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"Ora Bersani guarda a palazzo Chigi", di Rudy Francesco Calvo

Il segretario del Pd incassa il risultato della vittoria elettorale: tutto il partito è con lui. Pier Luigi Bersani sa di aver conquistato una centralità che sembrava lontana fino a poco tempo fa. Centralità del Pd nel dibattito politico, certificata dalle ultime elezioni amministrative.
Centralità all’interno del suo partito, dimostrata dal voto unanime alla sua relazione a conclusione della direzione di ieri. Ha tenuto ferma una linea (il Pd come perno di uno schieramento di “ricostruzione” dalle macerie post-berlusconiane), con progressive lievi correzioni di rotta, che lo hanno avvicinato alla minoranza interna e, soprattutto, alle esigenze avvertite dagli elettori.
Difficile dire oggi (come continua a fare la destra) che il Pd non ha vinto le elezioni.
Per Bersani è più facile rivendicare «la scelta di mettere il Pd al servizio di una riscossa civica e dei candidati del centrosinistra», riuscendo a intercettare un movimento nato con le manifestazioni di donne e giovani, senza volerlo cavalcare, ma seguendolo nel suo percorso.
In questo senso, Bersani abbandona anche le tentazioni politiciste che qualcuno gli attribuiva di un accordo “di vertice” con il Terzo polo (e fa più notizia il fatto che anche D’Alema ieri abbia rimbrottato i centristi). Il segretario parla piuttosto di un Pd come «primo partito italiano » (e i sondaggi iniziano a confortarlo in proposito), ritenendo secondario il fatto che la congiunzione con altre aree avvenga «tra elettori o tra forze politiche».
I dem hanno abbattuto gli steccati e tanto basta. E anche guardando a sinistra non esistono timori di essere “scavalcati”, tanto da forzare la mano su Vendola, chiedendo «un patto chiaro ed esigibile» anche su temi delicati come la politica estera. Mentre alle tentazioni antipolitiche di grillini e dipietristi Bersani oppone un solido piano di riduzione dei costi della politica, a partire dai vitalizi di parlamentari e consiglieri regionali.
Che si chiami «vocazione maggioritaria» o, come preferisce il segretario, «investimento sul Pd», è su questa linea che il partito si è ricompattato. Ed è su questa linea che proseguirà il proprio lavoro nei prossimi mesi, senza dare per scontato (e non lo fa proprio Bersani per primo) che sarà sempre così: «Saluto con grande soddisfazione l’unanimità sulla mia relazione – ha chiarito – ma non ci aggiungo nessuna considerazione di carattere politico: la prossima volta potrà anche non essere così».
Nell’immediato, l’obiettivo dei dem è il raggiungimento del quorum ai referendum. Poi una nuova riunione della direzione preparerà uno dei due appuntamenti autunnali, quello dedicato all’organizzazione del partito. Ad anticiparlo sarà una discussione molto ampia che coinvolgerà la base: un modo per mettere al sicuro le primarie, che partendo da questi presupposti difficilmente potranno subire particolari restrizioni. Sempre per l’autunno è fissata una convention, che farà la sintesi del lavoro programmatico dei mesi scorsi: da qui uscirà quel programma «chiaro ed esigibile» basato su «un patto democratico e un nuovo patto sociale e dei saperi», sulla base del quale il Pd si confronterà con i possibili alleati.
Una road map che conduce fino alle prossime elezioni politiche, trovando eventualmente i dem già pronti per il 2012. Ma Bersani sa bene che anche le sue quotazioni da candidato premier oggi sono più alte che mai. Lui continua a mettere davanti alle persone «il progetto», ma non nega che la sua strada ormai è libera da eventuali «congressi scimmiottati» (il riferimento è alla “verifica” prospettata da Mo- Dem prima del voto). Fioroni, al massimo, chiede il passaggio attraverso le primarie, indicando comunque lo stesso Bersani come candidato di «un gruppo dirigente unito e coeso». Mentre le amministrative hanno dimostrato che gli elettori rifiutano ormai le strumentalizzazioni sulla storia delle persone: forse il centrosinistra non ha più bisogno di un candidato premier “moderato”.

