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"Letterina a Gesù Bambino", di Ermanno Olmi

Buon Natale, tanti auguri, felice anno nuovo! Cos’altro scrivere? In questa vigilia di Natale c’è in giro una gran brutta aria che neanche i cartoncini decorati degli auguri riescono a scongiurare. Nessuno può aiutarci a venirne fuori se non da noi stessi, tutti insieme, con le nostre forze. Ma anche confidando nell’aiuto dei sogni e delle belle favole. Come quella di Gesù Bambino a cui da piccolo anch’io scrivevo la mia letterina per confidargli i miei desideri.
Sono passati più di settantacinque anni. Una vita. E adesso che sono vecchio e le energie affievoliscono, ecco che torno ad aver ancora bisogno di sogni e belle favole. E allora, sommessamente, ma con un nuovo slancio, voglio scrivere a Gesù Bambino che non l’ho dimenticato. Certo: un po’ trascurato, questo sì.

Tuttavia Lui sa bene come vanno queste cose. Si comincia che quasi non ce ne si accorge e poi ci facciamo prendere dentro dai cambiamenti del mondo e un po’ alla volta si finisce col cambiare anche noi. E così è stato. Appena siamo diventati ricchi abbiamo cominciato a praticare i modi e le mode dell’agiatezza che sono cose, queste, che s’imparano subito e senza bisogno che qualcuno ci spieghi che coi soldi è comunque un gran bel vivere.

E tu invece, caro Gesù Bambino, che sei venuto al mondo in una stalla come l’ultimo dei poverelli, francamente non eri intonato a comparire in mezzo a quel lusso sfavillante delle nostre vetrine sempre traboccanti d’ogni bendidio.

Molto meglio Babbo Natale, ben più rappresentativo del nostro improvviso benessere con quel suo sgargiante costume rosso cocacola, che dispensa doni favolosi come mai s’erano visti prima. Anche questo è stato un sogno. E noi dentro quel sogno.

Ma oggi, una nuova realtà ci sorprende. Dopo tanti anni di spensieratezza, quasi da un giorno all’altro, ci dicono che non siamo più ricchi e che in realtà non lo siamo mai stati per davvero. O se anche lo siamo stati per un po’, non poteva durare per sempre.

A ripensarci, adesso sembra quasi che sia stata tutta una messinscena e anche Babbo Natale è ormai un attore secondario e s’è ridotto ad arrampicarsi lungo le facciate delle case, tanto da somigliare più a un ladro che a un fantoccione che porta regali…

Triste Natale del 2011. Natale di sacrifici. Ma non bisogna perdersi d’animo.
Intanto con mia moglie Loredana ci prepariamo ad accogliere i nostri tre figli che sono oramai degli adulti e vivono la loro vita altrove. Ma tornano sempre per il giorno di Natale. Non hanno mai mancato.
E come sempre ci ritroviamo tutti insieme intorno alla tavola imbandita, ciascuno al proprio posto, lo stesso che hanno sempre occupato fin da quand’erano piccoli. E così, anche solo per un giorno torniamo a essere la ‘nostra famiglia’ e ogni anno che passa, questo sentimento, per me e Loredana, ci diventa sempre più caro.
E credo anche per loro.

Loredana ha cominciato per tempo a ornare la casa di luminarie, a incartare e infiocchettare i regali e a preparare il patè di fegatini che piace tanto ai bambini. Bambini? Per noi, nel giorno di Natale, sono sempre «i nostri bambini». E se anche la vedo un po’ affaticata, so che è felice. E anch’io lo sono. Eppure non dovrei, a causa di questi nostri giorni così carichi di incertezze per tutti, con tanta sofferenza nel mondo e disperazione, conflitti, odio e morte.

Caro Gesù Bambino, è forse per questo che dopo tanti anni ho sentito ancora il bisogno di scriverti questa mia letterina. Quante cose vorrei chiederti in regalo! Di quanto aiuto sentiamo ancora il bisogno di ricevere da te. E che tu solo puoi regalarci. Lo so bene che ascolti più volentieri i bambini perché hanno il cuore puro degli innocenti.

Ma se vorrai ascoltare anche noi che da troppo tempo abbiamo lasciato che il nostro cuore si chiudesse all’amore degli altri, lasciaci almeno la speranza di poterci mettere alla prova per diventare uomini di buona volontà e di pace.

Per questo ho deciso che da quest’anno riprenderò a fare il presepe ogni Natale. Loredana tirerà fuori dal ripostiglio lo scatolone con le statuine che tanto tempo fa avevamo modellato nella creta insieme ai bambini e quest’anno, inaspettatamente, se lo troveranno lì, sotto gli occhi e io, da poco distante, li spierò mentre loro, senza darlo a vedere, ne sono sicuro, tratterranno un brivido di commozione.

Poi, prima che faccia buio, quando i figli se ne saranno già andati, Loredana e io saremo nuovamente soli. Adesso lei comincia a sentire la stanchezza e si stende sul divano a vedere un po’ di televisione. Ma so bene che più della stanchezza deve scacciare la malinconia.

E io, per lasciarla sola, rimango in cucina a dare un’occhiata ai giornali, sempre più o meno con gli stessi titoli di ieri e l’altrieri, di domani e posdomani. Il mondo è sempre più a rischio di un inceppo totale e non si fa che ripetere l’inutile ammonimento: promuovere sviluppo, rilanciare la crescita, produrre nuova ricchezza.

Caro Bambinello Gesù, lo vedi? Tu li conosci bene gli uomini. Non impareranno mai. Siamo dentro a una situazione talmente disastrosa che chissà come andrà a finire e nonostante l’evidenza si pensa ancora di risolvere i problemi con gli stessi criteri, ripetendo i medesimi errori.

Non vogliono capire che la sola salvezza è nella povertà come tu ci hai mostrato. Povertà come virtù. Che non è la miseria, bensì la liberazione dal superfluo, una ritrovata misura del necessario. E se ricomiciassimo di nuovo dal gesto che smuove la zolla? Lascio la lettura del giornale e mi avvicino al presepio. Guardo il Bambinello e gli parlo.

«Quando il mondo era in attesa della tua venuta, l’annuncio proclamava il tuo arrivo alla testa di schiere di angeli come un esercito celeste. Sei arrivato fra noi in silenzio, in disparte, senza gli onori dei potenti. Ti sei mostrato agli umili e ci hai narrato la più bella delle favole: la favola dove l’amore è la realtà più vera e di tutti, con giustizia».

da Domenica del Sole24Ore, del 24.12.2011