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Mokbel, sequeatrato il suo "tesoro"

Opere d’arte milionarie nella villa del faccendiere della ‘ndrangheta. Intanto la maggioranza si accorge della necessità di intervenire nel caso Di Girolamo. Bersani: “Era ora, ma un anno fa furono loro a salvarlo dall’arresto”. C’è chi lo chiama già “il tesoro di Mokbel” e a ben vedere sembra difficile immaginare un altro appellativo per la scoperta fatta oggi dal Ros. Migliaia di dipinti, serigrafie, litografie e decine di sculture opere di importanti artisti contemporanei e moderni: sono solo una parte della fortuna di Gennaro Mokbel, il capo, insieme al senatore Pdl Nicola Di Girolamo, dell’organizzazione specializzata nel riciclaggio di ingentissimi capitali illegali, per una truffa ai danni dello stato pari a oltre due miliardi di euro.

Nella residenza romana di Collina Fleming, i carabinieri hanno trovato il magazzino all’interno del quale eranera custodito il tesoretto. Gli indagati, secondo gli investigatori, acquistavano le opere d’arte con il denaro guadagnato attraverso le loro operazioni illegali. Fra le opere, alcuni di De Chirico, Capogrossi, Tamburri, Schifano, Borghese, Palma, Clerici e Messina.

Intanto al Senato si continua a discutere dell’annullamento dell’elezione del senatore Pdl, accusato di aver acquistato i voti all’estero tramite conoscenze mafiose. Un insolito Renato Schifani, presidente del Senato, si erge a improbabile paladino della legalità, dimenticando che meno di una anno fa la giunta per le autorizzazioni, con la benedizione dello stesso Schifani, respinse la richiesta di arresto proprio per Di Girolamo. Se il Pdl è di memoria corta, il PD non perde occasione di ricordarglielo.

Dopo la lettera inviata ieri da Schifani al presidente della Giunta delle elezioni e delle immunità, Marco Follini, quest’ultimo risponde: “Ho sottoposto oggi all’ufficio di presidenza della Giunta la sua lettera di ieri in ordine alla questione della verifica dei titoli di ammissione del senatore Di Girolamo. L’esigenza che ora ella mi rappresenta puo’ essere conseguita ovviamente stando entro i margini delineati da questi antefatti procedurali, i quali comportano le seguenti priorita’, evidenziate da tutti i componenti dell’Ufficio di presidenza integrato: evitare che la sovranita’ dell’Assemblea sia lesa. Evitare che i diritti di difesa di Di Girolamo siano conculcati. Evitare che il dovere di rispondere alla magistratura sia eluso”. A tal proposito, aggiunge Follini, “sono certo che la Conferenza dei presidenti dei gruppi parlamentari del Senato sia la sede piu’ idonea per offrire la soluzione piu’ adeguata al conseguimento dell’esigenza da lei rappresentata alla Giunta e resa pubblica al Paese per il tramite delle agenzie di stampa. La prego di considerare che, fino all’esito della procedura d’Assemblea nessun rallentamento sara’ tollerato da questa presidenza circa la tempistica gia’ individuata dall’Ufficio di presidenza integrato per la celere definizione della richiesta di custodia cautelare in carcere, avanzata dalla magistratura penale di Roma nei confronti del senatore Nicola Di Girolamo”.

“Alla buon’ora – commenta Pier Luigi Bersani, interpellato sull’argomento a margine di una iniziativa – noi a suo tempo avevamo già lavorato per la decadenza di questo senatore ma allora la maggioranza non fu convinta”. Ora lo chiedono anche loro e il Pd è “totalmente d’accordo”.

