attualità, politica italiana

"Il Quirinale in campo", di Giuseppe D'Avanzo

Dinanzi alle parole violente e alle iniziative aggressive di un uomo che ha preso dimora stabile nell´inimicizia, si attendeva una parola saggia del presidente della Repubblica. Una parola che potesse indicare a tutti – e soprattutto a Silvio Berlusconi – un limite. Il confine insuperabile per una democrazia e per le istituzioni che la governano prima che quell´inimicizia privatissima e ostinata e ossessiva le distrugga. Prima che la stessa identità del sistema diventi rovina, macerie.
Quella parola saggia ora è arrivata dal Quirinale. Con una lettera al vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Giorgio Napolitano ha deciso di dedicare «il Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi» (il 9 maggio) ai servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la loro lealtà alle istituzioni repubblicane. «Tra loro – scrive il capo dello Stato – si collocano in primo luogo i dieci magistrati che, per difendere la legalità democratica, sono caduti per mano delle Brigate Rosse e di altre formazioni terroristiche».
Ricordiamone i nomi: Emilio Alessandrini, Mario Amato, Fedele Calvosa, Francesco Coco, Guido Galli, Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Vittorio Occorsio, Riccardo Palma e Girolamo Tartaglione.
Non c´è alcun convenzionalismo nella mossa del Capo dello Stato. Napolitano non tace le ragioni più autentiche della sua scelta. Che è esplicita e suona come un atto di accusa contro chi, come il capo del governo, da settimane aggredisce, insinua, minaccia, ingiuria, calunnia cianciando di «brigatismo giudiziario», premessa politica – e mandato morale – per un figurante, candidato a Milano nella lista del Pdl, che ha fatto affiggere manifesti che diffondono, con gran dispendio di mezzi, la stessa convinzione del premier: «Via le Br dalle procure».
«La scelta che oggi annunciamo per il prossimo Giorno della Memoria – scrive Giorgio Napolitano – costituisce una risposta all´ignobile provocazione del manifesto affisso nei giorni scorsi a Milano con la sigla di una cosiddetta “Associazione dalla parte della democrazia”. Quel manifesto rappresenta una intollerabile offesa alla memoria di tutte le vittime delle Br, magistrati e non. Essa indica come nelle contrapposizioni politiche ed elettorali, e in particolare nelle polemiche sull´amministrazione della giustizia, si stia toccando il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose esasperazioni e degenerazioni. Di qui il mio costante richiamo al senso della misura e della responsabilità da parte di tutti».
Napolitano indica un confine, abbiamo detto. Si può dire, un primo limite, un primo confine alla “strategia del ricatto” che Berlusconi ha inaugurato per rendersi immune dai processi che possono svelare quanto corrotta sia stata la sua avventura imprenditoriale (Mills) e quanto disonorevole e ricattabile e irresponsabile sia la sua vita di capo del governo (Ruby).
Il dispotico egomane pretende di essere «tutelato», come dice. Strepita, gesticola, urla, aizza rumorose pattuglie di comparse a pagamento. Esige che il Parlamento diventato cosa sua, proprietà personale, approvi leggi che lo liberino dalle accuse, dai processi, dai giudici di Milano: le manifestazioni che organizza dinanzi al palazzo di giustizia palesemente vogliono costruire le condizioni di un trasferimento dei dibattimenti in un´altra sede «per gravi motivi d´ordine pubblico», un espediente per allontanarlo dal giudice naturale. La prescrizione ancora più breve (approvata alla Camera, ora al Senato) non gli può bastare. Reclama che anche il processo per concussione e prostituzione minorile sia sospeso in attesa che la Corte costituzionale decida se il Parlamento può stabilire contro i giudici la «ministerialità» dei reati contestati al Cavaliere. In caso contrario, una nuova legge è già pronta. Per condizionare le volontà della magistratura, influenzare le scelte della Consulta, ottenere (come dicono spudoratamente gli araldi del potere berlusconiano) un impegno di Giorgio Napolitano «in una sorta di moral suasion sulla Corte costituzionale, chiamata ad esprimersi», il premier spinge la riforma costituzionale della magistratura; la responsabilità civile delle toghe; la legge bavaglio sulle intercettazioni; l´introduzione del quorum dei 2/3 per le decisioni della Consulta che abrogano una legge per incostituzionalità. Berlusconi le chiama «riforme». Sono soltanto le poste del ricatto che egli lancia contro le istituzioni della Repubblica. Il programma, dimentico delle vere necessità di un Paese in crisi abbandonato al suo destino da un governo fantasma, ha un solo obiettivo: mostrare come il premier sia disposto – se non ottiene la «tutela» immunitaria – a «decostituzionalizzare» la nostra democrazia, come dice Stefano Rodotà, ribaltandone i principi, le regole, gli equilibri, i poteri.
Napolitano è il primo e più autorevole ostacolo a questo disegno ricattatorio. Dovrà decidere della ragionevolezza della prescrizione breve. Giudicare l´esistenza di una palese incostituzionalità di un riforma del pubblico ministero che affida a leggi ordinarie – e quindi a chi governa momentaneamente in Parlamento – materie oggi protette dalle garanzie della Carta fondamentale. Difendere l´indipendenza della Corte costituzionale dalla longa manus del potere politico. Vigilare sui diritti dell´informazione. Le sagge parole di oggi, ricordano a chi vuole screditare le istituzioni e ribaltare l´equilibrio democratico che c´è un limite oltre il quale si manifestano «degenerazioni» che egli non tollererà. A Napolitano è toccato in sorte il più ingrato dei ruoli politici. È il custode della Costituzione. È chiamato a difenderla e proteggerla da partiti e uomini che, in quella Costituzione, non credono; che quella Costituzione disprezzano e umiliano. È la condizione estrema in cui si trova il nostro presidente della Repubblica. Avrà bisogno del sostegno di tutto il Paese per affrontare i conflitti che lo attendono.

