministri dello stesso governo su proposta del ministro delle Attività produttive, Pier Luigi Bersani, con un “fondo di competitività” di un miliardo di euro. E che, per rinforzare questo programma, la legge finanziaria 2007 (approvata a fine dicembre 2006) prevedeva a favore dell’industria un credito “automatico” d’imposta per la ricerca fino al 15% della spesa e fino a 15 milioni per ogni ricerca. E aggiungeva forti incentivazioni (finanziate per 570 milioni) per specifiche aree strategiche, che tuttora sono degne di essere considerate come prioritarie e cioè: efficienza energetica, mobilità sostenibile, scienza della vita, made in Italy, tecnologie per i beni culturali.

È vero che il governo Berlusconi è intervenuto su Industria 2015: ha infatti azzerato il fondo competitività, destinando i residui 450 milioni a operazioni di utilità molto dubbia per il paese (ex Alitalia) e sottraendoli all’industria e alla ricerca. Ha eliminato il sistema di valutazione indipendente, basata su standard europei, ripristinando il sistema poco trasparente dei “comitati” di nomina ministeriale e ha ritardato enormemente e ingiustificatamente l’erogazione dei finanziamenti di 200 progetti realizzati da tremila imprese ed enti di ricerca, che stanno ancora aspettando.

Invece ha varato i contratti d’innovazione: strumenti generici riservati di fatto alla grande impresa con dubbia copertura finanziaria, al di fuori di qualsiasi quadro di priorità politica industriale e di valutazione trasparente, ma unicamente fondati sulla discrezionalità.
Il governo Prodi aveva poi istituito per le imprese il credito di imposta per la ricerca, un meccanismo automatico che premia chi fa ricerca anche al di fuori dei grandi progetti. Il governo Berlusconi ha nei fatti eliminato questa opportunità destinata anche al tessuto delle piccole e medie imprese, introducendo la pratica odiosa e umiliante per le imprese del click day: la politica industriale che premia chi arriva prima a fare “click” con il mouse.

Inoltre, dove sono finiti i 7 miliardi del Fas ricerca e competitività destinati a sostenere l’infrastrutturazione tecnologica dei sistemi e delle reti d’imprese, lo sviluppo della banda larga, la bonifica dei siti industriali inquinati, le azioni di sostegno sul territorio alle azioni prioritarie di Industria 2015? Svaniti nel nulla. Eppure il Fas (Fondo per le aree sottoutilizzate) era lo strumento che doveva far convergere le azioni nazionali d’Industria 2015 con quelle regionali verso le priorità di politica industriale del paese.

Quanto poi al Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, l’intervento è stato insufficiente sia nelle dimensioni sia nelle modalità (non si è andati verso una “portabilità” delle garanzie per le imprese, né si sono modificati i criteri di definizione del rating: ad esempio pluriannualità del periodo di riferimento).

Debbo solo lamentare che nel dare concretezza a questi progetti, dopo mesi di blocco si va oggi avanti con velocità e intensità almeno inferiori alle esigenze e alle aspettative. Se ne chiedete le ragioni, gli imprenditori e le loro associazioni le attribuiscono alla “perdita di network” (cioè di rapporti stabilizzati rispetto al governo precedente), all’allargamento dei tempi amministrativi, e poi, naturalmente, all’esplosione della crisi.

Tutte buone ragioni, ma il problema da me sollevato è proprio quello della necessità e dell’urgenza di costruire una politica economica in risposta alla crisi.

Vorrei anche ricordare che, proprio in risposta alle decennali lamentele da parte industriale riguardo all’eccessivo peso dei costi indiretti, fu varato il famoso taglio del cuneo fiscale che trasferiva alle imprese cinque miliardi di euro. Credo che questo provvedimento sia stato davvero utile a spingere il boom delle nostre esportazioni nel periodo immediatamente precedente alla crisi, periodo in cui abbiamo ripreso le quote nei mercati internazionali perdute negli anni precedenti.

Debbo tuttavia ammettere che un errore l’ho fatto davvero nel volere a ogni costo il cuneo fiscale. Come professore sapevo infatti (e ne sono ancora oggi convinto) che esso sarebbe stato molto utile all’economia italiana ma, come politico, ho fatto qualche calcolo sbagliato perché, dopo l’ottenimento dei vantaggi dello scudo, l’opposizione della Confindustria al mio governo si è fatta ancora più dura e quotidiana. Dato però che il provvedimento era buono in sé, almeno come professore, non me ne sono pentito.

Vorrei infine sottolineare come una politica industriale in un paese come l’Italia, che è il secondo paese industriale europeo e che trova nell’industria quasi l’unico pilastro veramente competitivo della sua economia, debba avere come priorità assoluta il sostegno delle imprese in questo periodo di difficoltà e la promozione dei cambiamenti strutturali necessari per affrontare la concorrenza futura. Quindi riprendere con vigore le linee d’Industria 2015 e promuovere le fusioni e gli accorpamenti aziendali necessari perché le nostre medie imprese possano in futuro affrontare con successo i mercati mondiali nelle nicchie specializzate in cui esse agiscono.
Per fare questo bisogna lavorare di fino, con provvedimenti mirati riguardo ad esempio all’incentivazione all’acquisto dei macchinari ad alta tecnologia, che sono tra l’altro di produzione quasi totalmente europea e con una forte presenza italiana. E non si dovrebbe lasciare morire d’inedia i residui impianti intermedi della petrolchimica senza rispondere (aiutando accorpamenti e specializzazioni) agli enormi cambiamenti delle produzioni mondiali. E nemmeno appare uno strumento concreto il vantare il ritorno al nucleare rinviando tuttavia ogni decisione al dopo elezioni, in risposta al coro di rifiuti da parte delle regioni.
Infine non è frutto di analisi accademica approfondita attribuire all’allora presidente dell’Iri la responsabilità della mancata fusione fra Italtel (che era di proprietà dell’Iri) e la Telettra (che non lo era affatto e che rifiutò con ogni mezzo di fondersi con Italtel).

Nella mia analisi a Manifutura non ho dunque dimenticato gli ultimi due anni: ho solo constatato che sono due anni da dimenticare. Tuttavia, dato che la crisi, purtroppo, durerà ancora a lungo, vi è (ripeto purtroppo) ancora tempo per prendere decisioni, ben indirizzate e coordinate come altri paesi hanno fatto. Le energie per reagire positivamente con una vera politica industriale ci sono ancora.
Faccio quindi al ministro Scajola i migliori auguri in proposito, incoraggiandolo ad agire con vigore per il rafforzamento della nostra industria.

Il Sole 24 Ore 24.02.10

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