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"Licenziamenti possibili se l’azienda va in crisi", di Roberto Giovannini

In Italia sta per finire l’era dei licenziamenti difficili. Se quanto scritto nella lettera consegnata ieri da Berlusconi alla Ue diventerà legge si entrerà in un regime all’anglosassone, in cui si potrà allontanare un dipendente senza particolari complicazioni a fronte di situazioni di difficoltà economica dell’impresa per la quale si lavora. Probabilmente, così come avviene già oggi nelle piccole imprese, anche nelle aziende con più di 15 dipendenti sarà sufficiente versare un’indennità monetaria. Addio alle protezioni garantite dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, pure parzialmente – ma non abbastanza a quanto pare – indebolito dalla riforma varata nel decreto di Ferragosto. E via libera alla possibilità per le imprese di attuare «licenziamenti economici».

Una riforma davvero drastica, quella indicata dal governo e promessa entro il maggio del 2012. Certamente perché divenga legge bisognerà fare i conti con la fragilità della maggioranza. I licenziamenti sono materia politicamente esplosiva, e certo non fatta su misura per conquistare consensi elettorali. Una riforma simile fu tentata già nel 2001-2002 dal secondo governo Berlusconi, e finì come sappiamo. Sicuramente l’operazione susciterà proteste sociali molto dure, e già nei primi commenti a caldo tutti i sindacati confederali – comprese Cisl e Uil, e persino l’Ugl – si parla apertamente di manifestazioni e scioperi.

Nel testo della lettera, oltre alla «nuova regolazione dei licenziamenti» – definita come «funzionale» a maggiori assunzioni da parte delle imprese – ci sono anche altre indicazioni e impegni. Sarà più facile licenziare, ma si promette che per via legislativa si renderà più difficile fare contratti di collaborazione e in generale «parasubordinati», che «oggi sono spesso utilizzati per lavoratori formalmente qualificati come indipendenti ma sostanzialmente impiegati in una posizione di lavoro subordinato».

Ma oltre ai licenziamenti nel settore privato, si parla di interventi pesanti anche nel pubblico impiego. L’obiettivo è quello di «rendere più efficiente, trasparente, flessibile e meno costosa la pubblica amministrazione» al centro e in periferia. Per questo, con «meccanismi cogenti», si imporrà la mobilità obbligatoria dei dipendenti pubblici, la «messa a disposizione» e il superamento delle dotazioni organiche. In altre parole, si potranno chiudere e accorpare uffici, e spostare il personale anche in altri uffici, anche in città diverse. Chi non accetterà perderà il posto; chi verrà «messo a disposizione» finirà in una specie di Cassa integrazione a salario ridotto. Infine, entro il 2011 verranno approvate le misure (già presenti nella bozza del decreto sviluppo) per favorire i contratti di apprendistato per i giovani (anch’essi «terminabili» nell’arco di tre anni da parte dell’azienda) e le assunzioni part-time delle donne.

Immediata, e durissima, la reazione dei sindacati. Il primo ad attaccare in ordine di tempo è il segretario della Cisl Raffaele Bonanni: «così facendo si attaccano solo i più deboli, reagiremo subito perché non siamo d’accordo». «Permettere i licenziamenti per motivi economici – dice Bonanni – è solo uno specchietto per le allodole per le imprese. Il risultato è istigare le persone alla ribellione». La leader della Cgil Susanna Camusso afferma che «lo spirito riformatore del governo si traduce in un ennesimo attacco, sui licenziamenti, sul lavoro precario, sulle pensioni. Abbiamo visto le dichiarazioni di altre organizzazioni sindacali e siamo per proporre a tutti un’ iniziativa di mobilitazione unitaria che rimetta al centro le ragioni del lavoro e della crescita ancora una volta negate da questo governo». Paolo Pirani, numero due Uil, spiega che il governo «fa pagare dipendenti e pensionati, senza dire nulla su evasione fiscale, sprechi e privilegi. La Uil non ci sta e la nostra reazione ci sarà e sarà assolutamente ferma». Infine, il numero uno dell’Ugl Giovanni Centrella dice che «la misura è colma. Ora siamo liberi di agire».

