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"Il superbonus dei manager", di Rinaldo Gianola

Pierfrancesco Guarguaglini ha avuto nel 2010 una retribuzione di 4,4 milioni di euro come presidente e amministratore delegato di Finmeccanica. Ora si è dimesso e gli verrà riconosciuta una liquidazione di 5,5 milioni di euro. In un anno ha incassato 10 milioni di euro. È tollerabile che un’azienda di Stato paghi una simile cifra a un suo manager? Cosa devono pensare i cittadini chiamati in queste ore dal governo di impegno nazionale a duri, pesanti sacrifici, che andranno in pensione più tardi, pagheranno più tasse e tireranno la cinghia per arrivare alla fine del mese?
La polemica sulle ricche retribuzioni dei manager non è una novità, ma sorprende sempre che la «casta» dei duri capi azienda, dei finanzieri di chiara fama, dei banchieri prestigiosi, riesca a farla franca. Oggi le liquidazioni record, i premi, i bonus, le «parti variabili della retribuzione» sono un’offesa alla società, misurano il grado di ingiustizia e di diseguaglianza tra chi sta sopra e chi sta sotto. Nessuno mette in discussione il fatto che le responsabilità di chi guida un‘impresa, soprattutto in momenti così difficili, vadano adeguatamente premiate. Ma il problema è porre un limite a retribuzioni scandalose, fermare
la voracità predatoria di questa èlite del capitalismo. Com’è
possibile riconoscere una liquidazione di 40 milioni ad Alessandro Profumo? Cosa ha fatto di straordinario Luca di Montezemolo per meritarsi 8,7 milioni nel 2010? E Cesare Geronzi con 5 milioni? Ancora: quanto incasserà il ministro
Corrado Passera che si è appena dimesso da Intesa SanPaolo?
Nel momento in cui il governo punta a tagliare i costi della politica, a colpire i “privilegi” (compreso il diritto di andare in pensione dopo quarant’anni di lavoro…), si può chiedere almeno di avere un segnale su questo fronte, perché non è davvero tollerabile ascoltare le lezioni moralizzatrici di presunti modernizzatori miliardari.
Sergio Marchionne potrebbe incassare circa 200 milioni di euro dal suo piano pluriennale di stock options, oltre al solito stipendio (3,4 milioni nel 2010). E i suoi guadagni sarebbero
tassati solo al 30%, come prevede il paradiso fiscale di Zugo dove egli risiede. Cosa deve pensare l’operaio Fiat al quale ieri il Lingotto ha ventilato un “aumento” medio lordo di 30 euro al mese, spalmando però la quattordicesima sul salario mensile? E se magari qualcuno s’arrabbia?
Nel vibrante saggio «La crisi economica mondiale», Giulio Sapelli attribuisce il dramma di questi anni anche al «colpo di
stato mondiale dei manager stockopzionisti». È ora di iniziare finalmente a mettere un freno a questa vergogna.

L’Unità 03.12.11