Da Europa Quotidiano 07.06.11

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“Bersani: il Pd sarà il pilastro dell´alternativa”, di Giovanna Casadio

Scontro con Vendola. D´Alema: dal Terzo polo “furbizie”. L´Udc: sei come Berlusconi. Il segretario Pd chiede “affidabilità” I big discutono la riforma elettorale.
Mai successo nei venti mesi della sua segreteria: Bersani prende il microfono e il “parlamentino” del partito al completo lo applaude. Uniti questa volta. E all´unanimità passerà, alla fine, la sua relazione. Pd galvanizzato quindi dai «risultati eccellenti delle amministrative»: così li definisce Bersani, carico e rilassato, camicia grigia e cravatta rosso scuro. C´è spazio per le battute («Nel rilancio del Pdl l´unica cosa giovane sono i capelli di Berlusconi»); per l´analisi («Giusto mettere il Pd al servizio di una riscossa civica e dei candidati di centrosinistra»); per le proposte («Adesso il Pd deve investire nel risultato ottenuto concentrandosi su referendum, programma per l´alternativa, consolidamento del partito»).
Ma è sull´orgoglio dei Democratici che il leader punta e assicura: «Vogliamo essere il primo partito italiano, si apre una fase nuova per il paese». È tempo di prepararsi al voto politico, che è la strada maestra, senza tuttavia escludere un «breve» esecutivo per la riforma elettorale. Cosa che sta a cuore a tutti, tanto che domani è stato convocato un “caminetto” del big per decidere quale sarà la proposta democratica. Tempo anche di pensare al “dopo”, al governo del paese. Bersani qui va all´attacco: niente Unione, nessuna «carovana», gli alleati, in particolare quelli di Sel, devono mostrarsi affidabili. È la miccia che innesca lo scontro con Nichi Vendola, che governa con il Pd la Puglia e non può tollerare si dimentichi che Pisapia, il neosindaco di Milano, e Zedda, il neosindaco di Cagliari, sono appunto di Sel: «Da Bersani una dichiarazione pelosa – accusa Vendola intervistato a Repubblica-tv – e un po´ meschina». Il segretario replica: «Nessuno vuole fare il maestrino ma ci vuole un patto chiaro e esigibile con il paese». Vendola infine si dichiara soddisfatto. Incidente chiuso ma nervi tesi. Tensione anche con l´Udc. A provocarla è D´Alema che difende l´ipotesi di governo di transizione, polemizza con l´Unità, invita a non fare gli errore del ‘93-´94 (vinte le comunali, la sinistra perse le politiche), e critica «le pigrizie e le furbizie» del Terzo Polo i cui elettori si mischiano, sono più avanti. Sul sito dell´Udc un post-it paragona D´Alema a Berlusconi che voleva tirare con sé gli elettori centristi: entrambi fanno un «errore fatale».
Molta la carne al fuoco nel Pd. Bersani promettere di «mettere in sicurezza» le primarie. Dalla platea ironizzano: meglio dire che le primarie sono una sicurezza. Pippo Civati e i rottamatori presentano un bel documento sulle «dieci domande democratiche»: ricambio, primarie, accompagnare il vento del cambiamento. Beppe Fioroni afferma che potrebbe andare bene Bersani candidato premier ma non perché lo vuole lo statuto, bensì se «il partito sarà coeso sulla proposta politica». Sembra un´offerta. «Bene Pierluigi, ora il partito al centro di un nuovo ciclo politico», esorta Veltroni. A questo punto c’è chi ipotizza un allargamento della maggioranza che inglobi pure i Modem (Fioroni, Veltroni, Gentiloni), la minoranza. Sul partito si terrà «una conferenza» per parlare di primarie, organigramma, organizzazione locale. Tema scivoloso. Drammatica è la situazione al Sud, a Napoli, in Calabria, dove il Pd ha perso ed è balcanizzato. Il commissario del partito calabrese Musi ieri si dimette. Meta commenta: «Bersani ha fatto un capolavoro al nord ma è ora di rifondare il partito al sud». Ci sarà un´assemblea di amministratori e giovani del Meridione. «È in campo una proposta per i giovani e le donne», chiosa Anna Finocchiaro.

La Repubblica 07.06.11