attualità, politica italiana

"La via democratica", di Claudia Sardo

La decisione del premier greco George Papandreou di indire un referendum popolare per approvare il nuovo piano di salvataggio, varato da Ue, Bce e Fmi, ha scatenato la bufera sui mercati.E l’epicentro, o meglio il bersaglio, si è presto spostato sull’Italia, ormai frontiera critica dell’euro, il Paese con il governo più screditato, il pericolo incombente per l’Europa. Su l’Unità in questi giorni sono stati analizzati i costi insostenibili della permenenza di Berlusconi alla guida del governo. A questo punto le sue dimissioni sono una necessità vitale per il Paese. Berlusconi è considerato unazavorra da tutte le cancellerie, dagli operatori economici, dall’opinione pubblica internazionale. I suoi impegni non vengono giudicati credibili, né sostenibili. La sua lettera all’Unione europea è stata sbagliata, perché ha offerto lo scalpo dei licenziamenti (non richiesti neppure dalle imprese) invece di promuovere un patto sociale su patrimoniale, previdenza, lotta all’evasione, detassazione del lavoro. Lo dice anche Tremonti che la permanenza del Cavaliere a Palazzo Chigi vale almeno 100 punti di spread. Ciò non vuol dire che Berlusconi sia il responsabile principale di questa crisi drammatica: sono persino maggiori le colpe dei governi di centrodestra che hanno guidato negli ultimi anni l’Europa con politiche egostiche e miopi (perché non hanno ristrutturato il debito greco 18 mesi fa, quando i costi erano poche decine di miliardi di euro?). Tuttavia Berlusconi è oggi obiettivamente l’impedimento a una risalita dell’Italia. E rappresenta una minaccia per l’intera costruzione europea. Toccherebbe a lui aprire la fase nuova,come ha fatto Zapatero guadagnando per la Spagna uno spread e unacondizione migliori della nostra. In ogni caso, siccome il pericolo è altissimo per tutti noi e per i nostri figli, in queste ore nessuno può sottrarsi alle responsabilità, come richiesto dal Capo dello Stato. Piuttosto l’innesco di quest’ultima bufera ha riportato al centro la questione democratica. È vero che l’emergenza economico-finanziaria spiazza le nostre società e genera paure. Ma è inaccettabile l’idea che la democrazia sia un lusso, oppure che le politiche di risanamento vadano affidate a tecnocrazie esterne, sospendendo la normale vita democratica. Senza democrazia rischia di svanire l’idea stessa di Europa. La scelta di Papandreou è stata dettata da una condizione di debolezza, non solo verso l’opinione pubblica greca, ma anche verso il suo partito in affanno. Forse avrebbe potuto gestirla meglio dopo il Consiglio europeo. Ha deciso però di rimettere ai propri elettori il destino del Paese: accettare ulteriori, pesantissimi sacrifici pur di abbattere parte del debito pubblico accumulato oppure fare fallimento e uscire dall’euro (con conseguenze imprevedibili anche per l’Europa). La Grecia ha già pagato costi sociali elevati. Ha pagato pure per gli errori uropei.Ma la responsabilità non può essere separata a lungo dalla democrazia. Il tema riguarda anche l’Italia. Il vincolo esterno è stato tante volte per noi spinta verso il progresso.
E oggi più di qualcuno crede che solo un governo emergenziale, separato e sovraordinato alla politica, possa realizzare le misure strutturali necessarie per recuperare competitività. Le oligarchie che tifano da sempre per i governi tecnici alimentano l’antipolitica per questa finalità. Ma siamo a un punto limite. Il deficit di consenso rischia oggi di travolgere non solo i partiti ma le stesse istituzioni, e con esse l’autorità necessaria a un processo di riforme equo e socialmente condiviso. La politica è questo: tenere insieme rappresentanza e decisione. Mentre invece la proliferazione del ceto politico è stato un danno, un segno di declino, non un rafforzamento. In ogni caso la via democratica resta la più solida anche di fronte a una crisi drammatica. È questa la lezione di Moro e Berlinguer, che si assunsero responsabilità pesanti e furono disposti a pagare alti prezzi per affrontare i passaggi del loro tempo. Se ci sono le condizioni, si faccia un governo d’emergenza per evitare il baratro: ma subito dopo torni la parola agli elettori, soli titolari della sovranità. Ciò che decideranno gli italiani avrà più forza politica. Piuttosto facciano chiarezza i partiti: come possono i centristi lanciare l’allarme per l’Italia di Berlusconime poi sottrarsi a una grande coalizione con il centrosinistra, scommettendo sull’instabilità della prossima legislatura? È per tutti l’ora della responsabilità. Semmai è arrivato anche il tempo di portare la democrazia degli elettori nelle istituzioni europee, oltre il Parlamento di Strasburgo.

