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"Quell'incapacità di sopportare la perdita", di Federica Mormando

Sempre più spesso si sente di uomini che uccidono la donna che li lascia. Per questi signori la perdita è l’abbandono, non la morte. Infliggerla è il possesso supremo, il potere di vita e di morte. A lungo i maschi l’hanno avuto, regolato dalla legge, codificato nel delitto d’onore. Si ammazza per un furto, per il territorio, e per il furto più disonorevole: quello dell’oggetto che se ne va diventando persona e rifiutando l’identità di cosa posseduta. Ben di rado leggiamo di donne che ammazzino il marito. La legge è cambiata, si parla di diritti della persona, ma non è sfumata la vecchia logica: «Roba mia vientene con me», come diceva Mazzarò.
Le menti fragili, inevolute, si nutrono dei plurimi messaggi contro le donne che giungono da tutti i tipi di media. Nei film sono le femmine a subire ogni tipo di violenza, come nella cronaca, in report che fanno risaltare l’assassino come protagonista, anche se negativo. La formazione della persona è affidata al caso, le istituzioni collaborano assai poco. A scuola, fra tanti insegnamenti e laboratori verticali e trasversali manca del tutto quello alla parità dei sessi e al rispetto reciproco. La morale è roba da soffitta, chi ne parla più? La disciplina, giace con lei. L’immagine data dalla società è di impuniti delinquenti che se la godono a spese della brava gente. Le discussioni sul levare il Crocefisso dai muri ne stritolano il messaggio di stima della donna, oscurato in generale anche nelle lezioni di religione. Il consumismo senza etica, la disistima delle autorità, l’esaltazione della protesta e non della proposta, hanno creato una generazione di prepotenti fragili e poco razionali, dipendenti dall’avere, ignoranti dell’essere. Insomma, i freni all’impulso in favore del pensiero sono minimi, e le personalità più fragili non conoscono l’autocontrollo. Queste si reggono su piccoli poteri, fra cui, come in larghe parti del mondo, quello di maltrattare chi è debole o reso tale da taciti accordi sociali: donne e bambini. L’insulto supremo della loro ribellione non è sopportabile da questi fragili despoti: il passo al crimine è breve. Mancano i freni inibitori dell’educazione, quella che viene dalla famiglia e dal resto del mondo. Manca la paura della pena. Manca l’alternativa interiore di altri modi per affermarsi.
Ma ci sono anche uomini vittime degli abbandoni: sono quelli che, nel rispetto della legge e per la vendetta di mogli incattivite, si riducono in miseria e depressione dopo una separazione. Sono quelli della mensa dei poveri, quelli che muoiono in un garage, quelli privati della gioia di vedere i loro figli. Non mi riferisco a persone disturbate o malvagie, ma a quei ex-mariti-padri normali, che non ammazzano nessuno e che sottostanno a decisioni superficiali di giudici e servizi sociali abilitati a disporre della vita altrui. Non vedo soluzioni a breve termine, perché non c’è all’orizzonte alcun mutamento nell’ottica sociale, scolastica, mediatica. Auspico che si introduca la formazione degli insegnanti di ogni grado a educare ai diritti della persona. Dei giudici a comprendere i drammi familiari. E che ogni persona equilibrata si impegni a questo scopo, anche senza ruoli ufficiali. Che bambine, ragazze, donne siano più consce dei pericoli che corrono, e scelgano meglio. Che anche gli uomini imparino a scegliere. E che tutti e due sappiano che, anche se divorziare sembra facile, è il più delle volte una distruzione reciproca evitabile, esercitando la ragione, la pazienza, l’autocontrollo. E lo sforzo di amare, così poco popolare di questi tempi.

