attualità, politica italiana

"Tutto in suo nome", di Aldo Schiavone

Il Parlamento è prigioniero degli incubi di un uomo che è stato un leader e che ora non riesce a pensare ad altro che alle sue paure e alle sue ossessioni. Non vi sono strategie, non vi sono programmi. La salvezza privata si fa ragion di Stato e diventa l´unico orizzonte in cui muoversi. Allungare i tempi del processo penale con una modifica legislativa che sarebbe un azzardo chiamare riforma, è l´ultima cosa di cui l´Italia avrebbe in questo momento bisogno.
Con una scelta senza precedenti, tutte le forze produttive che tengono in piedi il nostro sistema economico hanno chiesto solennemente una svolta, una “discontinuità” nella politica e nel governo. Ogni giorno appare sempre meglio che la manovra appena votata non basta, e che bisognerà probabilmente impostarne una nuova, probabilmente drammatica. La speculazione finanziaria ha puntato il mirino sulla nostra fragilità finanziaria. Un numero crescente di famiglie sente sul collo il fiato di una povertà che sembrava dimenticata per sempre. Eppure tutto questo non basta. Che l´Italia attraversi la crisi più grave dal dopoguerra non è sufficiente perché la maggioranza, il governo, il Parlamento siano lasciati liberi di occuparsi del nostro destino: verso dove stiamo andando, che cosa è diventata e diventerà l´Italia, come proteggerci dalle minacce che ci circondano. No, il Senato dovrà discutere e votare a rotta di collo la fiducia su un disegno di legge che modifica la struttura del processo penale, prevedendo la possibilità di un suo allungamento illimitato, perché la sua durata possa incrociare più facilmente i tempi di prescrizione dei reati, in una sinergia micidiale che costituisce una vera e propria “denegata giustizia”, e che sta facendo disperare l´Associazione nazionale magistrati.
Ma il governo, la maggioranza, il presidente del Consiglio hanno deciso che questa è la prima urgenza degli italiani: il resto può venire dopo; conta solo allontanare dal Capo l´ombra di (possibili) condanne. Bisogna avere il coraggio civile di ammetterlo: fino a qualche tempo fa – agli inizi stessi del berlusconismo – tutto questo sarebbe stato inconcepibile. Non diciamo la sfrenata deriva personalistica, lo stravolgimento di ogni priorità, la sostituzione più sfacciata dell´interesse privato al bene pubblico. Ma anche la sola idea di intervenire a colpi di maggioranza e di fiducia – al posto di una pacata discussione sui principi e sulle conseguenze – intorno a meccanismi giuridici delicatissimi, dove si fronteggiano e si dovrebbero equilibrare esigenze radicate in millenni di civiltà del diritto, sarebbe apparsa un modo di procedere del tutto impensabile.
E invece oggi se è proprio questo – l´incredibile che diventa realtà – a essere proposto al Paese, a essere presentato come la sua “normalità”, è perché si conta su un tale degrado del nostro discorso pubblico, su un così forte abbassamento patologico della nostra soglia di tolleranza, su un tale ottundimento del senso critico comune, da far sperare a un uomo sempre più disperato, a un governo, a una maggioranza che anche una simile enormità possa essere digerita e dimenticata, e si possa comunque andare avanti, fino alla prossima occasione. Si gioca cioè sull´imbarbarimento del Paese. Ma si tratta di un calcolo terribile e nefasto. E si tratta di un calcolo sbagliato

La Repubblica 29.07.11