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Imprese in ginocchio e l´incubo-tasse "Non abbiamo i soldi per ricominciare", di Jenner Meletti

L´AQUILA – Sui muri e sui lampioni l´Sos è ripetuto mille volte. «Manifestazione cittadina, corteo per la città. SOS: Sospensione delle tasse. Occupazione. Sostegno all´economia». Non ci sono firme, nel manifesto, con il disegno di un uomo arrabbiatissimo che grida: «…che te debbo da´?!». «Non è necessario mettere le firme – dice Luigi Fabiani, il tributarista che ha preparato la piattaforma delle richieste dell´Aquila al governo – perché c´è tutta la città. Sindacati, associazioni, commercianti, artigiani… Anche la Curia ha mandato la propria adesione». Forse qualcosa sta cambiando, nella città del terremoto. Le domeniche con le carriole hanno riportato nelle strade chiuse soprattutto i residenti nel centro storico ma domani, al corteo contro «il secondo terremoto», ci saranno pure gli aquilani delle periferie e delle frazioni, quelli del cratere e anche il vescovo Giovanni D´Ercole. «Secondo terremoto, l´abbiamo chiamato, perché il governo che vuole reintrodurre le tasse provocherà un terremoto economico». Il disastro non è solo annunciato, è già arrivato. Non ci sono i soldi per aggiustare le case B e C., quelle con pochi danni, e così una famiglia che potrebbe riparare l´appartamento con cinquemila euro è ancora in albergo a 14 mesi dal sisma. Quattromila gli aquilani in hotel e trentamila quelli ancora «assistiti»: i soldi per la «sistemazione autonoma» – piccolo contributo per chi si è trovato un appartamento in affitto – arrivano sempre in ritardo. Più pesante la situazione delle piccole imprese locali che hanno avviato i lavori di recupero: non sono state pagate e si trovano con l´acqua alla gola.
Il dottor Fabiani è naturalmente attento ai numeri. «Il ritorno delle tasse può provocare il collasso della nostra già esile economia. Porto l´esempio di un pensionato o di un dipendente, che sono le uniche figure che ancora hanno reddito e che sono in grado di spendere. Su una busta paga lorda di 2000 euro, il dipendente aveva una ritenuta del 23%, pari a 460 euro. Dopo il terremoto, questa ritenuta è stata sospesa e quindi il nostro poteva spendere 2000 euro netti. Dal 1° luglio, se il governo non cambia idea, tornerà la ritenuta di 460 euro e altri 460 verranno chiesti per recuperare i primi sei mesi del 2010. In busta paga il pensionato o dipendente avrà così 1080 euro, dai quali dovrà tagliarne circa altri 100 per restituire, 1 sessantesimo al mese, le tasse non pagate nel 2009. Ecco, questo per i soli che hanno ancora un reddito. All´Aquila ci sono poi 16 mila disoccupati e ci sono centinaia di imprese sull´orlo del fallimento. Seguo un´impresa di Scoppito che nel 2009 ha fatturato 80.000 euro per lavori di recupero e non ha ricevuto un soldo. Il titolare, proprio in questi giorni, è andato in banca a chiedere un prestito di 40.000 euro, per poter pagare i dipendenti per due o tre mesi e non chiudere i cantieri. Così non solo non ha incassato nulla ma ha fatto debiti personali. Seguo tante altre aziende: le posso solo dire che, dal giorno del terremoto, non me la sento più di presentare fatture per il mio lavoro. Come potrebbero pagarmi?».
La ricostruzione è ferma perché non ci sono risorse. E parte di quelle che ci sono vengono buttate al macero. Il sisma, ad esempio, ha distrutto o danneggiato 1600 appartamenti delle case popolari dell´Ater. L´istituto ha calcolato un danno di 100 milioni e nel luglio dell´anno scorso il governo ha stanziato la somma equivalente. Ma fino ad oggi non è arrivato nulla e l´Ater, che da mesi è pronta per gli appalti, ha potuto spendere solo i 7 milioni pagati dall´assicurazione sui condomini. É anche a causa di questi ritardi che quattromila aquilani sono ancora in hotel. «Ma gli albergatori – dice Celso Cioni, direttore della Confcommercio – non vivono certo giorni lieti. Hanno ricevuto acconti fino a dicembre, poi più nulla. Si calcola che, nella regione, abbiamo un credito di 80 milioni. Un piccolo albergo, in zona stazione, ospita sfollati nelle sue 20 camere. Ha già un credito di 500.000 euro e non sa più come fare. Ci sono poi gli hotel che non avevano ristorante e che per servire colazione, pranzo, cena ai nuovi ospiti hanno fatto un contratto con un ristorante. Così loro pagano il cibo e dallo Stato non ricevono nulla».
Riprendere il cammino non sarà facile. «In centro storico c´erano 1000 esercizi commerciali e 2000 partite Iva. Dal governo, ognuno di loro ha ricevuti 800 euro per soli tre mesi. Circa 300 esercizi sono stati “delocalizzati” in periferia, ma hanno trovato affitti da 3000 euro al mese per 100 metri quadri. Da un nostro censimento, abbiamo visto che 80 esercizi potrebbero riaprire subito, ma ci hanno spiegato che prima bisogna rifare completamente la rete del gas. Per l´acqua, la Gransasso spa ci ha raccontato che immette in rete 70 litri al secondo, più di quando nel centro c´erano tremila imprese e non la ventina di oggi. Questo significa che l´acquedotto è ridotto a un colabrodo. Non siamo ancora riusciti a sistemare gli ambulanti, che per loro natura hanno meno problemi dei commercianti fissi. Ce n´erano 120 solo in piazza Duomo, nel mercato aperto da almeno 700 anni. Li abbiamo divisi e mandati in periferia, ma come si dice all´Aquila se tagli un gatto a metà il gatto muore. Ora c´è un progetto per piazza d´Armi, finanziato con 1 milione. Speriamo che non sia troppo tardi. Le nostre imprese hanno aumentato il loro indebitamento del 40% e tante saranno espulse dal mercato del credito».
Il corteo di domani attraverserà tutta la città che – come dice il sindaco Massimo Cialente nel suo appello ai direttori di giornali – «in questo momento non c´è più». «Stamane ho saputo che sono in arrivo 36 milioni per pagare lavori già fatti per 68 milioni. Adesso devo decidere chi pagare e chi no, o dare a tutti appena la metà del dovuto. Sarò alla testa del corteo, con il gonfalone comunale. Ciò che è successo all´Aquila ha diviso l´Italia in curva sud e curva nord: da una parte chi dice che qui tutto è stato fatto e gli aquilani sono ingrati e dall´altra chi sostiene che qui non è stato fatto nulla o che tutto sbagliato. La verità è che all´Aquila l´emergenza non è finita. Ma è già stata dimenticata».

