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"Pd, ci devi stare pienamente", di Stefano Menichini

C’è un sondaggio, compiuto nella settimana della crisi e delle dimissioni di Berlusconi, che dà il Pd al 29,3 per cento, il Pdl sotto al 25, il calo di leghisti e dipietristi, il boom del Terzo polo con l’Udc oltre il 10. È un sondaggio molto positivo per il Pd, il quale gode – secondo La Stampa che ha commissionato la ricerca – del ruolo di sostenitore principale della soluzione del governo d’emergenza, mentre escono penalizzati non solo il partito dell’ex premier ma anche quelli delle ex maggioranza e opposizione che sono apparsi più riluttanti a dare un governo nuovo al paese.
Di qui, forse, la resipiscenza di Di Pietro in queste ore.
Gli spostamenti di consensi sono sostanziosi e anche sorprendenti, sta di fatto che sondaggi del genere e anche il clima in generale “condannano” felicemente il Pd al ruolo di motore della nuova fase politica.
Paradosso fortunato. Conosciamo i dubbi che c’erano nel Pd nel momento di abbandonare la linea “elezioni subito”. E anche fra gli elettori democratici qualcuno avrà sorriso nel sentire Bersani sabato notte dire, più o meno: «Berlusconi l’abbiamo mandato via noi».
Ma Bersani – Europa lo scrisse nel suo primo giorno da segretario – è un uomo fortunato.
Lo è anche quando non tutto gira come aveva pianificato lui.
L’importante a questo punto è sapere una cosa: le elezioni, quando ci saranno, non saranno vinte da chi è in testa ai sondaggi oggi. Saranno vinte da chi saprà muoversi meglio nella nuova stagione, accettando anche di farsene cambiare.
Tutti in realtà hanno una chance, perfino Berlusconi. Le operazioni di ristrutturazione del centrodestra sono già avviate, tra Fini, Alemanno, Casini.
Dai numeri della Stampa, e dal clima che si respira, il Pd deve prendere l’incoraggiamento a stare nella fase politica, a sostegno di Monti, in modo attivo e positivo, con pieno coinvolgimento.
Sarebbe sbagliato dare l’impressione – qua e là affiora – di aver fatto un terribile sacrificio, di dover subire un passaggio gravido di rischi, di volersi tenere alla larga (pur magari approvandole) dalle misure difficili dell’austerità e dalle riforme liberali che Monti tenterà, e sulle quali altri saranno lesti a mettere il cappello.

da Europa Quotidiano 15.11.11

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“Il Pd rivede l’agenda (e i contenuti)”, di Rudy Francesco Calvo

Il Nazareno rinvia la conferenza programmatica: il nuovo governo ora è la priorità. Slitterà la conferenza programmatica e, molto probabilmente, anche quella organizzativa. Al Nazareno in questi giorni sono tutti occupati a far sì che il governo Monti veda la luce in tempi rapidi, ma inevitabilmente qualcuno ha già iniziato a dare un’occhiata all’agenda dei prossimi mesi e a giudicare gli appuntamenti previsti incompatibili con la nuova fase politica. Il motivo è semplice, come spiega un dirigente dem: «Mentre a palazzo Chigi c’è un governo amico, non possiamo rischiare di metterlo in difficoltà».
E riaprire una discussione su temi come il mercato del lavoro, il fisco, le pensioni, inevitabilmente creerebbe delle difficoltà a un esecutivo che sarà sostenuto dal Pd, ma non ne ricalcherà totalmente la linea politica.
I principi illustrati da Monti al Quirinale, subito dopo aver accettato con riserva l’incarico di formare il nuovo governo, sono stati molto apprezzati al Nazareno: «Equità sociale e la crescita che si affianca al risanamento sono sempre state le nostre parole d’ordine».
E anche Massimo D’Alema è d’accordo, rivendicando il ruolo che i partiti dovranno avere anche nella nuova fase: «C’è una responsabilità della politica – ha detto ieri sera intervistato da Lucia Annunziata su Raitre – altrimenti decidiamo che invece di fare le elezioni ci affidiamo ai mercati e alle banche». I provvedimenti che il nuovo esecutivo sarà costretto a prendere per tirare fuori il paese dalle secche della crisi saranno però distanti, in molti casi, dalle proposte formulate dalle assemblee programmatiche dem degli anni scorsi. Se già alcuni di quei contenuti erano rimessi in discussione, adesso rischiano di essere definitivamente cestinati.
Mentre insomma si discute se inserire o meno nella squadra di Monti ministri o sottosegretari politici, da affiancare alla struttura portante formata da tecnici, nel Pd c’è chi fa già un passo avanti: «Questo sarà un governo propriamente politico, perché politica sarà la sua missione e il suo indirizzo – spiega un dem vicino a Enrico Letta – è un’occasione da non perdere per ritrovare la coesione tra i partiti su alcuni temi, come le riforme costituzionali e la legge elettorale, e per costruire il Pd come lo avevamo immaginato in origine, attirando anche i consensi dell’area moderata».
Né lo spauracchio di Berlusconi, né la prospettiva delle elezioni possono più essere posti a freno di un confronto politico schietto sul profilo del partito.
Anzi, distinguersi dalla linea che sarà adottata dal prossimo governo per coprirsi il fianco a sinistra rischierà di far apparire il Pd come il partito che mette i bastoni tra le ruote del risanamento.
Insomma, se non sarà come diceva qualche giorno fa Follini con una battuta riportata dai giornali («Senza sprecare tempo e soldi, abbiamo fatto il congresso del partito»), è comunque probabile che la linea liberal esca rafforzata dal nuovo corso, sotto l’ombrello protettivo del governo Monti.
Così si può spiegare anche la freddezza con cui l’ala più intransigente dei bersaniani sembra accogliere il nuovo corso («Qualche mese dovrebbe essere sufficiente», Fassina; «Ichino ministro sarebbe una provocazione per il Pd», Orfini).
Bersani, comunque, va per la sua strada. Non sono previste ulteriori riunioni del coordinamento o della direzione prima che Monti sciolga la riserva, ma il segretario ha riunito ieri (e tornerà a farlo oggi) il “caminetto di crisi” con i capigruppo, Bindi e Letta ed è in continuo contatto con gli altri big, da D’Alema a Veltroni. La sua posizione rimane favorevole a un governo di soli tecnici, anche d’area. E questo dirà oggi al premier incaricato.

