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"Emergenza carceri. Una fabbrica di suicidi", di Francesco Moscatelli

59 detenuti si sono tolti la vita nel 2011. Secondo le statistiche nelle carceri italiane avviene un suicidio ogni cinque giorni, uno ogni mille detenuti. I tentati suicidi, invece, (i dati fanno riferimento al 2010) sono stati quasi il triplo: 167. La situazione è drammatica Ci sono 67.510 carcerati ma i posti-letto sono 45.572 Il ministro Severino ha detto che i problemi delle prigioni sono una delle sue priorità

L’ ultima vittima, P.C. A., un cittadino colombiano di 48 anni, si è impiccato venerdì 18 novembre nel carcere bolognese della Dozza. Ha rifiutato di uscire dalla sua cella durante l’ora d’aria, ha lasciato sopra il materasso alcune lettere per i suoi familiari e si è impiccato con il lenzuolo, «legandosi le mani con un calzino per evitare ripensamenti». Una settimana prima, sabato 12 novembre, due tragedie identiche si sono consumate nel Reparto di osservazione di Poggioreale, a Napoli, e nell’ospedale psichiatrico di Reggio Emilia. E questi sono solamente gli ultimi tre dei cinquantanove suicidi avvenuti quest’anno nei penitenziari italiani. Uno ogni cinque giorni, uno ogni mille detenuti dicono le statistiche. E i tentati suicidi (i dati fanno riferimento al 2010) sono stati quasi il triplo: 167.
Il numero impressionante di «auto soppressioni», come vengono definiti i suicidi nelle relazioni delle guardie penitenziarie che ci devono convivere tutti i giorni, è l’aspetto più evidente di un sistema carcerario che si avvicina sempre di più a un inferno. Il primo male, però, da cui discendono tutti gli altri, è il sovraffollamento. Ad oggi nelle 206 prigioni italiane ci sono 67.510 detenuti (43.253 italiani e 24.257 stranieri) per 45.572 postiletto. Fra questi ci sono 37.395 persone condannate in modo definitivo (il 55,4%) e 28.457 imputati (14.445 – il 21,4% – in attesa del giudizio di primo grado, 7.698 l’11,4% – in attesa del giudizio d’appello e 4696 -il 7% – in attesa della sentenza definitiva della Cassazione). Il totale dei detenuti era di circa 40.000 unità nel 2006, subito dopo l’indulto, ma in questi cinque anni è tornato a crescere ben oltre la soglia di guardia. Per comprendere il livello di emergenza basta confrontare l’indice di sovraffollamento (quanti sono i carcerati ogni cento posti disponibili) dei principali Paesi europei: in Italia è 148,2 (peggio di noi c’è solo la Spagna con 153) mentre la media europea è 104 e nei paesi virtuosi (Svizzera, Danimarca, Norvegia, Germania e Portogallo) l’indice si aggira intorno al 90.
«Nove regioni (Calabria, Emilia Romagna, Friuli, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Valle d’Aosta e Veneto) – scrive Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp (l’Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria) – hanno superato persino le capienze massime consentite, con 6.000 poliziotti penitenziari in meno su un organico di 45.109, 2.236 unità dei profili tecnici e amministrativi in meno su un organico di 8.737 e circa 150 milioni di debiti su forniture e utenze per il 2011. E per il 2012 c’è l’urgente necessità di reperirne altri 250».
Il 13 gennaio del 2010 l’ex ministro della Giustizia Angelino Alfano ha cercato d’intervenire varando il cosiddetto «Piano carceri». Il progetto di Alfano si fondava su tre pilastri: la costruzione di 11 nuovi penitenziari, la realizzazione di 20 padiglioni extra all’interno di strutture già esistenti e l’assunzione di 2.000 nuovi agenti penitenziari. Dieci mesi dopo, però, come ha ricordato pochi giorni fa Marco Pannella dai microfoni di Radio Radicale – «Il 28 luglio il Presidente della Repubblica ci disse, direi, ci ordinò, di affrontare la prepotente urgenza rappresentata dalla situazione delle carceri e della giustizia. Dov’è finita questa emergenza? », siamo ancora al punto di partenza. Anche ammesso che il «Piano carceri» venga completato in tempi ragionevoli, infatti, all’appello mancherebbero comunque 12.788 posti. Le situazioni più allarmanti sono in Lombardia (mancano 4.114 posti, ma a piano ultimato ne mancherebbero comunque 3.314), Campania (mancano 2.182 posti e a piano ultimato ne mancherebbero 1.332) e Lazio (mancano 1.754 posti e a piano ultimato ne mancherebbero 1.354).
Il nuovo governo è consapevole che bisogna intervenire il prima possibile. Tant’è vero che le uniche parole pronunciate dal Guardasigilli Paola Severino, intercettata dai cronisti mentre usciva dal Quirinale dopo il giuramento sono state: «Diamoci tutti una mano. Il carcere è un problema grave». Sul piatto, oltre agli interventi sulle strutture e sugli organici della polizia penitenziaria, potrebbe esserci anche altro: dalla revisione delle norme sulla custodia cautelare all’introduzione di misure alternative alla detenzione per i reati meno gravi. In tempi di tagli alle spese dello Stato, infatti, a preoccupare sono anche i numeri dei bilanci. Secondo i dati del dipartimento di Polizia penitenziaria ogni giorno spendiamo 7.615.803 euro. In pratica 113 euro per ogni detenuto. Di questi 98,95 euro vengono spesi per il personale, 4,03 per il funzionamento delle strutture, 3,35 per le spese d’investimento (edilizia penitenziaria, acquisto di mezzi di trasporto) e 6,48 per il mantenimento dei detenuti. «Ma di questi spiega Riccardo Polidoro, presidente della onlus “Il carcere possibile” -3,95 euro vengono spesi per il cibo e solamente 11 centesimi per il trattamento di riabilitazione».