Il Corriere della Sera 06.02.12

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“Io, da fidanzato modello ad aguzzino così sono uscito dal tunnel dello stalking”, di Caterina Pasolini

Minacce e aggressioni. “Ero un persecutore per paura, volevo vendicarmi di chi mi aveva abbandonato”. Come Fabio e Marco ce ne sono 8mila l´anno Spesso le vittime sono le loro ex. «Ho ancora paura di me, di tornare ad essere quello che picchia, minaccia solo perché lei vuole essere libera. Quello che quando lei se n´è andata è crollato, rimanendo con un solo chiodo fisso: fargliela pagare, farla star male come stavo io».
Fabio, 30 anni, romano, fa il commerciante. Bella faccia, vestito bene, modi gentili, voce pacata. Il borghese della porta accanto, a cui una diffida ha cambiato la vita. Ragazzo modello, poi insospettabile aguzzino. Un viaggio all´inferno. Con ritorno: oggi è in cura da uno psicoterapeuta per riprendersi una vita normale «e non rendere un incubo quella di chi amo». Come Marco, 50 anni. Teme ancora si risvegli quella «bestia» che sente nel cuore e che lo ha spinto a volere morta la sua donna quando lo ha lasciato. Mesi di inseguimenti, agguati sotto casa col coltello stretto nella mano, pronto a ferirla, «ma poi usavo la lama contro di me, mi tagliavo le braccia perché il dolore che mi toglieva il respiro fosse solo fisico».
Di Fabio e Marco ce ne sono ottomila l´anno. Stalker. Persone denunciate per molestie insistenti, 1.237 quelle arrestate. Aumentano: più 60% le segnalazioni da quando c´è la legge, più 5% nel 2011. Così i dati, non ancora consolidati, del ministero dell´Interno fotografano una realtà dove le donne molestatrici sono il 25 per cento e uno stalker su tre è recidivo. La pena (da 6 mesi a 4 anni), da sola però non basta, insistono in molti. La legge che tanto ha fatto per bloccare i molestatori non prevede un supporto psicologico per le vittime né una terapia per gli stalker che, lasciati senza aiuto, rischiano di essere tra coloro che uccidono 100 donne ogni anno. Una ogni tre giorni, massacrata da chi dice di amarla. E la percentuale aumenta. Per questo sono nate associazioni di volontari. Come l´Osservatorio sullo stalking e il Cpa che organizzano sedute terapeutiche gratuite per chi ha subìto e per gli aguzzini. Sui 140 casi il risultato positivo, dicono, è dell´80%. E quasi sempre «al cuore del problema c´è l´incapacità di accettare l´idea di essere rifiutati, abbandonati, una ferita infantile da scoprire e curare».
Come per Fabio e Marco. Vite diverse, stesso bisogno di essere indispensabili, stesso genere di vittima: la loro compagna, come è nel 55 % dei casi, mentre il 15 % agisce sul lavoro, il 25 con i vicini, il 5 in famiglia.
Fabio racconta, come se fosse la vita di un altro, quel clic che giorno dopo giorno gli ha fatto alzare il tiro, passando dai litigi alle minacce. «Senza mai pensare di essere io quello sbagliato, anzi, il fatto che la mia donna restasse nonostante tutto, mi faceva sentire nel giusto mentre rincorrevo i miei fantasmi e ipotizzavo tradimenti inesistenti. La colpa per me era sempre sua, non ero io il violento, era lei che mi aveva provocato». Nessuno sospetta. Lui, è un manipolatore, è il fidanzato ideale, quello col pensiero giusto, il regalo per la futura suocera. È la sua tattica di sopravvivenza e fino a questa storia ha sempre funzionato: rendersi indispensabile per non essere lasciato. Ma quando la fidanzata esasperata dalla mania di controllo se ne va, il suo mondo si trasforma in violenza. «L´obbiettivo era annullare chi mi aveva rifiutato». E sono agguati, minacce fino a quando arriva la segnalazione ai carabinieri e le ultime parole di Silvia: «Fatti curare o ti denuncio». Fabio per una volta le dà retta. «Ora dopo anni di terapia ho capito che avevo reagito all´indifferenza di mia madre ributtando tutto sulla mia compagna. Capire non è cambiare ma ci sto provando».
Più dura la storia di Marco, impiegato modello fino a 40 anni, quando lei «mi ha lasciato senza spiegazioni, sbattendomi all´inferno. Ora sono sereno e cerco di controllare quella brutta bestia che sento dentro: il terrore di essere abbandonato. È la molla che ha scatenato tutto. Che mi ha mandato il cervello in acqua tanto che mi sembrava di sentire una voce che diceva: morta lei tu starai meglio. Da piccolo i miei genitori mi hanno abbandonato dai nonni e io mi sono sentito tradito, perso. Quando lei mi ha mollato io sono tornato ad essere il bambino lasciato solo che si vendica, che ferisce e si ferisce per attirare l´attenzione. Ma tutto questo l´ho capito dopo tanto, troppo tempo. Perché da soli non se ne esce».