da Europa Quotidiano 15.11.11

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“Gli ambasciatori nell’era Monti”, di Mario Lavia

Il governissimo cambia i rapporti tra i due maggiori partiti: finita la guerra dovranno iniziare a collaborare: come?
Qualcuno fra i meno giovani ricorderà personaggi come Luciano Barca e Ferdinando Di Giulio: erano due dirigenti del Pci che all’epoca della solidarietà nazionale erano incaricati di tenere sempre aperti i canali con la Dc, soprattutto in relazione all’attività parlamentare. Quella degli “ambasciatori”, figure dotate di duttilità e senso del compromesso, è una funzione che specie nelle fasi complesse come quella che si sta aprendo può essere decisiva.
E infatti ci si chiede chi, nella inedita situazione di un esecutivo appoggiato da partiti che si combattono da tre lustri (e continueranno a farlo una volta chiusa questa parentesi tecnica), nel Pd e nel Pdl possa avere le caratteristiche politiche e umane utili alla bisogna.
A partire da una domanda: scatterà un feeling positivo fra Bersani e Alfano, i due leader da cui, alla fine, un po’ tutto – o molto – dipende?
Ammesso che “Angelino” riesca ad esercitare davvero una sua leadership autonoma, a molti pare che entrambi i personaggi siano dotati di un tasso di comunicatività che dovrebbe agevolare il loro rapporto politico.
Per quanto riguarda il Pd, pochi dubbi. L’ambasciatore per eccellenza si chiama Enrico Letta. Per ragioni politiche e caratteriali, Letta sta vivendo questa fase di costruzione del governo Monti in una posizione assolutamente centrale, ed è dunque verosimile che si troverà a giocare nei prossimi mesi un ruolo di primissimo piano, anche e soprattutto per il forte rapporto che è andato in queste settimane consolidandosi con il Quirinale, vero “regista” delle operazioni.
Essendo l’economia il piatto principale del menù di Monti, un gran ruolo è destinato ad avere Enrico Morando, esponente di punta e di chiara competenza, che insieme al collega senatore Pietro Ichino avrà al senato in mano i relativi dossier.
Parallelamente la squadra economica del Pd a Montecitorio – Boccia, Baretta, Damiano, D’Antoni, fra gli altri – forse dovrà fare i conti con quegli ex ministri con i quali i rapporti spesso si sono incattiviti: non è ancora chiaro cosa succederà nel Pdl, ma certo è che se a “trattare” saranno i Brunetta e i Sacconi ci sarà poco da stare allegri.
Ma pare invece ipotizzabile un ruolo di primo piano di persone come Cazzola, Napoli, forse Crosetto, parlamentari più disponibili alla mediazione, perché certo è che Cicchitto e Gasparri non paiono i più inclini a svolgere un ruolo di mediazione. Meglio Quagliariello e Corsaro.
L’altra grande questione, è la legge elettorale. Qui l’“ambasciatore” dem è senz’altro Dario Franceschini. All’occorrenza durissimo nei discorsi pubblici, Franceschini è uomo assai abile e duttile nelle trattative riservate. Per molto tempo il dossier sulla legge elettorale è stato in mano sua ed è dunque un profondo conoscitore della materia. Dall’altra parte, Cicchitto ricorrerà agli sherpa (Calderisi, Bruno), intervenendo solo al momento giusto.
È un tema spinoso, interamente nelle mani del parlamento, poiché e chiaro che sulla legge elettorale si riparte un po’ da capo. Nel senso che la geografia politica del dopo-Berlusconi consegna al paese un relativo scongelamento dei poli (la Lega che può rompere col Pdl) e una implicita rimessa in discussione del leader della destra.
Però una bussola c’è. La si ritrova nelle parole di Giorgio Napolitano, per il quale non si tratta «di venir meno all’impegno di rinnovare la nostra democrazia dell’alternanza attraverso una libera competizione elettorale per la guida del governo». Ma su come assicurare il bipolarismo la discussione è aperta.

da Europa Quotidiano 15.11.11