La Repubblica 19.04.11

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Napolitano difende i giudici

“Ignobili quei manifesti sulle Br in procura, stiamo toccando il limite”. In una lettera al vicepresidente del Csm, Michele Vietti, il capo dello Stato ha definito i manifesti fatti affiggere a Milano dal candidato del Pdl Roberto Lassini (“via le Br dalle procure”) «un´intollerabile offesa alla memoria di tutte le vittime delle Br, magistrati e non». Giorgio Napolitano ha inoltre deciso di dedicare «ai magistrati» la Giornata della memoria delle vittime del terrorismo (9 maggio). Il presidente della Camera Gianfranco Fini: «Il presidente della Repubblica interpreta il sentimento degli italiani».
Quante «pericolose esasperazioni» sulla giustizia, che «ignobile provocazione» su quei manifesti. Ha lasciato trascorrere solo poche ore, il capo dello Stato. Osservato con paziente e silenziosa preoccupazione l´escalation di un fine settimana da incubo, per gli equilibri istituzionali. I due comizi del premier Berlusconi contro la magistratura ormai «associazione a delinquere con finalità eversive», le immagini dei muri di Milano tappezzati da manifesti contro le «Br in procura». Lo start di una campagna elettorale che chissà dove potrebbe portare.
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano mette per iscritto le sue valutazioni, una lettera al vicepresidente del Csm Michele Vietti resa pubblica per annunciare la decisione di dedicare la Giornata delle vittime del terrorismo e delle stragi, il 9 maggio al Quirinale, in particolare «ai dieci magistrati caduti per mano delle Brigate Rosse e di altre formazioni terroristiche». Ogni riferimento è tutt´altro che casuale. La scelta, spiega, «costituisce anche una risposta all´ignobile provocazione del manifesto affisso nei giorni scorsi a Milano con la sigla di una cosiddetta “Associazione dalla parte della democrazia”, per dichiarata iniziativa di un candidato alle imminenti elezioni comunali nel capoluogo lombardo». Manca solo il nome e cognome di Roberto Lassini, aspirante consigliere della lista capitanata da Silvio Berlusconi (e per nulla intenzionato a farsi da parte). «Quel manifesto rappresenta una intollerabile offesa alla memoria di tutte le vittime delle Br, magistrati e non» sono ancora parole del capo dello Stato che di quei giudici ricorda i nomi, uno per uno: Emilio Alessandrini, Mario Amato, Fedele Calvosa, Francesco Coco, Guido Galli, Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Vittorio Occorsio, Riccardo Palma e Girolamo Tartaglione.
Il Colle è stato scosso dal fragore degli ultimi fendenti del premier. Il patto scellerato pm-Fini, l´associazione a delinquere, l´eversione. La convinzione ormai maturata è che «nelle contrapposizioni politiche ed elettorali, e in particolare nelle polemiche sull´amministrazione della giustizia, si stia toccando il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose esasperazioni e degenerazioni». Un monito che ha tutto il sapore dell´ultimo avvertimento. Solo l´ultimo di una serie, Napolitano ricorda il suo «costante richiamo al senso della misura e della responsabilità da parte di tutti». Finora caduto nel vuoto.
Che si tratti di un ultimo appello lo lascia intendere anche il destinatario della missiva. Secondo il numero due del Csm Vietti tutti farebbero bene a riflettere su questa «considerazione finale». La commissione di inchiesta proposta dal premier è «una provocazione» alla quale, sostiene, il Parlamento non dovrà dar seguito. Berlusconi, a suo dire, ha solo un´attenuante, «forse in questo momento non è sereno per le personali vicende processuali», ma non basta a giustificare. Quel che è certo è che la lettera allarga il solco tra Palazzo Chigi e il Quirinale, alla vigilia dell´approdo di nuove leggi ad personam. Lo si comprende dal tono delle reazioni berlusconiane. Il capogruppo Cicchitto conferma che c´è «un uso politico della giustizia», pur prendendo le distanze dai manifesti milanesi, il suo vice Osvaldo Napoli sostiene che l´invito «non può essere letto come unilateralmente indirizzato alla politica e al premier», ma anche ai magistrati che non devono interferire col Parlamento. Bossi e la Lega, come spesso in questi casi, si defilano in silenzio. Le opposizioni accolgono con soddisfazione le parole di Napolitano, sono «una lezione di civiltà» secondo i dipietristi, «sacrosante e precise perché siamo già dentro la degenerazione», dice il leader Pd Bersani. Condiviso l´allarme, per democratici, Idv e terzo polo l´unica via per superare il conflitto istituzionale resta il voto anticipato.

