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"Se il cane da guardia non morde", di Vladimiro Zagrebelsky

Cane da guardia della democrazia. Questo è il ruolo che la stampa svolge (deve svolgere, deve poter svolgere) in una società democratica, secondo una formula ripetutamente utilizzata, con lessico anglosassone, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. L’immagine è ricca di indicazioni. Il buon cane da guardia gira libero attorno a casa, orecchie tese e naso al vento. E abbaia, anche più forte del necessario e qualche volta deve mordere. Così la stampa. La libertà di espressione è uno dei fondamenti essenziali di una società democratica e vale non soltanto per le informazioni o le idee accolte con favore o che sono inoffensive o indifferenti, ma proprio e specialmente per quelle che urtano e inquietano. Sulle questioni di interesse per il dibattito pubblico, al diritto di diffondere informazioni e opinioni corrisponde quello del pubblico di riceverle. Certo è possibile prevedere limiti alla libertà di espressione, quando siano in pericolo la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico o occorra difendere la morale o la reputazione altrui, oppure si debba impedire la divulgazione di segreti o sia necessario proteggere l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario. Riprendo dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo questa elencazione di ipotesi di restrizioni legittime. Ma anche in quei casi solo una necessità imperativa può giustificare le limitazioni.

Alle ristrette possibilità di cui dispone l’autorità pubblica nel limitare la libertà di informazione si accompagna però il richiamo ai doveri professionali e alla responsabilità di chi, esponendo i fatti ed esprimendo il suo pensiero, si avvale della libertà di espressione.

Questo quadro di principi costituisce un tratto identitario della civiltà europea e occidentale. Nessuna società europea può distaccarsene, nessun governo può rifiutarlo o forzarlo.

Ma da tempo in Italia si discute aspramente di limitazioni da imporre alla possibilità di pubblicare (e quindi commentare) informazioni tratte dalle indagini giudiziarie. Si parla quasi solo delle intercettazioni telefoniche, ma si tratta di tutte le informazioni, anche quelle che si ricavano dalle testimonianze, da documenti, ecc. L’argomento che si usa è legato al diritto, anch’esso fondamentale, che le persone hanno al rispetto della propria reputazione e alla riservatezza della vita privata. L’occasione contingente della presente, acuta sensibilità rispetto a questo diritto delle persone spinge spesso ad assimilare il potente di turno a ciascuno di noi. Egli infatti dice: difendo la mia vita privata, ma lo faccio perché la nostra, di noi tutti, è in pericolo. Chi fosse impressionato dall’argomento, dovrebbe però considerare che non siamo tutti eguali e che meritano di essere conosciuti e commentati anche aspetti della cosiddetta vita privata dell’uomo politico, proprio perché egli si è candidato e si candiderà a essere eletto dai cittadini. Egli non «fa i fatti suoi», ma si occupa «dei fatti nostri» e si è esposto volontariamente all’esame del pubblico.

Dovendo tener conto della libertà di informazione, si dice spesso da parte governativa che si dovrebbe poter pubblicare solo quello che ha «rilievo penale». Purtroppo anche dall’opposizione si tende a seguire questa strada, come se fosse possibile stabilire ciò che in una conversazione è penalmente rilevante e come se questo fosse il vero discrimine tra ciò che è pubblicabile e ciò che non lo è.

Raramente una conversazione è in sé penalmente rilevante. Può esserlo se esprime minaccia o ingiuria, oppure rivela informazioni che devono rimaner segrete. Ma altrimenti il suo significato in un processo penale deriva dal contesto generale delle prove. La più innocente delle conversazioni telefoniche prova almeno che i due si conoscono. Non solo, ma ciò che ora sembra irrilevante può assumere altro senso e importanza in seguito, quando altre prove illumineranno diversamente la scena. E infine, occorrerà attendere il giudizio definitivo per costatare che questa o quella informazione, questa o quella frase hanno avuto peso nella decisione del giudice? I tempi di un’efficace informazione non corrispondono a quelli propri della giustizia penale.

Ma quello della rilevanza penale non è solo un criterio inutilizzabile in pratica. Più radicalmente è un criterio sbagliato. Da una parte, proprio perché una notizia riguarda un fatto rilevante per l’indagine o il processo penale, la protezione dell’efficacia della indagine può richiedere di impedirne o ritardarne la divulgazione. E dall’altra e soprattutto, perché il dibattito che legittimamente e doverosamente si svolge nella società democratica, considera un ambito di fatti che va ben oltre ciò che è «penalmente rilevante». L’opinione pubblica si interessa e si forma su ciò che è socialmente, culturalmente, economicamente, politicamente significativo. Il giudizio su ciò che è significativo e ciò che non lo è deve restare prevalentemente nelle mani di chi fa uso della libertà di espressione che la Costituzione e le convenzioni internazionali gli assicurano. E si tratta di un giudizio legato alla specificità del caso concreto, che mal sopporta regole generali e astratte, come sono quelle che impongono le leggi.

Non dunque il rilievo «penale», ma il rilievo «sociale» spinge il giornale e il giornalista a pubblicare o a trascurare una notizia e ancor prima, nel giornalismo di inchiesta, a cercarla, fino a forzare il segreto che altri è interessato ad assicurare.

