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"Più poveri e precari dopo la mobilità", di Marina Cassi

A gennaio 2010 sono stati in 21.166 a iscriversi alla mobilità. Perdere il lavoro e finire in lista di mobilità è l’incubo di tutti i lavoratori; una paura più che giustificata visto che solo poco più della metà riesce a trovare una nuova occupazione. A aiutarli a reimpiegarsi sono per lo più amici e conoscenti.
E non basta: la maggior parte dei nuovi lavori è instabile e le retribuzioni tendono al ribasso rispetto ai guadagni percepiti dai lavoratori prima di essere collocati nelle liste di mobilità.
Un quadro drammatico dipinto da una ancor embrionale ricerca dell’Ires-Cgil Lucia Morosini in collaborazione con l’Agenzia Piemonte Lavoro. Il questionario è stato diffuso nel corso del 2009 e fotografa, quindi, anche i primi effetti della crisi.

L’indagine ha selezionato oltre mille lavoratori e finora ha analizzato le risposte di 350: se prima della crisi della azienda tutti avevano contratti a tempo indeterminato successivamente, tra i 177 che sono rientrati nel mercato del lavoro, la percentuale scende a circa il 40% rispetto al 53,1% dei contratti a tempo determinato. E salgono gli interinali che arrivano al 7,3%. Il 5,1% dichiara di essere diventato un autonomo, mentre il 2,3% lavora, ma senza contratto alcuno.

Tra chi guadagnava meno di mille euro al mese, la maggioranza (il 77,2%) trovando nuova occupazione è rimasta nella medesima condizione. Ma già tra i poco più fortunati che arrivavano a mettere insieme tra 1000 e i 1300 euro solo la metà ha ritrovato lavoro alle stesse cifre e il 40% riceve di meno.
Anche tra i lavoratori con una retribuzione superiore ai 1300 euro al mese quasi la metà ha visto peggiorare la propria situazione.

La ricerca poi, come sottolinea la segretaria della Camera del Lavoro Donata Canta, sfata un luogo comune: «Praticamente nessuno sta con le mani in mano: il 75% cerca lavoro durante il periodo di mobilità e l’80 non ha mai rifiutato una offerta di lavoro».

E per trovarlo si fa di tutto: pubblicazione di annunci, invio di curricula, agenzie private, Centri per l’Impiego. Ma ci si affida nella maggioranza, amici, conoscenti e parenti.

La condizione di iscritto alla lista di mobilità è estremamente frustrante: pochi soldi, poche prospettive, tanta ansia per il futuro, tensioni con i parenti. Una situazione che deprime e che fa sentire molti – il 60% del campione – sottoutilizzato e insicuro, incapace di progettare il domani. Sette su dieci vivono nel timore di non riuscire a far fronte a spese impreviste. Il 65,9% dice di aver dovuto rinunciare alle vacanze o a uscire con la famiglia.

La ricerca dell’Ires dimostra anche un dato negativo rispetto alle alternative formative che vengono offerte: solo l’11% ha seguito un corso e di questi lavoratori un quarto lo ritiene inutile; il 48% pensa di aver imparato, ma che quelle cose con gli siano servite nel nuovo lavoro. Solo il 26% ne sa di più e usa le nuove conoscenze per lavorare. Donata Canta su questo tema è netta: «E’ evidente che i lavoratori vogliono formarsi e migliorare le proprie competenze, ma è anche evidente che non sempre i corsi danno una risposta formativa utile. Questo è tanto più vero visto che la scolarità media è bassa e questo è un problema anche quando il lavoro c’è». Conclude: «Servono politiche attive che mantenessero viva la formazione durante tutta la vita lavorativa per mettere al riparo dal rischio disoccupazione.

Di fronte a questa analisi Federico Bellono, segretario della Fiom, dice: «E’ tanto più valida la nostra richiesta di bloccare i licenziamenti e usare tutti gli ammortizzatori sociali possibili pur di tenere le persone al lavoro pesche nella crisi è molto difficile ritrovare un posto e si rischia di trovarlo peggiore». E aggiunge: «C’è è un generale problema di politiche industriali che devono rispondere a questa situazione drammatica: quale futuro industriale si vuole per Torino?».
La Stampa 06.03.10