La Repubblica 19.04.11

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“Clima di linciaggio irrespirabile dal Colle una boccata d´aria fresca”, di Salvo Palazzalo

Ingroia: è vero che l´Europa ci chiede un processo breve, ma non la sua prescrizione rapida. Per avere una giustizia efficiente servono fondi, mentre i tagli fatti agli straordinari hanno avuto pesanti ripercussioni. «Il messaggio del presidente Napolitano è una boccata di aria fresca in questo clima irrespirabile di continuo linciaggio mediatico nei confronti della magistratura», dice il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia. «Ma temo che da solo non sia sufficiente», precisa.
Qualche tempo fa, lei stesso aveva lanciato un invito al dialogo fra politica e magistratura sui temi della riforma della giustizia. Non vede più spazio per quel dialogo?
«La polemica politica ha raggiunto ormai un livello tale da offendere anche la memoria di quei magistrati che hanno pagato con la vita il loro impegno, nella lotta al terrorismo e alla mafia. Ecco perché il messaggio di Napolitano è salutare e provvidenziale. È un richiamo alla memoria di un intero Paese».
Ma la riforma del processo breve continua a non convincerla?
«Intendiamoci. Certo che l´Europa chiede un processo breve, come sentiamo ripetere ormai da settimane. Ma un processo breve, appunto, non una prescrizione breve del processo. Con questo progetto di riforma del governo mi sembra proprio di assistere alla morte breve del processo. Anzi, alla dolce morte del processo. E chi ne paga le conseguenze sono, ancora una volta, le vittime dei reati».
Pensa ad altre priorità nella riforma della giustizia?
«L´Europa chiede un processo breve nel senso di una giustizia più efficiente ed autorevole. Non mi sembra che l´Italia stia rispondendo in questa direzione. La riforma in discussione rende una giustizia inefficiente soprattutto perché mortifica le aspettative delle vittime dei reati e sicuramente gratifica gli imputati, soprattutto quelli potenti. E fra i potenti ci sono anche i mafiosi».
Lei quale risposta suggerirebbe per una giustizia più efficiente?
«Ci vogliono mezzi umani, legislativi e finanziari. Per i magistrati e per i loro collaboratori. Offro un esempio: i tagli fatti allo straordinario di tutto il personale della giustizia e delle forze dell´ordine hanno avuto pesanti ripercussioni sull´attività dei magistrati e della giustizia nel suo complesso. Negli anni Novanta, avevamo uomini a disposizione dalla mattina alla sera, in Procura si lavorava a pieno ritmo. Oggi, dalla mattina alla sera ci sono solo i magistrati, anche se purtroppo i vuoti in organico sono pesantissimi. Senza il personale di cancelleria si può fare davvero poco. Oppure, il magistrato deve disperdere le proprie energie per fare persino le fotocopie, quando le macchine fotocopiatrici funzionano. Vuole un altro esempio dell´effetto dirompente determinato dai tagli della giustizia?
Prego.
«Negli ultimi giorni, la mia vettura di scorta si è fermata per ben tre volte in mezzo alla strada, perché è ormai vetusta e il parco auto del ministero dell´Interno va sempre a peggiorare».
Tornando alla riforma della giustizia. Cosa sarebbe necessario per il suo lavoro di indagine?
«Di certo, le intercettazioni restano uno strumento indispensabile, ma si discute addirittura della loro limitazione. Non credo che l´Europa voglia anche questo. Di recente, ho partecipato a un incontro organizzato al parlamento europeo, dove si è discusso delle azioni di contrasto alla mafia a livello nazionale e internazionale. A questo l´Europa è interessata. Non mi pare che una giustizia che va verso prescrizioni brevi e processi lunghi sia sulla strada per essere una giustizia autorevole e all´altezza delle sfide con i grandi poteri criminali».

