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"Riformiamo la Rai per esserne orgogliosi", di Matteo Orfini

Secondo il responsabile cultura Pd l’azienda «ha bisogno di ripartire
scrollandosi di dosso mesi di paralisi. Per questo chiederemo
di calendarizzare la proposta di Rognoni al più presto in Parlamento». Il caso Santoro e più in generale le cronache di questi giorni trasmettono la sensazione desolante di una Rai ferma e ingovernabile, paralizzata dalla politica in un perenne stato d’eccezione. Al paese servirebbe, invece, un’azienda in grado di svolgere la funzione di servizio pubblico innovando contenuti e contenitori, sperimentando, guidando la transizione digitale, aggredendo i nuovi mercati che si aprono, nel Mediterraneo e non solo. Può fare tutto questo la Rai di cui quotidianamente seguiamo le convulsioni? Può farlo un’azienda in cui palinsesti, nomine e assunzioni sono di fatto delegate alla magistratura (per fortuna, viene da dire, dato che se ciò accade è per sanare abusi)?
Un’azienda che, salvo la straordinaria eccezione del programma di Fazio e Saviano e il coraggioso tentativo di Potere, è sempre uguale a se stessa da dieci anni? Se oggi paventiamo il rischio di perdere le star più note è perché dietro di loro ben poco è stato fatto crescere, e i volti principali nascondono con il loro carisma e la loro professionalità la povertà di format sempre uguali (possiamo cambiare titoli e alternare conduttori, ma sempre di interviste e dibattiti stiamo parlando).
La Rai ha bisogno di ripartire, scrollandosi di dosso mesi di paralisi, e ha bisogno di farlo recuperando anzitutto criteri oggettivi di scelta che mettano al centro la professionalità. Su questo misureremo il management del dopo Masi, consapevoli che agire in questa direzione significa rompere il legame con la politica, cominciando con il recidere il rapporto perverso e improprio che l’azienda ha avuto con il premier.
Se davvero la scelta di risolvere il rapporto di lavoro con Santoro ha alla base l’esigenza, astrattamente condivisibile, di restituire all’azienda autonomia editoriale rispetto all’obbligo, stabilito per sentenza, di prevedere in palinsesto Anno Zero, ora però il dg faccia tutto il possibile per trattenere Santoro ed evitare che vada a rafforzare la concorrenza. E cerchi di ricostruire un’etica dei comportamenti aziendali che consenta ai principali protagonisti dei successi della Rai di sentirsi supportati dalla direzione e non tollerati con insofferenza quando non addirittura boicottati. Il futuro della Rai dipende anzitutto dall’assunzione diuna responsabilità collettiva, la missione di un rilancio a cui tutti i lavoratori dirigenti e amministratori devono contribuire per prima cosa confermando lealtà all’azienda: non si può lavorare per rafforzare il servizio pubblico e contestualmente ammiccare
ai concorrenti.
Le vicende di queste giorni confermano che è indispensabile avviarsi su una strada di riforma coraggiosa della governance della Rai: lo spettacolo desolante di un consiglio di amministrazione trasformato inun parlamentino politico paralizzante, in cui consiglieri di amministrazione diventano terminali di pressioni politiche o punti di riferimento di cordate aziendali se non addirittura di interessi imprenditoriali esterni è la dimostrazione più evidente dell’esigenza di
riforma. Per questo chiederemo nuovamente di calendarizzare al più presto la discussione sulla nostra proposta elaborata da Carlo Rognoni e depositata in Parlamento.
In attesa di una riforma è però indispensabile che chi oggi guida la Rai, a cominciare dal direttore generale e dal presidente, si misuri a viso aperto con questa sfida. Se lo saprà fare, liberandosi da veti e condizionamenti, riuscirà senz’altro a fare il bene del servizio pubblico.
Noi, come ha giustamente sottolineato Pier Luigi Bersani, non abbiamo e non vogliamo avere «nostri» uomini in Rai. Ma chiediamo che la Rai torni a essere un’azienda di cui il paese possa essere orgoglioso.

L’Unità 09.06.11