La Stampa 27.10.11

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“Cgil e Cisl: reagiremo. Le opposizioni:governo screditato”, di Federica Fantozzi

«Orrenda» per il Pd, «deludente» per l’Udc, «pericolosa» per l’IdV. La lettera d’intenti che Berlusconi ha sfoggiato a Bruxelles non convince affatto l’opposizione. Che lamenta anche di non conoscerne il contenuto, oltre all’assenza di una precedente discussione sul tema, e ne chiede la trasmissione immediata al Parlamento. In particolare colpisce il centrosinistra in negativo l’ipotesi, alla quale hanno lavorato i ministri Sacconi e Brunetta, che sia possibile per le aziende licenziare dipendenti a tempo indeterminato per motivi legati alla crisi. Uno scenario allarmante che giunge del tutto inatteso. «Orrende anticipazioni» le boccia Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro oggi capogruppo della relativa commissione alla Camera. E il leader IdV Antonio Di Pietro mette in guardia: «Il governo vuole lo scontro sociale,non si può fermare la disperazione con la repressione ». Il rifondarolo Paolo Ferrero invoca lo sciopero generale.
L’IRA DELLE TRE SIGLE Intuibile l’ira dei sindacati, anch’essi ignari di quello che si preparava. Reagisce per primo Raffaele Bonanni che schiera la Cisl con inusitata durezza: «Non siamo d’accordo su queste norme, così si colpiscono i deboli, reagiremo nelle prossime ore». Susanna Camusso, al vertice della Cgil, propone una mobilitazione unitaria «che rimetta al centro le ragioni del lavoro e della crescita, ancora una volta negate». Un’iniziativa comune contro l’«ennesimo attacco» del governo ai diritti di donne, precari, Mezzogiorno. Critico anche Paolo Pirani, segretario confederale della Uil: «Non si può far pagare la crisi a dipendenti e pensionati senza colpire sprechi e privilegi». E mentre il ministro Romani annuncia che quello che già si sapeva, cioè che sul decreto Sviluppo non esiste una road map (tradotto: il testo non c’è né potrà esserci causa impossibilità a mettersi d’accordo in consiglio dei ministri) Bersani e Casini giudicano inconsistente la risposta – l’unica a questo punto – del governo sulla crisi. «Non c’è niente di serio – dice il segretario del Pd – Evidentemente l’esecutivo vuole prendersi qualche giorno di ossigeno in sede europea ». Mentre Casini, data l’insufficienza delle soluzioni approdate all’euro-summit, spinge anche lui sul pedale del voto: «Bersani dice cose sagge. Siamo in zona Cesarini: o si riesce a fare un nuovo esecutivo di responsabilità nazionale in pochi giorni o non restano che le elezioni anticipate». I due principali leader dell’opposizione guardano con occhio attento anche all’altro elemento della giornata politica di ieri: l’ennesima maggioranza. Il governo è andato sotto due volte in aula: sulla mozione dipietrista contraria alla chiusura dello stabilimento Irisbus della Fiat e sul documento piddino sui risarcimenti per incidenti stradali. Sulla prima il parere del governo era negativo, sulla seconda favorevole. NEL PDL 22 ASSENTI Il primo scivolone arriva con tre voti di scarto, il secondo – appena mezz’ora dopo – con 13. Nel Pdl si contano 13 deputati in missione e 22 assenti. Tra questi ultimi Claudio Scajola e i suoi Gava e Giustina Destro, che non hanno votato l’ultima fiducia al governo e dopo essere stati espulsi dal gruppo sono dati in avvicinamento alla nebulosa montezemoliana. Il centrodestra raggiunge la quota di novantadue sconfitte nell’emiciclo di Montecitorio.Èl’ultima prova che, quando non c’è la blindatura di una fiducia e la relativa possibilità di “trattative private” tra i deputati in odore di mancata ricandidatura e Berlusconi, la maggioranza si sfilaccia. L’Udc attacca: «Sono allo sbando» denuncia Casini. «Il loro è un libro dei sogni, la lettera all’Ue piena di buone intenzioni che non si realizzeranno». E dunque, «mobilitiamoci». Perché il governo, è questa l’impressione (o l’auspicio) del leader centrista, è vicino al capolinea.❖

L’Unità 27.10.11