I confini del lecito e dell’illecito nell’attività giornalistica sono inevitabilmente incerti. Esigenze e interessi diversi e opposti si contrappongono. Un bilanciamento è necessario: uno prevale e l’altro soffre. La violazione dei limiti imposti dalle leggi e dalla deontologia professionale è nell’ordine delle cose possibili. Ma anche quando ciò avvenga e sia quindi legittima una reazione repressiva o si imponga il risarcimento dei danni morali procurati ad altri, la protezione della libertà di stampa in generale richiede che la sanzione sia equilibrata. E che essa non produca un effetto di generale intimidazione alla libera stampa: giornalisti, giornali e editori. Dalle decisioni della Corte europea i parlamenti nazionali e i giudici ricavano che una sanzione penale detentiva è giustificata solo quando si sia di fronte a discorsi che incitano alla violenza o all’odio razziale, mentre anche le sanzioni economiche non devono essere eccessive. Ma di tutto ciò è scarso l’eco nel dibattito politico, né nei progetti che il parlamento è chiamato a discutere. Forte è invece la preoccupazione di assicurarsi che il cane da guardia non morda e sia prudente nell’abbaiare. Insomma, che non disturbi.

La Stampa 30.09.11

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“No al bavaglio, in piazza finché non lo ritirano”, di Liana Milella

La protesta al Pantheon. Ma il premier va avanti, lunedì gli emendamenti per il blackout. La Bongiorno boccia il ritorno alla legge Mastella: “Si cancellano due anni di mediazioni”. È plastico lo scontro sulle intercettazioni. Si gioca al centro di Roma, 600 metri e sette minuti di strada, come indica Google maps. Da una parte c´è palazzo Grazioli, dove il premier compie gli anni all´insegna dell´ennesimo vertice in cui si pianifica il colpo di mano per bloccare l´uscita degli ascolti sui giornali. Lì si decide che tra lunedì e martedì al massimo saranno pronti gli emendamenti, li stanno già scrivendo i fidati Enrico Costa e Manlio Contento. Si conferma che si va di furia verso la vecchia legge Mastella, che se serve si mette la fiducia anche perché la Lega non vuole troppa bagarre sull´argomento, che tra l´11 e il 12 ottobre la partita dev´essere chiusa.
Quando Maurizio Lupi, il vice presidente della Camera, esce e ufficializza il rush sulle intercettazioni sono le 15 e 30. Negli stessi minuti, a tre, quattro isolati di distanza, la protesta diventa protagonista a piazza del Pantheon. Tornano i post-it gialli del “no al bavaglio”, srotolato per terra c´è lo striscione con la faccia di Berlusconi con su scritto «nessuno ti può giudicare, nemmeno il web, la verità ti fa male lo so». Ecco Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano, il detenuto ucciso a Rebibbia.
Le sigle dei partiti, della stampa, dei sindacati, della rete ci sono tutte. La manifestazione non è oceanica, ma si ripercuoterà con le dirette per tutto il pomeriggio sul web. Contano facce e promesse. Quella del presidente della Fnsi Roberto Natale: «Porteremo la protesta nelle piazze d´Italia, non smetteremo, alla fine l´avremo vinta noi». Giuseppe Giulietti di Articolo 21: «A legge approvata andremo alla Corte europea dei diritti dell´uomo». Nelle cancellerie Ue sarà lasciato un dossier che prova il black out. Il presidente dell´Ordine dei giornalisti Enzo Iacopino dice no a una legge per colpire «i giornalisti scomodi». La piazza applaude, il popolo viola, Valigia blu, Libertà e giustizia, la neonata Giulia (giornaliste capitanate dai volti Rai della Busi e della Ferrario). Bandiere della Cgil. Pd, Idv, Sel. Ci sono Udc e Fli. Invito a lasciare tutto com´è adesso. Per garantire diritto a informare e libertà d´indagare.
Sempre in quei minuti si muove il Terzo polo. Si vedono Giulia Bongiorno, battagliera presidente finiana della commissione Giustizia, il centrista Roberto Rao, il rutelliano Pino Pisicchio. Ed emerge, come dice la Bongiorno, «un no reciso al ritorno alla Mastella per come lo propone Ghedini. Se passa il suo stravolgimento nascerà un “mostro” e c´è il rischio di un totale blackout out informativo. Vietare di pubblicare gli atti di un´inchiesta anche nel contenuto significa buttare al macero due anni di dibattito in Parlamento e lo sforzo fatto per una soluzione equilibrata. Significa varare una norma oscurantista contro cui il nostro no sarà reciso».
Ma il Pdl va avanti. Il capogruppo Pdl in commissione Giustizia Enrico Costa lavora con l´ex An Manlio Contento agli emendamento. Come Repubblica aveva anticipato già dal 24 giugno il Pdl torna, sui input di Niccolò Ghedini, al primo articolo della Mastella, più rigido dell´attuale testo in aula perché fa calare il sipario sulle telefonate («È vietata la pubblicazione anche parziale, per riassunto o nel contenuto fino al termine delle indagini o dell´udienza preliminare»), ma anche sugli atti di indagine che dovranno restare segreti fino alla sentenza d´appello. Unico spiraglio, pubblicazione «nel contenuto», per le ordinanze ormai notificate agli avvocati. Costa e Contento terranno in piedi l´udienza filtro, ma solo per fini processuali, per selezionare le intercettazioni necessarie e quelle inutili, ma i testi resteranno comunque segreti. Ammorbidita la norma ammazza-blog con la modifica di Roberto Cassinelli. Alla Pd Donatella Ferranti che annuncia «dura opposizione perché non accettiamo una legge per coprire i rapporti del premier con escort e faccendieri», Costa risponde che «il Pdl vuole mettere fine all´abuso di uno strumento investigativo che dev´essere usato nel e per il processo e non a fini mediatici».

La Repubblica 30.09.11