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"Gli insulti e il silenzio del carabiniere", di Adriano Sofri

Meglio lasciar stare Pasolini, era un´altra cosa, un altro tempo. Si chiamano valle tutte e due, Valle Giulia e la Val di Susa: ma la differenza è chiara, no? E poi non l´hanno mai letta la famosa poesia del “Pci ai giovani”, se no non citerebbero sempre quei quattro versi, e sbagliando anche la citazione. Era parecchio lunga, quella poesia, e se la leggessero per intero si stupirebbero di quello che dice. E comunque i manifestanti della Val di Susa non hanno per lo più “facce da figli di papà”, e i poliziotti non sono più soltanto, per fortuna, “figli di poveri”, venuti dalle periferie, “i tanti fratelli, la casupola tra gli orti con la salvia rossa…”. Poliziotti e militanti si assomigliano molto di più adesso, e non so quali siano andati più assomigliando agli altri, né quale conferma ne caverebbe Pasolini. Il giovane militante (dall´accento meridionale, che non è un addebito, si deve poter manifestare in qualsiasi lingua in qualsiasi punto del mondo, gli addebiti riguardano solo i comportamenti) che fronteggia sfotte e insulta il carabiniere muto è un´altra cosa anche e specialmente perché c´è una telecamera che li riprende. Il manifestante parlava già a un destinatario di cui non vedeva la faccia, ed era inevitabile che da un certo punto in poi regolasse il suo gergo sulla telecamera che le registrava. L´episodio è stato irreparabilmente degradato dall´aggressione di ieri alla troupe del Corriere che l´aveva ripreso. Senza di che, immagino che la concorrenza dei programmi televisivi stesse già inseguendo manifestante e carabiniere per metterli insieme in uno studio e farli “confrontare”: estraendo il giovane carabiniere dal suo scafandro e dalla sua apnea d´ordinanza, questa volta sotto l´occhio di tante telecamere professionali, che indugino su sguardi abiti e gesti, soprattutto scarpe e mani, in una parodia di quello che dovrebbe succedere davvero, senza telecamere, a una tavola d´osteria di qualunque valle d´Italia.
Allora il manifestante, che nella scena iniziale aveva il privilegio del volto scoperto, potrebbe evadere dal proprio copione, quello sì sempre uguale, e fare a meno di dire stronzo, e argomentare con minor sciatteria e miglior convinzione l´idea che poliziotti e carabinieri in servizio cosiddetto di ordine pubblico siano pagati male per fare un brutto mestiere. Soprattutto potrebbe, il manifestante, stare a sentire che cosa ne dice il carabiniere, che magari ne ha da raccontare più di lui, sugli stadi di calcio e le famose periferie e i cortei operai e i propri fratelli e il resto. Compresa la propria ragazza, che il manifestante ha avuto l´idea malaugurata di evocare (“Le dai i bacini con questa maschera?”…).
Dopo aver deplorato la scadente arringa e l´epiteto oziosamente ripetuto di “pecorella”, si può forse riconoscere, a uno che non è incappucciato e anzi si presenta col proprio nome e cognome e indirizzo di Giaveno, la voglia di tirar fuori l´altro da una bardatura che forse lo protegge, ma certo anche lo mortifica, rischia di togliergli, col diritto di parlare, l´encomiabile scelta di tacere – ieri è stato encomiato – e capovolge in una maschera sigillata, sulla linea del guardrail in cui lo Stato finisce corpo a corpo coi cittadini, gli slogan sulla trasparenza.
Pasolini, arbitro di fogge e fisionomie, aveva naturalmente detto la sua sull´abbigliamento della polizia di allora: “Guardateli come li vestono: come pagliacci, con quella stoffa ruvida, che puzza di rancio furerie e popolo. Peggio di tutto, naturalmente, è lo stato psicologico cui sono ridotti (per una quarantina di mille lire al mese): senza più sorriso, senza più amicizia col mondo… umiliati dalla perdita della qualità di uomini per quella di poliziotti (l´essere odiati fa odiare)”.
Il giovane carabiniere chiederebbe forse all´altro se sia contrario all´istituzione della polizia. Se il manifestante rispondesse senz´altro di sì, di essere contrario, di volere una società senza polizie, il carabiniere avanzerebbe fior di obiezioni: i dintorni di uno stadio di calcio, le strade di donne costrette a prostituirsi e picchiate, una periferia o un centro fra i tanti presidiati dalle forze armate di ´ndrangheta. Se il manifestante rispondesse di ammettere l´inevitabilità di una forza pubblica ma… allora il carabiniere replicherebbe che le buone ragioni finiscono dove comincia la violenza, e che la violenza diventa una buona ragione per la propria presenza là dove l´hanno mandato così bardato, e così via.
La discussione fra i due continuerebbe chissà per quanto tempo ancora, e chissà con quanti argomenti reciprocamente interessanti, ma noi lasciamoli lì seduti ad accapigliarsi e spiegarsi, e torniamo al punto di partenza. A Pier Paolo Pasolini che, attenzione!, nella famosa poesia diceva anche ai giovani: “Siamo ovviamente d´accordo contro l´istituzione della polizia”. Sentito? E addirittura “ovviamente”. E poi li rimproverava perché non se la prendevano con la magistratura: “Ma prendetevela con la Magistratura, e vedrete!”. Vedete dunque quanto tempo è passato, e che scherzi gioca la memoria ai citatori. Nessuno si è sognato di citare Pasolini l´altro giorno, quando si è preteso di impedire a Gian Carlo Caselli di parlare. L´essere odiati fa odiare. Se proprio si vuole, di tutti quei versi “francamente brutti” che Pasolini giustificò come una “captatio malevolentiae”, una provocazione che lo facesse prendere in conto dagli strafottenti giovani di allora, se ne usi un paio banalissimo, piuttosto che menar le mani, e anche dopo averle menate: “In questi casi, ai poliziotti si danno i fiori, cari”.

La Repubblica 01.03.12