economia, politica italiana

"Il Questionario di Davos", di Federico Fubini

Lo spread dei Btp sui Bund, il termometro della febbre, è più basso di quando Standard & Poor’s declassò l’Italia due settimane fa. Ieri era a quota 404 punti, allora era a 487. L’agenzia di rating quel giorno spiegò la sua decisione dicendo che il mercato di fatto l’aveva già presa, ma forse è proprio perché S&P si è limitata a seguire gli investitori che questi ora rifiutano di seguire lei: in quella scelta non c’era molta analisi dei dati di fondo del Paese, dalla riforma pensioni al taglio del deficit verso quota zero. Era solo la presa d’atto che un debitore può finire in difficoltà se i suoi creditori pensano che lo sia, lesinandogli dunque i prestiti.
Simili osservazioni si potrebbero muovere da ieri sera sul conto di Fitch. Anche la terza delle grandi società di valutazione ieri ha tagliato di due gradini il giudizio sull’affidabilità finanziaria dell’Italia, benché il suo rating resti sopra a quello delle concorrenti S&P e Moody’s. Ma le motivazioni suonano decisamente familiari. Fitch parla dell’assenza di quello che chiama un vero «muro taglia fuoco», un fondo salvataggi credibile in Europa. Evoca il rischio che una crisi si auto-avveri solo perché i mercati la pensano plausibile e finiscono quindi preda del panico, acuendo così la crisi stessa. Ricorda la recessione nella quale gran parte dell’area euro sta scivolando. Per la verità, l’agenzia cita anche fattori specifici sull’Italia, soprattutto il rischio che la caduta dell’economia vanifichi quanto fatto sinora per mettere i conti in ordine. È una tela di Penelope, l’austerità tessuta di giorno rischia di disfarsi con il calo del fatturato che può provocare. E anche qui i contro argomenti non mancherebbero: se un anno fa l’Italia meritava un rating due gradini sopra, perché tagliarlo ora che ha fatto manovre per il 5,5% del Pil e ha risolto il problema delle pensioni prima e meglio della Germania o dell’Olanda?
È una discussione che può andare avanti all’infinito, ma non sposta di un centimetro una realtà di fondo che ieri Fitch stessa ha ricordato: da questa crisi si esce solo con una ripresa vera e diffusa, cioè non subito. Noi italiani siamo i campioni del mondo dei colpi di reni, degli scatti improvvisi per balzare fuori da situazioni che sembravano disperate. Ma con tutte le incoerenze del caso, le agenzie di rating e i tanti investitori in questi giorni riuniti a Davos non si preoccupano di questo. Ci parlano di ordini temporali diversi. Il malessere dell’Italia viene da lontano e neppure il più efficiente dei governi lo risolverà mai in un anno solo.
Ripensare un Paese non può essere un esercizio una tantum. In questi dodici anni di euro, l’Italia ha perso trenta punti percentuali di competitività rispetto alla Germania e non li recupererà più con nessuna svalutazione: né esterna della moneta, né interna deprimendo all’infinito il potere d’acquisto dei salari. La sola via possibile per gli italiani è accettare che dopo un brillante scatto sui cento metri, guidato da questo governo, la corsa continuerà. La domanda di fondo di Fitch, di S&P e degli investitori è che Paese sarà questo fra cinque anni. Non vogliono sapere solo se riuscirà a finanziarsi nei prossimi dodici mesi. La tenuta anche nel breve periodo dipende in buona parte dalla consapevolezza che la metamorfosi che viviamo ha radici lontane e una dimensione nella lunga durata. Ma su questo la risposta devono darla gli italiani, non Mario Monti.

da Il Corriere della Sera

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“Visco: ma io sono ottimista il piano del governo piace”, di FRANCESCO MANACORDA

Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, è convinto che il piano del governo riesca a convincere in positivo i mercati

La bocciatura di Fitch, la promozione di Bankitalia. Nelle sale del World Economic Forum di Davos, dove il caso italiano appare decisamente meno preoccupante di un anno fa, il governo Monti incassa anche il pieno sostegno del Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. «Sono ottimista – dichiara alla Bbc -. Molta fiducia è stata riguadagnata per alcune ragioni. Una sono le politiche messe in atto o in via di implementazione da parte dei governi. In Italia, senza dubbio, politiche molto importanti».

