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"Il lavoro manuale fa rima con istruzione qualificata", di Michele Dau

La presa in giro dei giovani prosegue alla grande. Se non trovate lavoro è perché praticate gli studi più sofisticati e scansate ogni lavoro faticoso. È questo il nuovo mantra pasquale di certi ministri berluscones ex socialisti (che quindi si sentono più furbi di tutti). Togliete il lavoro manuale a un senegalese o a un marocchino e sarete a posto. Il messaggio dovrebbe anche rassicurare taluni elettori benpensanti e un po’ razzisti.
Questa propaganda “intelligente” deve essere contrastata con determinazione. Non è vero che i giovani rifiutano il lavoro manuale e operaio perché faticoso e “sporco”: più di un terzo dei lavoratori dipendenti sono operai, e quasi un terzo degli operai sono giovani con meno di 35 anni. Chi lo afferma nega la realtà e offende la dignità dei loro nonni e dei loro padri, spesso operai anche loro.
Le sfide dell’economia moderna suggeriscono invece percorsi più concreti e credibili di quelli evocati dai nostri ministri: manifattura e conoscenza si intrecciano sempre di più, tecnologie e abilità manuali sono interconnesse, esperienze pratiche e nuovi saperi sono indispensabili per rispondere alle domande di innovazione e di qualità presenti in ogni settore.
Queste cose la gran parte dei giovani le conosce molto bene e cerca, in ogni modo, nella precarietà di questi anni, di costruire la propria strada. Contrapporre il diritto costituzionale a una istruzione qualificata, con il diritto al lavoro vuol dire non conoscere la grammatica sociale elementare, non solo a livello costituzionale, ma nel sentire comune delle persone.
Bisogna dare dignità al lavoro manuale e operaio, al lavoro artigiano, al lavoro agricolo, al lavoro tecnico di manutenzione, al lavoro nell’edilizia specializzata e nell’ambiente. In tutti questi casi ci vuole più sicurezza e un miglior salario, come chiedono unitariamente i sindacati. Si tratta di lavori sempre più importanti e preziosi in una società moderna sempre più organizzata e ricca di beni e di servizi avanzati.
Per alzare la quantità dei giovani verso queste linee di attività ci vuole più istruzione, più educazione e più orientamento serio da parte delle strutture pubbliche. Gli esempi e le direttive pubbliche negli ultimi anni sono state devastanti: un ministro lombardo del settore scolastico che va in Calabria a svolgere l’esame di avvocato; un presidente del consiglio che invita le ragazze a fare le veline o a cercare un marito ricco per svoltare, e i ragazzi o i cassaintegrati a cercare lavoretti in nero. Gli effetti di questo “dis-orientamento” si vedono nei fatti. Tra il 2008 e il 2009 gli studenti delle scuole tecniche sono diminuiti del 2,5%.
Mentre gli studenti che hanno partecipato a percorsi di scuola-lavoro sono cresciuti del 50% nel 2006-2008 e solo del 3% nel 2009-2010. Le riforme fatte dal centrosinistra alla fine degli anni novanta, e nella sfortunata legislatura scorsa, erano tutte nella direzione giusta: bisogna ricordarsele queste cose. Negli ultimi anni, purtroppo, il degrado è stato crescente. L’attacco sistematico alla scuola pubblica, all’università, alla ricerca, alla cultura storico-letteraria, alla cultura scientifica: un grottesco universo abitato solo da “comunisti” da abbattere con disprezzo.
Riproporre antiche divisioni del lavoro (tra operai e intellettuali) vuol dire tornare indietro di cento anni, quando certi socialisti e i fascisti rivoluzionari intorbidavano insieme le acque del paese. Ma la residua forza del centrodestra in agonia politica non risiede soltanto in questa propaganda primitiva. Bisogna piuttosto guardare alla società corporativa e protetta, alle lobbies commerciali e professionali, a tutti quelli che vivono di grandi e piccole rendite al riparo da ogni ragionevole competizione.
Sistemi di grandi servizi pubblici e privati, reti professionali chiuse ed esose, gruppi di imprese fornitrici sempre privilegiate per i circuiti particolari: sono questi i nemici veri dei giovani e della crescita del paese.
Tornate al “lavoro manuale” detto da questi interessi, e da chi li rappresenta, vuol dire rinunciate a leggere più libri, ad andare a teatro, a commuovervi con la poesia; rinunciate ai vostri diritti, alle vostre speranze, al vostro futuro. E questo i giovani, e tutti lavoratori disoccupati, non possono proprio accettarlo.

da Europa Quotidiano 28.04.11