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"Alla Camera una procedura «ineccepibile» che può affondare la legge", di Stefano Folli

Com’era prevedibile, la legge sulle intercettazioni si conferma il nodo politico più insidioso per la stabilità della maggioranza. Da un lato, il presidente della Camera tende a guadagnare tempo. Può farlo in forme «ineccepibili», secondo il giudizio che lo stesso capogruppo del Pdl, Cicchitto, ha dato della lettera con cui Fini ha risposto al democratico Franceschini. Questi aveva chiesto in sostanza di approfondire il dibattito sul testo in arrivo dal Senato. Di fatto aveva suggerito un rinvio della votazione finale a dopo l’estate.
Con una certa cautela formale, ma piuttosto determinato nel merito, il presidente dell’assemblea ha accolto in parte l’argomento dell’esponente del centrosinistra. Ne deriva che l’esame della controversa legge potrebbe scivolare – senza «forzature» di alcun tipo – in coda al decreto legge sulla manovra economica, che gode dei requisiti d’urgenza. Con ciò il «sì» al provvedimento sarebbe tutt’altro che certo e potrebbe davvero scavalcare la pausa estiva.

Dall’altro lato, il nervosismo di Berlusconi è palpabile. La sua richiesta di fare presto, così da varare la legge entro luglio, è perentoria. C’è nelle parole del premier un riferimento agli accordi di maggioranza e alla posizione leale assunta nei giorni scorsi dagli stessi amici di Fini. Ma si avverte anche la crescente insicurezza del presidente del Consiglio. È evidente il suo timore di essere intrappollato nella ragnatela istituzionale, dove tutto è in apparenza «ineccepibile», ma il cui risultato finale è per lui una sconfitta politica.

L’insofferenza berlusconiana spiega molte cose. Ad esempio, spiega gli attacchi rinnovati nelle ultime settimane alla Costituzione e alle lungaggini parlamentari. È come se il premier presagisse lo scenario per lui peggiore. Non la prova di forza, per la quale si sente preparato, bensì il lento sprofondare nella palude delle procedure.

È qui che il presidente della Camera, senza in nulla tradire le intese di maggioranza, può far valere le ragioni dell’assemblea. In primo luogo perché Montecitorio non può limitarsi a ratificare le decisioni dell’altro ramo del Parlamento. Le modifiche decise a Palazzo Madama in seconda lettura sono rilevanti e ora il testo ha bisogno di trascorrere un certo tempo presso la commissione Giustizia presieduta da Giulia Bongiorno, le cui riserve sulla legge sono ben note.
In secondo luogo, l’intreccio con la manovra economica è reale e non è consigliabile, di questi tempi, dare al paese l’impressione che le intercettazioni siano più importanti dei conti pubblici. Forse si possono fare entrambe le cose attraverso un «tour de force», ma se non c’è questa volontà di affrettarsi, ed è palese che in Fini manca, il rinvio diventa un’ipotesi plausibile. Per ragioni strettamente tecniche, in grado però di produrre conseguenze politiche. Proprio ciò che Berlusconi teme.

Il rischio per lui è insomma che la Camera pretenda il rispetto puntiglioso delle prerogative che la riguardano. A costo di obbligare il centrodestra a procedere con passo lento. Non si tratta di cancellare la legge, bensì di verificarne il contenuto per correggerlo (rinviando poi il testo al Senato per un’ultima lettura) e di modulare i tempi dell’approvazione. Una strategia morbida, si potrebbe dire, astuta sul piano politico. Ma dall’esito pernicioso per gli obiettivi del presidente del Consiglio, che di questa legge ha voluto fare una bandiera che non può essere ammainata.

Il Sole 24 Ore 15.06.10

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