La Repubblica 19.04.11

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Giudici BR, Napolitano: “Sulla giustizia toccato il limite. I manifesti ignobile provocazione”

Il Capo dello Stato dedica ai magistrati uccisi dai terroristi la Giornata delle vittime delle stragi. Bindi: “Napolitano saggio e tempestivo”. Bersani: “Parole sacrosante, la Milano democratica reagirà”. Franceschini e Zanda leggono alla Camera e al Senato la lettera di Giuseppe Galli, figlio del giudice ucciso da Prima Linea. In una lettera inviata al vice presidente del CSM Michele Vietti e resa nota dal Quirinale, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha annunciato la decisione di dedicare la celebrazione della Giornata delle vittime del terrorismo e delle stragi, prevista il 9 maggio prossimo al Quirinale, «in particolare ai servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la loro lealtà alle istituzioni repubblicane. Tra loro -sottolinea Napolitano -, si collocano in primo luogo i dieci magistrati che, per difendere la legalità democratica, sono caduti per mano delle Brigate Rosse e di altre formazioni terroristiche». «La scelta che oggi annunciamo per il prossimo Giorno della Memoria – afferma Napolitano – costituisce anche una risposta all’ignobile provocazione del manifesto affisso nei giorni scorsi a Milano con la sigla di una cosiddetta «Associazione dalla parte della democrazia», per dichiarata iniziativa di un candidato alle imminenti elezioni comunali nel capoluogo lombardo. Quel manifesto rappresenta, infatti, innanzitutto una intollerabile offesa alla memoria di tutte le vittime delle BR, magistrati e non. Essa indica, inoltre, come nelle contrapposizioni politiche ed elettorali, e in particolare nelle polemiche sull’amministrazione della giustizia, si stia toccando il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose esasperazioni e degenerazioni. Di qui il mio costante richiamo al senso della misura e della responsabilità da parte di tutti».

“Il presidente Napolitano dimostra ancora una volta di esercitare il proprio ruolo di garanzia a difesa della dignita’ delle Istituzioni democratiche con grande equilibrio e fermezza. La decisione di dedicare il giorno della memoria delle vittime del terrorismo ai tanti valorosi magistrati uccisi dalle Br e’ un saggio e tempestivo richiamo al rispetto della verita’, un monito affinche’ il ricordo del loro impegno e del loro sacrificio non venga deturpato da volgari e pericolose mistificazioni.” Lo dice Rosy Bindi, presidente dell’Assemblea nazionale del Pd e vicepresidente della Camera dei deputati

E’ ottimista il segretario del Pd: “Io sono certo che la civilissima e democratica Milano saprà reagire al degrado a cui la destra berlusconiana e leghista l’ha costretta negli ultimi anni – ha detto Pier Luigi Bersani commentando i manifesti – il Capo dello Stato ha la sacrosanta ragione nel dire che quei manifesti sono un insulto alle vittime del terrorismo”.

Per stigmatizzare la gravita’ dei manifesti che hanno invaso le strade di Milano il presidente dei democratici alla Camera, Dario Franceschini e il vicepresidente al Senato, Luigi Zanda hanno letto in apertura di seduta in entrambi i rami del parlamento la stessa la lettera del figlio del giudice Guido Galli, ucciso da ‘Prima linea’ nel 1980, pubblicata oggi dal Corriere della Sera. La “delegittimazione” sistematica, scrive Giuseppe Galli, “di un’intera categoria, da parte di una classe politica la cui irresponsabilita’ e’, forse, inferiore solo alla follia di chi stampa certi manifesti, non fa altro che indebolire le istituzioni e rendere piu’ vulnerabili tutti noi”.

“Non voglio entrare nè sollevare un dibattito sui manifesti comparsi a Milano – ha spiegato Franceschini – ma voglio utilizzare mio intervento per leggere la bellissima e nobile lettera che Giuseppe Galli ha pubblicato” perchè penso che “dovrebbe servire a tutti noi per le scelte che il Parlamento dovrà fare nei prossimi giorni, usiamole come elemento di riflessione, sono parole di grande dignità”.
“Gli attacchi che da mesi si susseguono contro i magistrati, e soprattutto contro la Procura di Milano, toccano il culmine con un’accusa verso quei giudici il cui solo torto è di far rispettare le leggi e applicare la giustizia – ha scritto Giuseppe Galli -. La delegittimazione sistematica di un’intera categoria, da parte di una classe politica la cui irresponsabilità è forse inferiore solo alla follia di chi stampa certi manifesti, non fa altro che indebolire le istituzioni e rendere più vulnerabili tutti noi”. “C’è amarezza – è scritto ancora nella lettera – in chi tanti anni fa ha visto il proprio padre assassinato dai terroristi e oggi, nella città in cui vive, legge certe parole che, così come allora Guido Galli cadde con il Codice in mano, oggi tanti altri magistrati, tenaci e coraggiosi, con quello stesso Codice, applicano le leggi”.

Marco Laudonio

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