La Repubblica 15.06.10

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L´appello del sindaco dell´Aquila “La città è alle porte dell´inferno” , di Giuseppe Caporale

Cialente ai mass-media: stiamo morendo, venite e raccontate. Una lettera ai direttori delle testate giornalistiche: vi aspetto il 22 giugno
L´AQUILA – «La città sta morendo, aiutateci…». É un appello disperato quello che arriva dal sindaco dell´Aquila Massimo Cialente, 14 mesi dopo la tragedia che ha colpito l´Abruzzo.
Quasi un urlo, attraverso una lettera aperta indirizzata ai direttori delle testate giornalistiche italiane: «La situazione è drammatica dal momento che, seppure siamo riusciti in parte a costruire una città temporanea (alloggi provvisori, scuole provvisorie, aule universitarie provvisorie), l´economia è allo stremo e, soprattutto, non riesce a partire la vera ricostruzione. Abbiamo lo spettro di dover ricominciare a pagare tributi, tasse, mutui e, contemporaneamente, restituire tutti gli arretrati. Per migliaia di famiglie aquilane, e soprattutto per i lavoratori autonomi, equivarrà a spalancare le porte dell´inferno della disperazione. La ricostruzione è ferma perché non abbiamo risorse».
La stampa – chiede Cialente – non spenga i riflettori proprio adesso, «adesso che abbiamo bisogno d´aiuto. Vi chiedo di venire all´Aquila e di raccontare ciò che vedrete. Io non dirò nulla, mi limiterò ad accompagnarvi nella visita. Affinché non rimanga solo l´immagine di Obama, della consegna degli alloggi del progetto Case o delle manifestazioni di protesta. Vi prego di raccontare una città che, in questo momento, non c´è più a tutte le italiane e a tutti gli italiani. Il dramma dell´Aquila, la nostra disperazione, la ricostruzione del cratere è innanzitutto un problema del Paese».
Intanto, proprio ieri si è dimesso un componente della giunta Cialente, Giustino Masciocco, assessore comunale alle Politiche sociali. Si è dimesso per protesta contro il governo nazionale: «Fumose e lacunose norme di emergenza limitano l´attività dell´amministrazione locale, lo strapotere del governo su un territorio ‘ferito´, che cerca di rimettersi in cammino. La nostra città è stata chiusa in un recinto blindato all´interno del quale tutti noi cittadini, amministratori, politici, ci massacriamo sulla strategia da adottare per contrastare lo strapotere del governo sul nostro territorio. Siamo ostaggio di un governo – accusa l´assessore – che non ha il coraggio di affrontare con sincerità e senza faziosità la nostra situazione prendendosi, sì, i giusti meriti per quello che è stato fatto, ma con l´obbligo di riconoscere le difficoltà che ci sono sulla via della ricostruzione e sull´emergenza abitativa… Le giuste rivendicazioni dei nostri concittadini ci fanno capire che permane una fascia di popolazione che dovrebbe essere assistita con altri mezzi, risorse finanziarie ed ulteriori alloggi mai realizzati».

La Repubblica 15.06.10