scuola | formazione

"Sulla pelle dei bambini. Nel settore pubblico, tutti uguali?", di Maria Rosa Ardizzone

Ha ragione Sergio Luzzatto su Il sole 24 ore di oggi quando afferma che i settori del pubblico impiego non sono tutti uguali. Alla riduzione di spesa nella scuola non possono essere applicati gli stessi criteri di carattere quantitativo che possono regolare altri comparti della pubblica amministrazione. I precari non sono soltanto quantità e numeri, le ore assegnate alle discipline non sono soltanto numeri e neppure il tempo scuola. E questo vale in tutti gli ordini di scuola. In molti stentano a credere alla bandiera sventolata da questo governo che la scuola della qualità e del merito debba necessariamente passare per questi tagli indiscriminati. Questa tesi non convince i molti che di scuola si occupano da anni e che ci lavorano. Una tesi portata avanti dal governo in carica e dal Ministro che non riescono ad essere smontata neppure dai più accorti e diligenti giornalisti in conferenza stampa. Ne è la prova l’ultima conferenza stampa, tenuta ieri 2 settembre, a palazzo Chigi.

Gli interventi dei giornalisti non hanno centrato il vero bersaglio. Le domande sono state deboli e poco incisive, e pur toccando i temi di scottante attualità precari ecc., non sono riuscite, comunque, a stringere sulle contraddizioni e sulle criticità legate, ad esempio, al rapporto tra riduzione di spesa e promozione della qualità e del merito nella scuola. Le domande, così come sono state formulate, non hanno fatto altro che dare al Ministro ulteriori opportunità per riproporre, con gli stessi toni e parole, i concetti e i numeri presentati nella relazione di apertura della conferenza stampa. Nessun significativo passo avanti. Nessun contraddittorio vero. Le criticità del programma del Ministro non sono emerse, bensì soffocate dalle ragioni della riduzione del debito pubblico. La scuola va vista con occhi diversi e da tanti punti di vista.
Apriamone uno: il tempo pieno. I numeri del Ministro confermano l’incremento e non la diminuzione delle classi a tempo pieno, disegnando uno scenario diverso da quello delineato dai sindacati, dalle scuole e dai docenti precari e non. Come mai? I dati vanno correlati con gli altri fattori presenti nel segmento della scuola primaria. Cerchiamo di capire quali e come. Bisogna fare lo sforzo di entrare negli ingranaggi del funzionamento dell’ organizzazione didattica della scuola primaria, o meglio di come essa ha funzionato prima dell’era Gelmini. Non ci si può limitare ad una visione di superficie, prendendo in esame, ad esempio solo il fattore tempo pieno. La visione va allargata a tutta l’offerta di tempo educativo/ scuola a favore dei bambini. Dovrebbe essere a tutti chiaro che, nel momento in cui nella scuola primaria vengono aboliti i moduli, che consentivano ai bambini una permanenza a scuola di tre o addirittura quattro pomeriggi a settimana, l’effetto più drastico si manifesta nella riduzione dell’offerta di tempo educativo/ scuola. Molte scuole, che erano state in grado di generalizzare una offerta formativa molto prossima al tempo pieno, non sono più state in grado di mantenerla. Bisogna avere, allora, il coraggio di dire che queste opportunità educative non potranno più essere erogate dal sistema di istruzione pubblico. Che il tempo pieno nella scuola primaria, un modello pedagogico che, negli anni, ha fatto da volano per attuare nuove soluzioni organizzative e didattiche, e che ha introdotto nuove modalità per un utilizzo più flessibile delle risorse umane della scuola, in sinergia con i territori, ha esaurito la sua spinta innovativa. Che prima dei tagli, attuati da questo governo, i ragazzi avevano la possibilità di usufruire di spazi formativi per un tempo che andava ben oltre le 24 ore.
E’ il momento di guardare in faccia questa realtà, segnata da questi cambiamenti. La drastica diminuzione, sia quantitativa che qualitativa, dell’offerta di tempo educativo/scuola, destinata agli allievi, non può essere, ancora una volta, messa da parte e sottovalutata. Le assicurazioni del Ministro sull’incremento delle classi a tempo pieno non possono rassicurare coloro i quali temono una battuta d’arresto dell’offerta pubblica di qualità del nostro sistema di istruzione. Non è, quindi, sul numero delle sezioni a tempo pieno che si gioca questa partita. Bensì sulla riduzione del numero dei docenti, sulla riduzione delle ore di insegnamento, sull’introduzione drastica del docente unico. L’abolizione della contemporaneità dei docenti, un pacchetto di ore e di attività che i docenti mettevano a disposizione della propria scuola e degli allievi, intacca, ad esempio, una pedagogia finalizzata alla personalizzazione del processo di apprendimento e insegnamento.
L’ intervento, dunque, di riduzione di spesa non fa che aumentare le difficoltà degli allievi più bisognosi, delle famiglie e della scuola nel suo complesso. Non si può nascondere che ha avuto e continuerà ad avere conseguenze molto gravi sulla scuola primaria. Un segmento che, oltre a garantire al cittadino il diritto e il dovere all’ istruzione dovrebbe erogare alle famiglie un servizio pubblico di supporto educativo, in senso lato. Un servizio che non può essere considerato di mera assistenza, rientrando nel segmento delle buone politiche di welfare.
Anche sulla parola pubblico varrebbe la pena riaprire l’ennesimo dibattito. Sempre Luzzatto su Il sole 24 ore di oggi si chiede se i tagli nel settore della scuola e dell’università sono compatibili con quanto resta, in Occidente, dell’idea di pubblico. “Un pubblico – continua ancora Luzzatto- inteso non soltanto come spesa, né soltanto come servizio, ma come qualcosa di altrimenti importante e prezioso: un tessuto comunitario e, insieme, uno spazio civico”. La scuola, se continua ad essere parte della pubblica amministrazione, è altro rispetto agli altri settori. O almeno per molti di noi continua ad esserlo.

ScuolaOggi 07.09.10