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"Ma il 25 aprile non si può spostare", di Alessandro Pace

Era proprio necessario che tra le misure anti-crisi venisse previsto di spostare alla domenica successiva la celebrazione della sconfitta del fascismo, della nascita della Repubblica e di quel lavoro che la Costituzione pone a fondamento dell´Italia?
Mi chiedo ancora: Barack Obama o qualsiasi altro leader americano penserebbe mai, come misura anti-crisi, di poter spostare alla domenica successiva la celebrazione del “giorno dell´Indipendenza” (4 luglio) o “del giorno del Ringraziamento” (ultimo giovedì del mese di novembre)?
Non mi chiedo, invece, cosa succederebbe in Francia dinanzi alla solo ventilata idea di spostare la celebrazione della presa della Bastiglia al 16 o al 17 luglio. È infatti scontato che ciò determinerebbe una intransigente opposizione da destra come da sinistra, perché il 14 luglio è il “14 luglio”: una data e, insieme, un simbolo che sta alla Francia come il 25 aprile sta all´Italia. Identifica la precondizione storica della nascita, tra sangue e sofferenze, della Repubblica francese, così come senza il 25 aprile 1945, simbolo del riscatto italiano, non ci sarebbe mai stato il 2 giugno 1946.
Ebbene, gli americani e i francesi – per limitarmi ai soli esempi fatti – non acconsentirebbero mai allo spostamento di queste ricorrenze alla domenica successiva, perché hanno la consapevolezza di un fatto – ben noto, a livello teorico, a costituzionalisti e politologi -, e cioè che la celebrazione degli avvenimenti che hanno segnato la nascita e la storia del loro Paese (come anche la bandiera, l´inno nazionale ecc.) costituisce un permanente “fattore d´integrazione” dell´ordinamento statale, la cui sostanziale unità, pur nella diversità delle idee, è nell´interesse generale preservare. Ciò è tanto vero che il dare alle fiamme la bandiera nazionale fu riconosciuto legittima manifestazione del pensiero dalla Corte Suprema, in quanto metteva in discussione una data politica (la guerra in Vietnam), e non i valori della Costituzione federale.
È quindi ovvio che, per i cittadini italiani che hanno cara l´unità del nostro Paese, sia motivo di sofferenza (oltre che di dolore, nel ricordo di quanti hanno sacrificato la vita per quell´Unità) assistere al dileggio di quei simboli, impunemente manifestato (addirittura!) da rappresentanti del popolo con parole e gesti osceni. Ed è quindi altrettanto ovvio che anche la sola “mancanza di considerazione” di quelle date simboliche da parte dei nostri governanti, possa costituire, per i cittadini italiani orgogliosi di essere tali, motivo di indignata preoccupazione, soprattutto se si pone mente al fatto che quanti dileggiano quei simboli, prima di assumere gli incarichi di governo, hanno prestato giuramento sulla Costituzione (che quei valori presuppone e incorpora) dinanzi al Presidente della Repubblica, in quanto “rappresentante dell´unità nazionale” (art. 87 comma 1 Cost.).
Potrebbe bensì obiettarsi che, nell´era della globalizzazione, lo Stato-nazione è un po´ dappertutto in crisi, e con esso tutti quei simboli. Ma è in crisi – deve osservarsi – perché soggetto a ripensamento è il concetto di nazione a fronte delle pressioni multietniche, non è in crisi il concetto di Stato, il quale resta essenziale anche in un´ottica sopranazionale ed europea.
Fermo restando quanto fin qui osservato, è quindi solo per completezza che, in critica alla misura anti-crisi sopra ricordata, può aggiungersi che, anche dal punto di vista strettamente economico, il gioco non vale la candela, perché, come è stato subito osservato dalla Federalberghi, all´aumento della produttività conseguente allo spostamento delle feste, corrisponderà una analoga contrazione dei consumi.
Data la sostanziale inutilità, anche pratica, della misura, sorge allora il dubbio se, per individuarne la ragione giustificativa, non si debba fare il processo alle intenzioni dei nostri governanti. In questa ottica andrebbe perciò ricordato che taluni di loro hanno criticato la celebrazione della Resistenza, hanno prospettato la soppressione della festa del lavoro, hanno dileggiato la bandiera e l´inno della Repubblica e si sono opposti alla celebrazione del Centocinquantesimo anniversario dell´Unità d´Italia.
Per cui, alla luce di questi dati, ci si potrebbe chiedere se l´inserimento, tra le misure anti-crisi, della possibilità di spostare alla domenica successiva le tre feste civili non abbia costituito l´occasione – colta al volo da quei governanti che così si erano espressi – per sminuire l‘importanza simbolica di fatti storici che ai loro occhi non rappresentano dei “valori”, in contrasto con la stragrande maggioranza dei cittadini italiani.