Nei colloqui riservati che Visco ha a Davos in questi giorni – ha visto altri banchieri centrali, lo stesso Draghi e il direttore del Fmi Christine Lagarde, mentre oggi parteciperà a un vertice sulla stabilità finanziaria i concetti espressi dal Governatore sono stati molto chiari. In sintesi: grande apprezzamento per il piano di bilancio del governo e per l’importanza strutturale della riforma delle pensioni. Secondo il Governatore quello dell’esecutivo Monti è un buon avvio, anche se ovviamente il lavoro è ancora da completare. Siamo all’inizio – ha spiegato Visco ai suoi interlocutori che gli chiedevano un giudizio sui primi atti del governo – delle riforme strutturali che devono avere effetti su produttività e competitività.

Un giudizio che pare condiviso da molti a Davos. Sarà inutile prendersela con il termometro – in fondo è questo il lavoro che le agenzie di rating dicono di fare – che informa dello stato di salute dei Paesi. Ma visto dalle pur fredde nevi svizzere il termometro di Fitch pecca certamente di qualche ritardo nella diagnosi del paziente Italia.

«Sono cautamente ottimista su quello che sta avvenendo in Italia commenta il Nobel per l’economia Michael Spence – alla luce di un programma di riforme che mi pare molto comprensivo. Certo, una cosa è convincere l’opinione pubblica della necessità delle riforme e un’altra è far passare il concetto che qualcuno deve pagare per le riforme. Penso che alla fine il pacchetto di riforme passerà, ma è il caso che l’Italia si muova velocemente, che il governo tecnico di Monti e il sistema politico negozino una soluzione rapida». Vede sostanzialmente ridotta la percezione del rischio-Italia anche l’ex ministro del Tesoro Domenico Siniscalco, oggi alla guida di Morgan Stanley in Europa, che avverte un sentimento collettivo migliore sull’intera zona euro e rovescia addirittura i termini: «Non è più l’Italia a mettere a rischio l’Europa. Semmai è il caso opposto. Come si è visto oggi (ieri, ndr) è il successo dei negoziati europei a determinare l’andamento dell’Italia sui mercati internazionali». E in generale, aggiunge Siniscalco, «il quadro europeo è un po’ migliorato. Soprattutto gli scenari catastrofici sono ritenuti improbabili».

«La grande differenza è che adesso c’è speranza, mentre prima non c’era – dice parlando del cambio di governo l’economista Daniel Gros, che dirige il Ceps di Bruxelles -. Ma ovviamente se dovessi dare una ricetta per l’Italia direi che dovete fare di più e più presto su tutti i fronti. Quello fiscale, quello strutturale e anche sul taglio dei costi». Sul rischio che una cura da cavallo, in Italia come in Europa, inneschi la quasi inevitabile recessione, Gros è lapidario: «Si può scegliere tra una situazione in cui prima si cala e poi si cresce, disegnando una sorta di V, oppure adeguarsi a una stagnazione di lunga durata».

Più ottimista rispetto al passato è anche Moisés Naim, l’economista del Carnegie Endowment, che guarda all’Italia, ma soprattutto all’Europa nel suo complesso: «La situazione è decisamente migliore adesso di due o tre mesi fa. L’Europa non andrà all’Inferno, anche se deve abituarsi a vivere in Purgatorio, con una crescita bassa o assente. Ma almeno eviterà la catastrofe che un anno fa appariva probabile». Per Naim il problema deriva anche dal fatto che «i mercati si muovono alla velocità di Internet e i governi, invece, alla velocità della democrazia». Inutile chiedergli quale delle due velocità seguano le agenzie di rating.

da www.lastampa.it