cultura, memoria

"Un giorno importante", di Mario Calabresi

Ho voluto cogliere gli aspetti positivi, ho sentito un impegno costruttivo ed effettivo a sostenere le celebrazioni. È un giorno importante». Giorgio Napolitano parla a bassa voce, ha appena finito di ascoltare le parole del governatore leghista del Piemonte Roberto Cota, lo ha sentito impegnarsi per festeggiare il 150° anniversario dell’Unità d’Italia.
Il Presidente è soddisfatto, è venuto a Torino per celebrare Cavour ma soprattutto per sentire parole definitive che spazzassero via mesi di dubbi, polemiche e frenate, per cancellare finalmente la sensazione che un secolo e mezzo di storia unitaria possa essere vissuto come un fastidio da passare sotto silenzio. Lo aspettavano in molti dopo settimane passate a interrogarsi su come si sarebbe comportata la Lega, su quali battaglie si sarebbero dovute combattere da qui al marzo del 2011.

Invece Roberto Cota, pur non rinunciando al fazzoletto verde con il sole delle Alpi nel taschino, pur sottolineando l’importanza del federalismo nel futuro del Paese e mettendo in guardia dalla «retorica dei vecchi copioni», si è impegnato a cogliere l’invito del Presidente a fare la sua parte.

La sensazione è che ieri a Palazzo Reale sia stata presa una strada che non permette più passi indietro, adesso la sfida sarà quella di riempire le celebrazioni di contenuti veri e non di retorica stantia, ma il treno è partito e all’anniversario mancano ormai solo nove mesi.
Certo il governatore leghista ha dettato le sue condizioni: niente pensiero unico e niente sprechi, ma chi oggi si sentirebbe di dissentire, di augurarsi celebrazioni faraoniche o infrastrutture inutili? Nel piccolo rinfresco nel cortile di Palazzo Reale trionfava l’acqua minerale e questo è già un segno dei tempi. C’è da augurarsi solo che non prenda piede una retorica miope che mentre auspica un boom del turismo mette all’indice ogni investimento: la miopia di quelli che criticano il Sudafrica per aver investito milioni di dollari per costruire stadi e organizzare un mondiale di calcio senza vedere come questa possa essere la grande occasione per far fare un balzo avanti al Paese africano. Basti pensare al ritorno di immagine e credibilità che le Olimpiadi invernali hanno avuto per il Piemonte.

Ma non è solo una questione di guadagni e opportunità, le celebrazioni dell’Unità d’Italia parlano alla nostra pancia e al cuore, basta guardare le immagini del filmato presentato al Presidente per dimenticare le polemiche: Pietro Mennea che vince i 200 metri, la prima Cinquecento, i treni degli emigranti, i nostri premi Nobel e i premi Oscar, il boom economico che ci porta dalle macerie della Seconda guerra mondiale a essere la quinta potenza industriale del pianeta, le Ferrari, la Coppa del Mondo alzata al cielo. Immagini che ci raccontano molto di quello che siamo stati e che siamo riusciti a fare, il problema è che ci manca l’orgoglio di ricordarlo. Ma un Paese, la sua identità e la sua memoria non si costruiscono solo sui successi ma anche sui lutti, le tragedie collettive, le proteste e le battaglie per la giustizia.

Questa mattina Giorgio Napolitano verrà alla Stampa, gli presenteremo la digitalizzazione dell’intero archivio del giornale che è nato nel 1867 – è di soli sei anni più giovane della nostra nazione -, un patrimonio di un milione e 761 mila pagine, più di cinque milioni di articoli che saranno consultabili gratuitamente online.

Ho passato un sacco di tempo in questi giorni a navigarci dentro e quello che ho trovato mi racconta di quanto questo Paese abbia una storia unitaria. Lo choc per la strage di piazza Fontana, per l’agonia di Alfredino Rampi, l’Italia paralizzata dal rapimento Moro, il lutto del Vajont o per i terremoti del Friuli e dell’Irpinia. Siamo cresciuti insieme, nei drammi, nelle migrazioni interne – pensate alla Torino di oggi che è stata capace di integrare una «migrazione biblica» – e nelle eterne polemiche. Ce lo raccontano ogni domenica Fruttero e Gramellini, sull’ultima pagina di questo giornale, con la loro storia d’Italia per date in cui emerge che perpetriamo vizi e ingiustizie antichi, che anche nei difetti abbiamo continuità da un secolo e mezzo.

Il Presidente della Repubblica è stato a Quarto, da dove partì Garibaldi, poi in Sicilia, ma è venuto a Torino a dare la spinta decisiva perché si arrivi in tempo a celebrare l’Unità d’Italia. Da qui è partito tutto, da «questa terra di frontiera, dove fa freddo, si lavora, ci si alza presto la mattina, si va a letto presto la sera», come la definiva l’Avvocato Agnelli. Lo ha ricordato il sindaco Chiamparino, che al Presidente che gli chiedeva come stava ha risposto in dialetto, con asciuttezza e con il massimo dell’ottimismo che può esprimere un piemontese: «Son fòra dal let». Siamo fuori dal letto. Ancora una volta in piedi. Adesso comincia una nuova giornata, speriamo che sia un successo.

La Stampa 06.06.10