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"Opposizioni al premier: dimissioni o sfiducia. Pronta la mozione"

Le opposizioni al premier: o ti dimetti o sfiducia. Nel Pd si valuta se presentare già stasera la mozione. Bersani chiude a un governo Schifani o Letta. «Renzi? Discutiamo pure, ma dell’Italia, non di destini personali». Il Pd ha pronta la mozione di sfiducia al premier, ma calerà la carta solo al momento opportuno. Domani la Camera dovrà infatti votare il rendiconto dello Stato, dopo la bocciatura di tre settimane fa. E per l’opposizione sarà questo il primo passaggio in cui dimostrare che il governo non ha più la maggioranza. I deputati di Pd, Udc e Idv stanno infatti ragionando sull’ipotesi di astenersi, per consentire l’approvazione di questo fondamentale provvedimento ma al tempo stesso far vedere che i loro voti, insieme a quelli dei malpancisti del Pdl, costituiscono una maggioranza alternativa. Potrebbe bastare perché il Quirinale si impegni in un ulteriore accertamento sulla capacità di tenuta dell’asse Pdl-Lega-Responsabili, ma potrebbe non essere ancora sufficiente a far compiere a Berlusconi il necessario passo indietro per lavorare poi al governo di transizione auspicato da Pd e Udc (e accettato a precise condizioni da Idv e Sel).
Pier Luigi Bersani in pubblico frena sulla tempistica, e alla domanda diretta di Lucia Annunziata nel corso di “In 1/2h” risponde che il suo partito sta «ragionando» sull’ipotesi di una mozione di sfiducia. In realtà il leader del Pd, che in queste ore è in continuo contatto con Pier Ferdinando Casini e con Antonio Di Pietro, sta valutando se far depositare alla Camera già stasera la mozione, visto che il regolamento di Montecitorio prevede che tra la presentazione e il voto debbano passare almeno tre giorni, e che i rischi che corre il Paese sono troppo gravi per permettersi di aspettare la prossima settimana prima di un «cambio politico».
Quel che è certo è che la carta verrà calata, anche se le votazioni di domani saranno per il premier meno negative di quanto previsto alla vigilia. Dario Franceschini è convinto che Berlusconi «stia bluffando» quando sostiene di avere i numeri per andare avanti, e avvisa: «O si dimette o presto i parlamentari che vogliono un governo di emergenza per salvare il Paese voteranno la sfiducia per poterlo far nascere». Di Pietro dice che «prima dobbiamo avere i numeri e poi presentare la mozione di sfiducia». Ma per Bersani comunque vada il voto del rendiconto dello Stato la mozione andrà presentata: «Sceglieremo la strada che metterà meno in difficoltà il Paese. Se verrà votato il rendiconto ci sarà una ragione in più per la sfiducia». Per il leader del Pd solo con un passo indietro del premier e un governo che segni una «discontinuità» e sia guidato da una personalità credibile all’estero l’Italia può risalire la china.
Condizioni che aprirebbero all’ipotesi di un governo Monti, anche se Bersani sottolinea che spetta al Quirinale fare i nomi, e che invece escludono il sostegno a ipotetici governi guidati da Renato Schifani o Gianni Letta, che sarebbero comunque «di centrodestra».
I FISCHI A RENZI E LE PAROLE DI PRODI
Bersani, che non esclude di andare al voto in ogni caso prima del 2013, è soddisfatto della prova data dal suo partito con la manifestazione di San Giovanni. In tv smorza, circa la giornata di sabato, la vicenda delle contestazioni a Matteo Renzi: «Fischi? Ma in piazza c’erano centinaia di migliaia di persone, c’è stato solo un battibecco. Sì, certo, è stata una cosa spiacevole. Ma vorrei ricordarecheRenzièunodelPdeiosono anche il suo segretario». Dice poi Bersani che discussioni tra dirigenti possono anche esserci, «ma ognuno in questo momento si deve assumere le sue responsabilità, ora dobbiamo occuparci dell’Italia, no dei destini personali».
Quanto alle parole di Romano Prodi («non è confortante leggere, con quel che succede, che nei sondaggi il Pd non riesce a crescere come ci si aspetterebbe», ha detto in un’intervista), che pure non gli hanno fatto piacere, dice Bersani in tv con un sorriso che non c’è «problema»: «Rispondo alle sue osservazioni dicendo che siamo partiti da condizioni difficili e certamente facile non è. Abbiamo solo quattro anni e siamo già il primo partito del Paese. Noi siamo stati ben peggio di oggi. Siamo migliorati, sondaggi compresi. E questo ci fa dire che possiamo ancora migliorare. E miglioreremo, con l’aiuto generoso di tutti. Il nostro servizio è al Paese e non è guardarci la punta delle scarpe».