La Stampa 21.11.11

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Viaggio nell’orrore degli ergastoli bianchi. Centinaia di detenuti come bestie negli ospedali giudiziari
di Flavia Amabile

Il buco nero Sono trascorsi più di trent’anni dalla legge Basaglia che ha chiuso i manicomi ma in Italia ci sono ancora almeno 1.404 internati distribuiti in sei ospedali psichiatrici giudiziari. È l’11 giugno del 2010 quando i senatori della Commissione d’Inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale entrano nell’Ospedale Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, in Sicilia. Nessuno aspetta la loro visita ma soprattutto forse nemmeno loro sanno a che cosa stanno andando davvero incontro. Un uomo è disteso su un letto. È da solo nella stanza per le contenzioni, dove vengono tenuti legati i detenuti considerati pericolosi o violenti. È nudo, braccia e gambe tenuti fermi con garze fissate alla rete, e ha un ematoma sulla fronte. Al centro del letto, all’altezza del bacino, un buco per i suoi escrementi collegato ad un altro buco nel pavimento arrugginito dall’uso prolungato negli anni. È la stanza di contenzione inaugurata dal ministro Rocco nel 1925, e più o meno gli stessi anni ha la norma che prevede che quell’uomo debba restare in un posto del genere a vita in quello che è stato definito un ergastolo bianco anche se si è semplicemente rubato un panino o bevuto un po’ troppo e si è finiti coinvolti in una rissa. Donatella Poretti, volata da Roma insieme agli altri commissari per scoprire questo scandalo italiano, guarda il registro delle contenzioni per cercare di capire che cosa avesse combinato quest’uomo. Non c’è scritto nulla.
È l’inizio di un viaggio nell’inferno, un buco nero scoperchiato dai altri senatori della commissione che ha dato vita a una relazione da leggere solo se si ha lo stomaco forte e che Ignazio Marino, presidente della commissione, presenterà questa settimana al terzo ministro della Giustizia in un anno portando un video di oltre mezz’ora di scene girate in giro per l’Italia. Perché sono trascorsi più di trent’anni dalla legge Basaglia che ha chiuso i manicomi ma nonostante questo in Italia ci sono ancora almeno 1.404 internati distribuiti in sei ospedali psichiatrici giudiziari italiani. La legge prevede che debbano restare lì soltanto se sono socialmente pericolosi. Dall’indagine della commissione in 368 sono stati considerati in grado di poter uscire ma soltanto 101 hanno effettivamente lasciato le strutture: non ci sono né Asl né comunità disposti ad assisterli. A questo punto il Senato ha votato sì alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari con una risoluzione, che ha visto maggioranza e opposizione votare in modo compatto, il primo passo verso la chiusura definitiva.
