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"Gli stupri come la mafia: sì al carcere preventivo", di Mila Spicola

La recente sentenza della Corte Costituzionale che abolisce il carcere preventivo nel caso degli stupri di gruppo ha provocato indignazioni, polemiche e mille riflessioni. Leggendo con raziocinio tutte le posizioni messe in campo, i mille articoli, i blog, mi sono venute in mente altre riflessioni, mano a mano che raccoglievo maggiori dati. Tra le considerazioni a favore della sentenza di quella Corte sta la costituzionalità della presunzione d’innocenza.
Diritto sacrosanto, si legge e si ripete e si condivide. Poi però, leggendo ancora, scopriamo che c’è un caso in cui è permesso il carcere preventivo e senza nemmeno tante indignazioni: nel caso dei reati per mafia. Tutto il Paese sano e onesto si stringe giustamente a raccolta e, in quel caso, la regola sacrosanta al diritto di essere giudicato colpevole dopo la sentenza vacilla in nome di ferite e di morti che non possono essere dimenticate. E allora continuo a leggere e a cercare e scopro che le donne ammazzate in un anno, il 2008, sono state in numero maggiore, (109 femminicidi in Italia), ai morti ammazzati dalla mafia due anni prima, (nel 2006 108 vittime della criminalità organizzata). Se qualcuno ha voglia di approfondire potrà mettere in relazione numeri e dati su più anni e scoprirà con sconcerto i numeri della strage delle donne in Italia. Li scoprirà. È il verbo giusto. Perché non è che interessino granché, se non alle donne e solo quelle tacciate di «vittimismo femminista». Ecco: di fronte a certi numeri, davvero numeri da guerra come si fa a mantenere in vita resistenze e rimozioni simili? Come si fa ancora a dover «alimentare il dibattito delle difese e delle opportunità»? 109 donne morte a fronte di migliaia di stupri, di violenze fisiche, di violenze psicologiche. Pensiamo poi a una donna vittima di violenza e di intimidazione psicologica che va in questura e mettiamola accanto a una vittima di estorsione. Chi riceverà maggiori attenzioni, cure, nessun sospetto, nessun pericolo e nessuna domanda del tipo «sì, ma lei cosa ha fatto per meritarsi tutto questo?».
Non mi pare, anche a costo di voler entrare nel sacrario della madre di tutte le battaglie e cioè quella contro la mafia, ma, voglio dire, da palermitana, potrò pur dirne qualcosa no? E da donna vorrei pur dire altro, e dunque non mi pare, a fronte di due problemi di eguale, ripeto, eguale gravità, che ci sia da parte della coscienza collettiva, politica, culturale e sociale italiana né lo stesso allarme né lo stesso interesse nella lotta o prevenzione. Entrambi sono dei mali innanzitutto culturali e di mentalità. Entrambi provocano vittime innocenti e devastano. Sarebbe il caso di affrontarli con lo stesso vigore di mezzi e di volontà. Entrambi meritano il carcere preventivo senza bisogno che dobbiamo nuovamente raccontare e spiegare il perché.

L’Unità 08.02.12