L’unità 02.11.11

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“La bugia smascherata da Atene”, di STEFANO LEPRI

Ma non è giusto dare la parola alla gente, quando si tratta di sopportare sacrifici così pesanti? In questo caso no. Sulla materia di cui si dovrebbe decidere, la sovranità nazionale della Grecia non esiste più. Sarebbe come se, poniamo, per decidere se costruire o no centrali nucleari in Italia si fosse posta la domanda ai cittadini di un’unica Regione (mentre, saggiamente, la nostra Costituzione vieta di sottoporre a referendum i trattati internazionali).

Finora tutti i governi dell’area euro avevano trovato comodo occultare questa realtà. La mossa a sorpresa di Giorgos Papandreou involontariamente smaschera una menzogna collettiva. L’ira in altre capitali è comprensibile, ma potevano ammettere prima che se si condivide una moneta comune il potere dei governi nazionali è limitato. Soprattutto lo è quello della Grecia, che per colpe precise (del governo precedente, di altro colore politico) si trova in una situazione insostenibile. Non può fare da sé un Paese che, perfino dopo tutti i tagli agli stipendi e gli aggravi di tasse degli ultimi due anni, continua a vivere al di sopra dei propri mezzi.

Un Paese che produce 100 e consuma 108, come accade alla Grecia del 2011, ha vitale bisogno dell’aiuto degli altri. Riescono solo gli Stati Uniti a sostenere per lungo tempo uno squilibrio dei pagamenti correnti con l’estero perché sono la maggiore potenza mondiale e hanno il dollaro; tuttavia in proporzione è circa la metà di quello greco. Per di più, il governo di Atene è nella condizione di dover contrarre nuovi debiti anche solo per ripagare i debiti vecchi; visto che i mercati non offrono credito, non può andare avanti senza soccorsi esterni.

Nei fatti i greci non sono in grado di decidere sul piano di austerità. Possono cambiare governo, se vogliono (può darsi che sia questo l’esito, invece del referendum); eppure qualsiasi scelta di politica economica, compresa l’insolvenza totale e l’uscita dall’euro, non potrà sottrarli ad una austerità durissima. In più, l’attesa del referendum alimenta il peggiore contagio in tutta l’area, perché i mercati si scatenano sulle ipotesi di cui sopra. Oltretutto, al primo sondaggio che preveda una vittoria del no, potrebbero essere i greci stessi a spostare in massa i propri capitali all’estero: cercando ciascuno di salvare il proprio patrimonio, tutti insieme porterebbero alla rovina il Paese.

Così funziona un’unione monetaria. Già nei mesi passati fingere che la mutua interdipendenza fosse un fattore secondario ha portato a prendere decisioni collettive sempre tardive, talora sbagliate, per motivi di politica interna. A loro volta, gli errori hanno alimentato la diffidenza tra le diverse nazioni. Siamo al punto che il governo di Berlino rinuncia a sgravi fiscali che sarebbe in grado di elargire ai propri elettori «per non dare il cattivo esempio» ai Paesi euro costretti a fare l’opposto.

Nel tentativo di ogni Paese di scaricare le difficoltà sugli altri l’Europa si produce in un multiforme autolesionismo. Ora l’area euro si presenta davanti alle altre potenze globali, al G-20 di Cannes, ridotta a mendicare soccorso dalla Cina, o da un Fondo monetario internazionale potenziato. Il resto del mondo teme che dalla combinazione di irresponsabilità e reciproca diffidenza dei governi del nostro continente scaturisca un nuovo patatrac finanziario collettivo; ma non può risolverne i problemi (come possiamo pretendere che la Cina usi i suoi soldi per aiutare Paesi i cui cittadini sono molto più ricchi dei suoi?). Sull’Italia, che a causa dei propri errori è finita nella prima linea dell’infezione greca, incredibilmente viene a pesare una responsabilità planetaria: se riusciamo a rimetterci in piedi, allontaneremo il pericolo per tutti.