La Repubblica 17.08.11

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“Il vero miracolo”, di Massimo Gramellini

La manovra del governo sposta alla domenica più vicina le solennità religiose non previste dal Concordato quando cadono in un giorno feriale. Ma l’arcidiocesi di Napoli si ribella ai dettami dello Stato italiano, di cui pure risulta far parte, dichiarando in una nota di non avere alcuna intenzione di anticipare di ventiquattr’ore il prossimo miracolo di San Gennaro, previsto in calendario per lunedì 19 settembre. La motivazione offerta è inoppugnabile: «Se si tratta di un evento non determinato da mano e da volontà dell’uomo, è evidente che non può essere spostato ad altra data».

A impuntarsi, secondo l’arcidiocesi, sarebbe dunque lo stesso Santo, in questo assai meno malleabile del suo collega milanese Ambrogio, che ha ceduto alle esigenze del debito pubblico senza neppure mandare un sms di protesta alla Cgil. Invece San Gennaro non vuol proprio saperne di liquefare il suo sangue in una mattinata festiva. Neppure l’ipotesi alternativa – compiere il miracolo di lunedì durante la pausa pranzo o alle nove di sera, in pieno «prime time», senza interferire con l’orario lavorativo dei fedeli – pare aver incontrato il gradimento dell’interessato.

Naturalmente nessuno mette in dubbio che l’arcidiocesi di Napoli abbia un collegamento preferenziale con San Gennaro e ne interpreti fedelmente il pensiero. Ma allora ci piacerebbe approfittare della linea diretta per conoscere l’opinione del Santo anche sui 4 miliardi annui di esenzioni fiscali di cui la Chiesa italiana continua a godere persino su residenze e attività estranee al culto. Che sia questo il vero miracolo?

La Stampa 17.08.11

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“Partigiani: «Non si può declassare il 25 aprile»”

A vedere cancellate le festività laiche, come il 25 aprile, per effetto della nuova manovra anti-crisi del governo, l’Anpi, Associazione nazionale partigiani d’Italia, proprio non ci sta. La protesta ha toni duri e cresce sempre di più con il popolo del web che si schiera a fianco dei Partigiani le raccolte di firme on line che si moltiplicano. «Ancora una volta – dice l’Anpi – saremmo di fronte a una misura di scarsissima efficacia e poco corrispondente all’equità e alla ragionevolezza. Il provvedimento, guarda caso, riguarderebbe le uniche festività laiche già sopravvissute (25 aprile, 1 maggio, 2 giugno) dotate di grande significato storico e di notevole valenza politica e sociale». L’Anpi chiede con forza «un ripensamento che escluda misure di questo tipo». Per l’Anpi di Lucca «è falsa l’argomentazione di Tremonti, secondo cui ciò ‘accade a livello europeo’». «È possibile – chiede in tono provocatorio l’Anpi – pensare di togliere il 14 luglio ai francesi?».

IL TUO NO AL ‘DECLASSAMENTO’ DEL 25 APRILE: CLICCA QUI

“L’ANPI- si sottolinea – portatrice e sostenitrice dei valori che quelle festività rappresentano, non può che manifestare la propria, vivissima preoccupazione e chiedere con forza un ripensamento che escluda misure di questo genere, prevedendone altre che siano fornite di sicura e pacifica efficacia, non contrastino con valori storico-politici da tempo consolidati e soprattutto corrispondano a criteri di equità politica e sociale”.

«La manovra predisposta dal governo non solo è iniqua ma puzza di vecchia ideologia, di mai sopita voglia di regolare i conti con la Costituzione, con lo statuto dei lavoratori, persino con la memori storica a cominciare da quella relativa alle feste laiche e civili: il venticinque aprile, il primo maggio, il due giugno, declassificate a feste minori, quasi a significare l’avvio di una triste terza repubblica fondata sull’aumento delle disuguaglianze e sulla riduzione delle opportunità democratiche». Lo dicono in una nota Beppe Giulietti, portavoce Articolo 21, e Vincenzo Vita, senatore del Pd.

«Per tutte queste ragioni non solo aderiamo all’appello già lanciato dall’Anpi contro una decisione che aggiunge alla iniquità sociale anche l’oltraggio alla memoria e alla storia repubblicana. Da oggi – aggiungono – le firme saranno raccolte anche sul sito della associazione articolo 21 e sarà lanciata la campagna per arrivare, quanto prima, ad una grande manifestazione unitaria capace di contrastare il tentativo di colpire la Costituzione e di assestare un nuovo colpo letale al sistema dei diritti e delle garanzie, a partire da quelle per cittadini più deboli». I due esponenti del centrosinistra concludono: «Chi vuole davvero affrontare la crisi con responsabilità, dovrebbe almeno evitare di comportarsi come ‘un nano della politica e delle istituzioni’, per usare un termine spregiativo tanto caro ai giganti che ci governano…».

da www.unità.it