Anna Finocchiaro, presidente dei senatori PD, afferma: “È necessario e utile accelerare i tempi per arrivare ad una decisione rapida del Senato su Di Girolamo. La Giunta per le immunità sta lavorando celermente per la richiesta di autorizzazione all’arresto. Ed è bene che i tempi di lavoro della Giunta non vengano modificati o rallentati. La decisione che riguarda la decadenza di Di Girolamo dipende dall’Assemblea di Palazzo Madama. Noi siamo ben contenti che ora, nel Pdl, a tutti i livelli anche quelli più alti, ci sia la consapevolezza e la convinzione che Di Girolamo non debba fare più il senatore. Noi eravamo di questa opinione anche un anno fa, quando la Giunta per le immunità si espresse favorevolmente per la decadenza di Di Girolamo. Fu il Pdl in Aula a volere la sospensione di quella decisione. Sbagliarono. Noi siamo della stessa opinione di allora e ci auguriamo che si giunga in fretta ad una decisione che risponda all’opinione pubblica, alla giustizia e alle regole del Parlamento. La Giunta per le immunità lavori sulla procedura per l’arresto. Perché Di Girolamo non sia più senatore serve un atto, seguendo procedure corrette, che revochi la sospensione della decadenza di un
anno fa”.

Anche Enrico Letta, vicesegretario PD, ricorda: “Di Girolamo e’ stato salvato dal voto della maggioranza lo scorso anno e soltanto perche’ sono uscite le foto, in maniera inoppugnabile, ora si interviene. Crediamo non sia giusto questo comportamento. La maggioranza deve fare pubblica ammenda e non puo’ oggi raccontare
all’Italia che non conosceva il Senatore Di Girolamo perché quella stessa maggioranza l’ha messo in lista, l’ha fatto eleggere e l’ha salvato l’hanno scorso”.

”Il caso Di Girolamo fa emergere chiaramente limiti e inadeguatezze del sistema elettorale per il voto all’estero e la necessita’ di una riforma”. Lo dice il senatore Pietro Marcenaro, capogruppo del Pd nella Commissione
Esteri del Senato. La questione della rappresentanza deve essere rivista in particolare su tre punti. Il primo e’ quello relativo all’anagrafe degli aventi diritto. La legge così com’e’ riconosce il diritto al voto anche a persone che non hanno più alcuna relazione con il nostro Paese. Il secondo punto e’ quello del meccanismo elettorale che, e’ ormai palese, espone a rischi di brogli e non garantisce il rispetto del principio costituzionale del ‘voto personale, libero e segreto’. Il terzo riguarda il disegno delle circoscrizioni elettorali. Siamo invece contrari a togliere agli emigrati italiani il diritto al voto che da poco gli e’ stato riconosciuto : sarebbe un danno non solo per loro ma per l’Italia”.

Eugenio Marino, responsabile nazionale del Pd all’estero spiega: “Nel nostro Paese c’è l’abitudine a intervenire in casi di emergenza senza preoccuparsi dei problemi né fare prevenzione fino a quando non scoppiano le tragedie: il caso Di Girolamo e del voto all’estero ne sono un esempio. Che il sistema di voto per corrispondenza presentasse una serie di problemi lo denunciammo prima della sua introduzione e dai tempi del referendum sull’articolo 18, la prima volta che votarono i nostri connazionali con questo sistema. Basti rivedere le conferenze stampa organizzate dai dirigenti de L’Ulivo nel mondo di quei tempi per verificare dove e quando si dovesse intervenire. Ma tranne alcuni aggiustamenti non risolutivi (e di emergenza) durante l’ultimo governo Prodi, nessuno si è mai preoccupato davvero della questione. Oggi, che la magistratura ha palesato comportamenti e infiltrazioni mafiose fanno tutti a gara a chi la spara più grossa sul voto all’estero, non per migliorarlo, come si conviene in un Paese democratico e civile, o per ridurne al minimo i rischi, ma per abolirlo. Scoppiata la tragedia, si interviene sull’onda emotiva quando invece occorrerebbe prendere la palla al balzo per ragionare con lucidità su come garantire un diritto costituzionalmente riconosciuto già dal 1948, ma nella pratica negato per mezzo secolo. Ci sono molte strade per rendere quel voto più sicuro, ma serve sgomberare il campo dalle furbizie politiche di chi lo avversa in maniera ideologica e trovare una volontà trasversale per perseguirle e trasformarle in legge”.
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