La Repubblica 06.02.12

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Comencini: “È una mattanza un omicidio ogni due giorni”, di Anna Bandettini

Questo tipo di violenza non è cronaca nera, non è amore sbagliato, ma frutto di una cultura che ci vuole subalterne. «Dall´inizio dell´anno in Italia, da nord a sud, ogni due giorni una donna è stata uccisa, e l´assassino nel 99 per cento dei casi è l´ex marito o l´ex compagno. Nel 2011 sono state 128 le donne uccise da un uomo. I casi di stalking non si contano nemmeno più, e lo stalking, la persecuzione dell´uomo sulla donna, è solo l´inizio dell´assassinio, l´antefatto della morte. È una mattanza, un´emergenza nazionale». Cristina Comencini parla con rabbia e amarezza dopo l´ennesima violenza maschile sulla donna: il caso di Roma, lei in ospedale, forse per tentato suicidio, dopo mesi di stalking da parte dell´ex compagno e lui che per vendetta uccide il loro figlio gettandolo nelle acque del Tevere. “Basta”, dice Cristina Comencini e annuncia una campagna contro la violenza con “Se non ora quando” (Snoq), la rete nazionale di associazioni di donne che il 13 febbraio 2011 radunò sulla “dignità delle donne” un milione di persone nelle piazze e che solo una settimana fa ha organizzato una fiaccolata in ricordo di Stefania Noce, la ragazza siciliana uccisa dal fidanzato che aveva lasciato. «Stiamo avviando una campagna di conoscenza contro la violenza e chiediamo ai ministeri dell´Istruzione, delle Pari Opportunità e degli Interni di essere con noi: una campagna sui giovani e soprattutto sugli uomini, perché la violenza li chiama in causa direttamente».
Che può fare una campagna di conoscenza?
«Cambiare una cultura diffusa, tanto per cominciare. La violenza sulle donne non è un fatto di cronaca nera, ma il risultato di una cultura, secondo cui la donna deve essere subalterna, secondo cui in amore è una cosa dell´uomo e se lo lascia fa una cosa contro natura…Non si può più pensare che gli uomini non aprano una riflessione su questo, così come è inaccettabile sentir ancora parlare di “delitto passionale” o “amore sbagliato” nei casi di violenza. Amore?? Passione??”.
Quali le cose più urgenti da fare secondo voi?
«Innanzitutto informare in modo corretto le forze dell´ordine che spesso sottovalutano la violenza nelle famiglie, la richiesta di aiuto delle donne. Noi chiediamo, poi, alle Pari Opportunità di sostenere i centri antiviolenza cui sono stati tolti i fondi da anni. E soprattutto chiediamo alla Pubblica Istruzione che cominci a lavorare con i movimenti delle donne nelle scuole e nelle università per aprire discussioni. Noi come Snoq giovedì saremo in un istituto di Centocelle a Roma con lo spettacolo “Libere”, che affronta temi come l´immagine della donna nella società, la rappresentanza, temi non scissi da quello della violenza. E poi la due giorni a Bologna, l´11 e 12, per far sì che l´anniversario del 13 febbraio non sia la celebrazione di un successo ma una spinta per guardare avanti».

La Repubblica 06.02.12