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"Il Governo programma il calo della spesa pubblica per la scuola fino al 2040. Dal 4,5% del PIL al 3,2%", di Fabrizio Dacrema

Il Documento di Economia e Finanza 2011 presentato dal governo prevede fino al 2040 la graduale diminuzione della spesa per l’istruzione, già pesantemente inferiore alla media europea, dal 4,5% al 3,2% del PIL. Secondo il Ministro Gelmini i pesanti tagli lineari che stanno destrutturando la scuola pubblica sono necessari per “liberare” risorse dalla spesa corrente (in gran parte stipendi) agli investimenti per la qualità. Ancora una volta il Ministro Tremonti rivela la totale inconsistenza di questa versione dei fatti: gli investimenti non ci saranno, il ridimensionamento della spesa pubblica della scuola continuerà per altri 30 anni, fino a farci scendere al 3,2% del PIL. Sulla base di queste previsioni le tabelle finanziarie del DEF indicano una riduzione di spesa per i sistemi della conoscenza di 4,5 miliardi per ognuno degli anni 2012, 2013, 2014, per un totale di 13,5 miliardi nel triennio.

Le previsioni del documento economico del governo, basate sui dati previsionali relativi alla popolazione scolastica, escludono investimenti strutturali per migliorare la qualità dell’offerta formativa, ridurre la dispersione scolastica, migliorare l’edilizia scolastica, aumentare gli stipendi degli insegnanti e le risorse per il diritto allo studio. I risparmi della spesa scolastica prodotti dai tagli saranno utilizzati solo per contenere il deficit pubblico, nonostante nelle tabelle del documento economico-finanziario del governo si evidenzi l’arretratezza del nostro paese rispetto ai target Europa 2020 riguardanti l’abbandono scolastico (16% contro 10%), numero dei laureati (26% contro 40%), investimenti in ricerca e sviluppo (1,53% contro 3%).

Continua, quindi, quanto è già accaduto con i tagli in corso: il previsto reinvestimento del 30% non è stato utilizzato per migliorare la qualità del sistema, ma per restituire temporaneamente agli insegnanti gli scatti di anzianità bloccati unilateralmente dal governo. Senza una radicale inversione di tendenza, gli investimenti italiani in formazione e ricerca continueranno ad allontanarsi dai paesi più virtuosi (quelli scandinavi investono nell’istruzione più del 7% del PIL), compromettendo a medio e lungo termine le prospettive di sviluppo economico e civile del paese.

Da ScuolaOggi 22.04.11

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