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"L'acconto per l'Imu diventa un rebus", di Saverio Fossati e Gianni Trovati

La disciplina dell’Imu si arricchisce di particolari, ma complica ulteriormente il rebus del primo appuntamento effettivo alla cassa, fissato per il 18 giugno prossimo con il versamento dell’acconto (il 16 cade di sabato).
È questo il risultato degli emendamenti dei relatori alla legge di conversione del decreto fiscale (si veda Il Sole 24 Ore di ieri), che nascono dalla difficoltà di avere in tempi brevi un quadro chiaro sui gettiti reali dell’imposta e offrono quindi più tempo ai sindaci per fissare le aliquote definitive. In pratica, secondo gli emendamenti le amministrazioni locali potranno prendersi fino al 30 settembre per decidere le aliquote definitive da applicare alle diverse tipologie di immobili; nulla, però, si dice sulle modalità di calcolo da seguire per effettuare il versamento dell’acconto mettendosi al riparo da eventuali sanzioni riservate a chi paga una prima rata troppo leggera.

Il problema era già emerso dopo che il «Milleproroghe» aveva fatto slittare al 30 giugno i termini per chiudere preventivi e regolamenti tributari ma naturalmente si complica ora che la distanza fra la scadenza per l’acconto e quella per le aliquote definitive si allunga da due settimane a tre mesi e mezzo. Una prima versione del decreto fiscale aveva deciso di ancorare i calcoli dell’acconto alle aliquote di riferimento fissate dal decreto «Salva-Italia» (4 per mille per l’abitazione principale e 7,6 per mille per gli altri immobili, con eccezioni per categorie particolari come i fabbricati strumentali all’attività agricola) ma nel testo approvato dal Governo non c’è traccia della previsione. Alla luce dei nuovi emendamenti, la questione si fa ancora più urgente.
I correttivi diffusi nella serata di giovedì, che saranno votati lunedì, si incaricano anche di tornare sugli obblighi dichiarativi, resi urgenti dalle tante novità determinate nel passaggio dalla disciplina Ici a quella dell’Imu. La nuova imposta, per esempio, permette di trattare come abitazione principale solo un garage, una cantina e una tettoia, mentre l’Ici consentiva una geografia delle pertinenze più generosa, e una stretta ancora più drastica arriva per le assimilazioni.

La nuova regola proposta dagli emendamenti fissa la prima scadenza al 30 luglio prossimo (quindi, anch’essa, un mese e mezzo dopo i termini dell’acconto) per gli immobili già posseduti allo scorso 1° gennaio e, proprio a causa delle tante novità portate dall’Imu rispetto alla vecchia imposta comunale sugli immobili, appare destinata a imbarcare un’ampia platea di contribuenti. Sarà comunque un decreto ministeriale, previsto dal decreto legislativo sul federalismo dei sindaci (articolo 9, comma 6 del Dlgs 23/2011) ma non ancora varato, a stabilire le modalità della dichiarazione, che senza dubbio sarà più ricca di informazioni rispetto alle dichiarazioni Ici.
Le novità messe nero su bianco dai relatori al provvedimento si occupano poi di alleggerire un po’ il carico agli agricoltori, esentano i fabbricati sopra i mille metri quadrati (per i terreni continuano invece a operare le vecchie esenzioni nei Comuni collinari e montani), reintroducono forme di abbattimento dell’imponibile e tagliando l’acconto al 30% per i terreni. “Salvati” dalla quota erariale dell’imposta gli immobili di Iacp e cooperative edilizie a proprietà indivisa, insieme al mattone dei Comuni utilizzato per scopi non istituzionali che per questa via esce del tutto dall’ambito Imu.

Sull’intera partita, però, pesano le ristrettezze del bilancio pubblico, che per esigenze di copertura lasciano fuori dai correttivi una ricca platea che invece guardava con speranza al passaggio parlamentare. In prima fila ci sono i proprietari di immobili dati in affitto, che nel passaggio all’Imu vanno incontro a regole che moltiplicano la vecchia Ici per 2-3 volte quando il canone è di mercato e arrivano a decuplicarla quando l’affitto è a canone concordato. Il colpo rischia di essere duro per il mercato degli affitti (e letale per i canoni concordati) già frenato dalla crisi economica. Un ritocco, inaspettato, è invece giunto per i proprietari di dimore storiche, che si vedono gonfiare l’imponibile e di conseguenza il conto presentato dall’Imu.

Il Sole 24 Ore 31.03.12

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“La confusione peserà sul debutto dell’imposta”, di Saverio Fossati

Questi dodici miliardi in più ce li ricorderemo a lungo. Come l’indifferenza del legislatore alle richieste di rendere l’Imu meno ingiusta o almeno di far capire ai contribuenti quanto pagare in acconto senza rischiare sanzioni.
L’esordio della nuova imposta, dopo gli ultimi sconti-beffa sui fabbricati agricoli e sulle dimore storiche, non poteva essere peggiore. La confusione creata dalla sovrapposizione dell’Imu anticipata con quella a regime e con la disciplina Ici è stato un segnale preoccupante ma ciò che colpisce è la serenità con la quale il Governo ha accolto alcune richieste di modifica, lasciate senza esito.

Anzitutto quelle riguardanti gli effetti devastanti dell’applicazione dei nuovi moltiplicatori, che incrementano le sperequazioni già segnalate da anni sui valori catastali: immobili che sul mercato hanno prezzi identici vengono considerati catastalmente in modo molto diverso e l’aumento della base imponibile può essere pesantissimo per alcuni e leggero per altri. Senza contare che un incremento di gettito di tale portata avrebbe dovuto indurre a considerare l’aspetto reddituale dei contribuenti: macché, tutti uguali. Povero e ricco paghino lo stesso, se hanno uguali valori catastali, come se la casa fosse un lusso rinunciabile. Poi c’è la questione affitti: il 14-15% degli italiani vive in locazione, al netto delle famiglie “assistite” nelle case popolari. Ora i proprietari si vedono incrementare il peso fiscale con importi che rendono del tutto sfavorevole i canoni concordati: quindi questa formula, che interessava circa il 20% dei contratti e permetteva affiti umani sostenuti dall’agevolazione fiscale, scomparirà ben presto. Per gli affitti di mercato, poi, è inevitabile che l’Imu venga scaricata alla prima occasione nel canone. Con la conseguenza che il mercato degli affitti diventi insostenibile per tutte quelle famiglie che lo avevano scelto nell’impossibilità di accedere a un mutuo per l’acquisto. Quindi, o usciranno dal mercato le case affittate (si consideri che quelle sfitte sono incongruamente avvantaggiate dall’Imu) o saranno proprio le famiglie meno abbienti a sopportare il nuovo peso fiscale. E lascia scorati la mancanza di un atto che non sarebbe costato nulla se non una briciola d’impegno in più da parte degli uffici legislativi: una norma di salvaguardia per consentire ai contribuenti di pagare in serenità l’acconto basandosi, per esempio, sulle aliquote stabilite con il Dl 201/2011, in attesa di pagare il saldo con quelle che i Comuni possono decidere entro settembre. Con gli ultimi emendamenti ci si è preoccupati di estendere il periodo nel quale i municipi potranno deliberare in merito, dimenticandosi del fatto che decine di milioni di contribuenti il 18 giugno dovranno pagare l’acconto e, allo stato della normativa, se sbaglieranno per difetto si beccheranno una sanzione. Eppure il problema era stato segnalato da settimane.

Il Sole 24 Ore 31.03.12