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L´università dimezza i dottorati "Inaccettabile tagliare la ricerca", di Laura Montanari

«Tagliare i dottorati significa recidere le radici della ricerca». E´ diretto Stefano Mancuso, ordinario alla facoltà di Agraria. Come il preside di Medicina, Gianfranco Gensini che sintetizza il problema in una frase: «E´ inaccettabile». L´università di Firenze è costretta a dimezzare i dottorati di ricerca per il prossimo anno. Se dal ministero non verranno aggiunte risorse, si passerà da 170 a 80 borse di dottorato triennali, poi ci saranno quelle finanziate dai privati, ma vista la crisi, anche le fondazioni bancarie non largheggeranno. Le conseguenze di tutto questo sono porte che si chiudono per studenti che non si potranno addestrare alla ricerca, è l´aria che si respira in questo tempo.
Il dottorato è la terza fascia della formazione, viene dopo la laurea triennale e dopo la specialistica: in genere chi si iscrive a quei corsi impara a fare ricerca per restare negli atenei o per cercare lavoro e andare nei laboratori privati. «Cercheremo di far pesare il meno possibile questi tagli» promette il filosofo Andrea Cantini, delegato del rettore Alberto Tesi per questo settore. La buona volontà è spesso utile, ma nel caso insufficiente a tamponare un´emergenza che si farà sentire pure nei prossimi anni quando il testimone della ricerca dovrà passare da una generazione all´altra. «Stiamo pensando a una riforma dei dottorati e a dare un peso maggiore alla valutazione per collocare al meglio le risorse che saranno minori rispetto al passato» spiega Cantini.
«I dottorati sono un meccanismo propulsivo dell´accademia – ribatte Gensini – non possiamo permetterci di ridurli drasticamente perché ne va dalla qualità dell´università, quindi bisogna cercare finanziamenti esterni». Come fosse facile in un momento del genere, con la crisi che morde tutti i portafogli e con le banche meno generose ad elargire. Il futuro dei dottorati sarà negli accorpamenti: «Oggi a Storia per esempio – spiega Concetta Bianca, della facoltà di Lettere – ne abbiamo di tre tipi: antica, medievale e moderna. Due borse di studio per ciascun indirizzo, ma se dobbiamo dimezzarle significa con tutta probabilità fare un solo dottorato generico in storia». Il rischio è di perdere specificità e competenze come spiega Stefano Mancuso, l´unico ricercatore italiano chiamato a fare una relazione al Tad, il più prestigioso istituto che organizza conferenze scientifiche di altissimo livello: «Il dottorato è il primo gradino della futura docenza accademica, svuotare questo serbatoio significa rendere più povera l´università di domani e fermare la ricerca, è una grossa responsabilità quella che ci stiamo assumendo, sembra parte di un disegno per mettere alle corde le università. I tagli ai dottorati, i tagli al fondo di finanziamento, il vincolo del tetto del 90 per cento sulle spese per il personale…». Secondo Ivano Bertini, responsabile del centro di eccellenza del Cerm (Centro di risonanza magnetica) il vero problema resta quello più generale dei finanziamenti alla ricerca: «Come possiamo reclutare giovani se poi non abbiamo soldi per comprare le apparecchiature dei laboratori? Io al Cerm non ho il problema della riduzione dei dottorati perché i finanziamenti li ricevo da Bruxelles…». Chi risentirà maggiormente di questa ristrettezza sarà l´area umanistica che non ha molti richiami per l´industria o per mecenati privati.
La Repubblica/Firenze 09:03.10

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