La Stampa 02.11.11

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“LA SALVEZZA DEL PAESE”, di EZIO MAURO

È il momento della responsabilità, nell´interesse del Paese. Con un effetto a valanga, la crisi economico-finanziaria bypassa i governi e gli Stati nazionali, vanifica i diktat delle istituzioni europee, travolge infine la governance che l´Occidente si è dato nel dopoguerra, fino a riscrivere il rapporto tra sovranità, democrazia, capitalismo e mercati. Ieri questo equilibrio fragile e malato è precipitato in una giornata terribile. Ormai quasi senza maggioranza, il governo greco ha indetto un referendum sul piano di risanamento europeo, mettendo nelle mani della popolazione la scelta tra i sacrifici e il default del Paese. La decisione ha infiammato le Borse del continente, ha terremotato la vigilia del G20, ha portato il Fondo Monetario a parlare di rischio “bazar” per la Grecia e per l´area euro.
Il pericolo che la Grecia salti per aria è dunque oggi concreto e reale, minando al cuore la costruzione dell´euro, a pochi anni dalla nascita. Ma subito dopo la Grecia c´è l´Italia. E infatti il vortice ieri si è diretto sul nostro Paese, dove la Borsa di Milano ha perso il 6,8 per cento con le banche a picco e la giornata più pesante dall´ottobre 2008, lo spread coi Bund tedeschi è salito a 454 punti, il rendimento dei Btp è arrivato al 6,33 per cento.
A questo punto, dopo due giorni di passione che hanno seguito la lettera d´intenti portata da Berlusconi a Bruxelles, è chiaro che l´Italia è in grave pericolo, non riesce a riportarsi al livello della Spagna, può precipitare nell´inferno della Grecia. E soprattutto è evidente che i mercati (i quali non hanno gli obblighi istituzionali e la responsabilità della Bce e dell´Ue) dichiarano apertamente di non credere alle promesse del Premier italiano.

e ragioni sono purtroppo note a tutti: le misure annunciate nella lettera del governo italiano arrivano dopo una manovra rivista ben quattro volte, sono state scritte obtorto collo e sotto dettatura da Bruxelles, senza la firma di un ministro dell´Economia esautorato dalla guerra permanente che gli muove il Presidente del Consiglio: il quale appena torna da Bruxelles con un pesante piano di salvataggio attacca incredibilmente l´euro, mentre non ha la forza di affrontare il Parlamento nel timore di veder svanire a ogni voto la sua incerta maggioranza.
Bisogna prendere atto dunque che questo governo rischia di vanificare le misure pesanti che l´Europa indica come necessarie. C´è una crisi evidente di maggioranza, di leadership, ma soprattutto di credibilità. È per queste ragioni (i mercati a picco, l´Europa che preme, il governo impotente e diviso) che ieri si è mosso Napolitano. Ha chiesto decisioni efficaci e immediate. Ha preso atto che Berlusconi vuole andare avanti, con la sua maggioranza sbandata: ma ha constatato che le opposizioni – con Bersani e Casini, e anche Di Pietro – sono pronte a fare la loro parte e ad assumersi le loro responsabilità davanti a un governo diverso, di salvezza nazionale. E il Presidente intende misurare sia le possibilità concrete del governo di far fronte agli impegni europei e sia “una nuova prospettiva di larga condivisione” delle scelte da compiere con urgenza. Di fatto, sono aperte consultazioni informali per capire come l´Italia può reggere all´urto della crisi.
In questo momento il problema non è più di destra o sinistra, di vecchi o giovani: è in gioco la salvezza del Paese e nient´altro. A nostro parere, si può ancora raggiungere se si volta subito pagina, si allarga la base parlamentare con una condivisione dell´emergenza, si guarda all´Europa e al Quirinale come punti di riferimento, si restaura con una nuova politica la fiducia dei mercati e soprattutto dei cittadini.
La disponibilità dell´opposizione a questa operazione di salvezza nazionale c´è, quella delle parti sociali anche, dopo l´ultimatum che hanno inviato ieri a Berlusconi. Le forze moderate della maggioranza, che esistono, devono riflettere, perché hanno oggi una grande responsabilità davanti al rischio che corre l´Italia. C´è un sentimento fortemente maggioritario nel Paese, e dice che così non si può andare avanti. Deve diventare maggioritario anche in Parlamento: al più presto.

La Repubblica 02.11.11