cultura, memoria

"Via agli esploratori della memoria per riscoprire la Resistenza", di Tatiana Salsi

Nel marzo 1944 in tanti son partiti per andare tra i monti. Mancava un anno alla Liberazione e la battaglia più dura sarebbe arrivata da lì a poco. Giovani e pieni di una volontà che non sarebbe poi venuta a mancare ai più fortunati, per tutti gli anni successivi. I più non avevano mai preso in mano un’arma e all’improvviso si sarebbero trovati combattenti, spesso anche senza armi adeguate perché la Resistenza si faceva con poco, con gli avanzi e con quello che si recuperava dalle battaglie. La montagna reggiana ha molto da raccontare. Custodisce memorie e anche i segreti delle persone semplici. Ecco perché è tra i monti che si impara la storia della Resistenza. Una storia che raccoglie l’interesse di molti stranieri che arrivano a Reggio Emilia per farsi raccontare quelle pagine di storia dai protagonisti, i partigiani. Arrivano soprattutto dalla Germania e sono giovani con la passione della storia e che – lontano da revisionismi e rancori storici – cercano lo sguardo più vero per leggere le pagine dei libri. Sono già più di ottanta gli “esploratori della memoria” pronti a partire per la quattro giorni “Sentieri partigiani” organizzata da Istoreco. Si comincia giovedì e sarà la 16esima esperienza. Cerredolo, Toano, Cà Marastoni, Busana. E ancora: Ligonchio, Collagna e Succiso. Qui saranno soprattutto i partigiani a dire la loro, come Toni, Volpe e Mirko. Fernando Cavazzini, Francesco Bertacchini e Camillo Marmiroli di ricordi ne hanno a non finire, ma soprattutto devono rispondere a una domanda che gli rivolgono i giovani d’Oltralpe: perché? Toni si ferma e non si stupisce dell’interrogativo. «Ho deciso di fare il partigiano perché avevo visto l’eccidio delle Reggiane, dove ero tornitore meccanico. Mi ha sconvolto e mi ha reso quasi impossibile lavorare. Eppure si continuava la produzione delle armi, soprattutto aerei da guerra. I lavoratori delle Reggiane erano esonerati dal servizio militare, ma poi nel marzo ’44 è arrivata la cartolina. Così l’8 marzo me ne sono andato in montagna insieme ad altri 27». Tra i monti Fernando è rimasto per 14 mesi, fino al 25 aprile 1945 quando con la sua squadra – i sabotatori “Demonio” – ha aperto l’ingresso dei partigiani in città per la Liberazione. E pensare che era partito con l’idea di prestarsi come cuoco. Le cose sono però andate
diversamente. L’arma in mano – quella di un fascista catturato e interrogato dai partigiani mentre ancora
doveva raggiungere il presidio di Ligonchio – stentava a tenerla, ma la battaglia è arrivata nell’arco di due ore. Sarebbe stato uno degli scontri più feroci della Resistenza reggiana: la battaglia di Cerré Sologno che avrebbe fatto retrocedere i tedeschi, ma che sarebbe divenuta la causa storica dell’eccidio di Cervarolo. «Alle spalle c’era la montagna: per forza si doveva andare contro i tedeschi».
Quello è stato il battesimo di fuoco per Toni, che sarebbe poi diventato l’esperto di esplosivi alla guida della squadra “Demonio”. Se gli si domanda quale insegnamento può dare la Resistenza ai più giovani risponde: «Mai perdere la fiducia in sé stessi».

Info. www.istoreco.re.it.

L’Unità/Reggio Emilia 07.09.10