L’Unità 07.11.11

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Intervista a Pierluigi Castagnetti «Il Pd è in campo ma guai se chiude la porta ai Renzi», di Simone Collini

«Non condivido le proposte del sindaco di Firenze qui però si misura l’apertura e la tolleranza del partito Molti cattolici si sentono ospiti: è un problema serio». Siamo alle battute finali», dice Pierluigi Castagnetti riferendosi al governo.
Cosa glielo fa pensare? «Finalmente anche all’interno della maggioranza si sono resi conto che così non si può andare avanti». Berlusconi dice di avere i numeri. «Berlusconi ha trasformato Palazzo Chigi in un bunker. Ne uscirà solo con un voto parlamentare». Presenterete una mozione di sfiducia? «Non sarebbe neppure necessaria se ci fosse un numero cospicuo di parlamentari che sottoscriva un documento tale da indurre il presidente del Consiglio a prendere atto che non ha più la maggioranza. Altrimenti servirà una mozione di sfiducia, non c’è dubbio».
Ammettiamo si apra la crisi: e poi?
«C’è bisogno di un governo sostenuto da tutte le maggiori forze del Paese, che coinvolga le migliori energie perché solo così può essere recuperata la credibilità sul piano internazionale. E poi nel 2013 ognuno giocherà la propria parte, e noi con le nostre proposte andremo in competizione con la destra».
C’è chi sostiene che non siano ancora chiare le vostre proposte.
«Lo può dire solo chi non ha seguito il lavoro che abbiamo compiuto fin qui, e comunque Bersani a San Giovanni ha risposto alle accuse stucchevoli di assenza di un’alternativa e ha delineato i nostri contributi molto solidi per una praticabile alternativa di governo».
Non è che le vostre proposte non arrivano perché c’è un coro di voci che non sempre sono in sintonia?
«Il problema è semmai che va riconquistata una unità vera. Oggi diamo per scontata una unità che in effetti non c’è e questo mi fa paura, sia per quando avremo responsabilità di governo sia per quando dovremo affrontare le elezioni».
Cosa intende dire?
«Ho l’impressione che il processo di costruzione del partito si sia come arrestato. La vicenda di Renzi può essere assunta come paradigma della possibilità che nel partito si realizzi un pluralismo interno vero. Non condivido il discorso di Renzi, rabbrividisco quando gli sento dire che berlusconismo e antiberlusconismo sono la stessa cosa perché non coglie il male rappresentato per il Paese da questa stagione berlusconiana. Però sta ponendo la questione di un dibattito più largo, vero e tollerante». Cuperlo, in un intervento sull’Unità, ha fatto notare che non è normale tentare di scalare un partito dall’esterno.
«Ho apprezzato l’intervento, anche perché Cuperlo non ha demonizzato Renzi. Però il punto non è il tentativo di scalata alla leadership del Pd per vie esterne. La vera domanda che il Pd ha di fronte è un’altra: è scalabile solo per vie interne da uno che può avere anche le migliori idee ma che non viene da una storia di sinistra?».
Lei dice di no?
«Tanti dirigenti del Pd sui territori mi parlano di cose che vanno aggiustate, sono preoccupati perché come cattolici si sentono nei fatti regrediti allo stadio di ospiti e non di padroni di casa. Non si tratta solo della carriera di qualcuno, ma di capire che il Pd deve essere intriso di culture diverse, che devono tutte avere lo spazio che loro compete. Stiamo attrezzandoci per una campagna elettorale ed è bene che non sottovalutiamo problemi che hanno una loro consistenza».
A quella campagna elettorale andrete dopo aver scelto con le primarie il candidato del centrosinistra e con il Pd che sostiene Bersani?
«È prematuro oggi un discorso su primarie e candidati premier se dovremo allargarci anche al Terzo polo. Non precluderei la possibilità di alleanze larghe facendo prima del tempo delle scelte che devono invece essere condivise da tutti i protagonisti».

L’Unità 07.11.11