Difficile infatti tollerare luoghi come l’ospedale di Barcellona Pozzo di Gotto dove le pareti hanno intonaci sporchi e cadenti, porte e finestre hanno i vetri incrinati, ovunque vi sono macchie di muffa e umidità, sporcizia, vernice scrostata e ruggine, un lezzo nauseabondo di urine. Sui letti le lenzuola e le coperte sono strappate, sporche ed insufficienti e le celle garantiscono 3 metri di spazio per persona con un bagno comune aperto, tutti vedono tutti. Non esistono frigoriferi: chi vuole bere dell’acqua fresca infila la bottiglia nel buco del bagno turco dove la temperatura è un po’ più bassa di quella delle celle.
Non è così ovunque ma quasi. E le persone che finiscono lì perdono ogni dignità. A volte anche senza motivo. E così i senatori della commissione incontrano nell’ospedale di Reggio Emilia un uomo dal fisico robusto e muscoloso. Da cinque giorni è legato anche lui al letto di contenzione. Chiedono informazioni, scoprono che l’uomo è stato arrestato 22 anni prima per una rissa a Firenze. Viene giudicato incapace di intendere e di volere e chiuso nel primo ospedale giudiziario. Da allora si scatena in lui una tale violenza da rendere impossibile occuparsene senza legarlo. Quasi come per un accordo non scritto gli ospedali lo ospitano per un po’ poi lo trasferiscono. È questa da 22 anni al vita di un uomo condannato per rissa.
Nell’ospedale di Secondigliano, vicino Napoli, i senatori incontrano un uomo con bende sporche intorno alle gambe e ai piedi. Ha evidenti segni di cancrena e da settimane nessuno gli cambia le medicazioni. L’unico tipo di assistenza sono 30 minuti ciascuno di terapia psichiatrica al mese per loro che sono malati psichiatrici. Come si potrebbe pensare di curare il diabete?

La Stampa 21.11.11

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«La soluzione c`è. Distribuire queste strutture sul territorio» 3 domande a Ignazio Marino di Flavia Amabile

Ignazio Marino, presidente della Commissione sul Servizio Sanitario Nazionale, già sei mesi fa avete lanciato il primo allarme sugli orrori commessi negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Che cos`è cambiato da allora?
«È cambiata la sensibilità nel Paese e anche negli ospedali.Prima venivamo accolti con diffidenza, ora anche loro si rendono conto della necessità di andare oltre questo tipo di strutture. C`è stato anche un voto unanime in commissione in questo senso. Purtroppo nessuna forza politica si è mossa per superare quello che è uno scandalo intollerabile per un Paese civile, come ha sostenuto anche il presidente Napolitano».

Superare gli ospedali giudiziari per arrivare a quale soluzione?
«Vanno trasformati in strutture distribuite meglio sul territorio: ogni Regione deve avere la responsabilità dei propri pazienti e devono essere previste misure cautelari solo in caso di provato pericolo».

Questa settimana ne parlerà con il ministro della Giustizia. È fiducioso?
«Non posso non esserlo. Noi membri della commissione siamo talmente nauseati dopo due anni di visite negli ospedali giudiziari da essere pronti ad incatenarci pur di ottenere quello che chiediamo. Un giorno uno dei detenuti mi ha detto: lo sa che chi tiene dei cavalli in uno spazio di 3 metri viene arrestato? E noi che siamo umani?»

La Stampa 21.11.11