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"Ricostruire il Paese oggi come ieri i giovani devono vincere la sfida", di Alfredo Reichlin

Fu la capacità di mobilitare le energie rofonde del popolo La nostra bandiera Italia e giustizia sociale. Il voto francese può
aiutarci a cambiare. Non abbiamo a che fare con una guerra perduta né con una dittatura fascista eppure il passaggio a cui siamo giunti è cruciale per l’avvenire della democrazia. È necessario un grande rinnovamento, bisogna rialzare la testa come allora. Sono passati quasi 70 anni -una intera epoca storica – dalla liberazione dell’Italia dalla dittatura fascista. Io ricordo bene quella giornata che segnò l’avvento di una nuova Italia. Un mondo
soprattutto di giovani prendeva in mano il destino di un Paese coperto di macerie, ferito da migliaia di morti, umiliato dalla sconfitta in una guerra ingiusta e sciagurata, occupato da eserciti stranieri. È in queste condizioni che i grandi partiti popolari, i rappresentanti delle masse contadine ed operaie che fino allora erano state escluse dalla vita pubblica dello Stato post-risorgimentale, presero la guida dell’Italia e la portarono alla riscossa. In meno di dieci anni il Paese intero fu ricostruito, uscì dall’arretratezza del vecchio mondo contadino, diventò la quarta o la quinta potenza industriale del mondo, mandò i suoi ragazzi a scuola.
La spiegazione di questo autentico miracolo si fa presto a dirla. Fu la capacità di mobilitare le energie profonde del popolo italiano facendo appello a quella straordinaria risorsa che è la sua antica civiltà. Il popolo si sentì protagonista e i suoi diretti rappresentanti (non i sovrani o le classi dominanti, come era sempre avvenuto nel passato) scrissero un nuovo patto di cittadinanza, la Costituzione repubblicana, fondata sul lavoro e garante di nuovi diritti. Non solo l’uguaglianza di fronte alla legge ma nuovi diritti sociali. Insomma, costruirono uno Stato democratico avanzato, che è tale non solo perché consente la libertà di voto e di opinioni ma perché garantisce anche agli ultimi, alle classi subalterne, di organizzarsi e di pesare sulle decisioni pubbliche attraverso i propri strumenti di potere: i partiti politici, i sindacati, le associazioni volontarie.
Da allora è passato un secolo, un’epoca intera. Perciò appare davvero singolare che rievocando quell’antica vicenda, noi in realtà abbiamo netta la sensazione che stiamo parlando, sia pure in modi molto diversi, dei problemi di oggi. Perché? È evidente, per fortuna, che non abbiamo a che fare con una guerra perduta, né con una dittatura di tipo fascista. Eppure il passaggio a cui siamo giunti è molto aspro ed è cruciale per l’avvenire della democrazia repubblicana e per il futuro dei nostri figli. Si sta creando una miscela esplosiva tra una gravissima crisi economica che getta nella disperazione milioni di persone al punto che si moltiplicano i casi di suicidio e il fango gettato ossessivamente, ogni giorno e ogni ora sul Parlamento e sui partiti politici dipinti come tutti ladri e tutti uguali. È sacrosanta l’indignazione per i fatti di corruzione.Ma è solo di questo che si tratta? Io vedo anche il tentativo di creare una grande confusione. Il Gattopardo. Quel libro famoso in cui si narra che di fronte alla caduta rovinosa del regno borbonico e all’arrivo di Garibaldi in Sicilia il vecchio principe spinge il nipote a sposare una popolana. Così faremo credere che tutto cambi affinché tutto resti come prima. È caduto Bossi? Avanti allora un altro:
Beppe Grillo. Tanto sono tutti uguali. Il che non è vero affatto. L’Italia prima di Berlusconi è stata governata da ministri come Ciampi, Prodi, Andreatta, Amato, Giorgio Napolitano, tra i migliori e i più onesti della Repubblica. Dopo, per quasi dieci
anni hanno governato Bossi, Berlusconi, Rosi Mauro e certe signore. Io penso che da qui, da un lungo malgoverno che ha fatto del denaro e dell’egoismo sociale la misura di tutte le cose, viene la crisi anche morale dell’Italia. Come ne possiamo uscire? È evidente che senza una riforma profonda anche intellettuale e morale, l’Italia decadrà e non sarà più quella cosa meravigliosa che è stata nei secoli. Quale strada vogliamo imboccare? Vogliamo affidare ancora una volta il destino del Paese a un comico, a un altro avventuriero, a un altro miliardario che ha chiamato partito la sua azienda personale e si è comprato anche i deputati? È necessario un grande e profondo rinnovamento.Ma senza i partiti veri con quali strutture di partecipazione democratica possiamo dare una risposta alla potenza inaudita della finanza speculativa e ridare il potere alla democrazia e al Parlamento invece che alle banche? Non dimentichiamo che il fenomeno più impressionante a cui stiamo assistendo è l’aumento della povertà, ma al tempo stesso della concentrazione della ricchezza in poche mani. Dobbiamo contrastare il predominio di un’aristocrazia planetaria del sapere, del potere e della ricchezza, a fronte di una massa di semplici consumatori, e più in basso ancora di esclusi, sia dal potere che dai consumi. È con questi pensieri che io mi
rivolgo ai giovani e li esorto a rialzare la testa, come fecero i giovani di allora dopo il fascismo per ritrovare l’orgoglio delle ragioni storiche dell’Italia nell’aspro scenario di lotte e di contraddizioni che sempre più segnano questo nostro mondo.
Le elezioni francesi possono essere anche per noi una opportunità di cambiamento. Abbiamo tutti bisogno di un nuovo pensiero critico.
Una critica, la cui radicalità non sta nella violenza e nel rifiuto di assumere responsabilità di governo,ma nel mettere in discussione i poteri reali che governano da sempre questo Paese.
Italia e giustizia sociale. Questa è la nostra bandiera, che dovremmo tenere più in alto e con più orgoglio. La loro era fino a ieri il patto tra Berlusconi e Bossi. Adesso è Grillo per l’Italia e la signora Le Pen per la Francia. Mi rattrista molto. Ciò che mi consola è che io, tanti anni fa, l’ho vista scappare molto impaurita questa classe dirigente inetta e trasformista. Aveva però di fronte un progetto di ricostruzione della nazione, che coinvolgeva anche forze non di sinistra.

L’Unità 25.04.12

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“Un giorno di libertà tra memoria e voglia di cambiare”, di Carlo Smuraglia – Presidente nazionale ANPI

Prima di tutto la memoria, perché un Paese che non ricordasse i suoi morti per la libertà e dimenticasse le pagine più gloriose della sua storia sarebbe condannato all’ignominia e al decadimento. Il ricordo, dunque, dei partigiani e dei soldati che combatterono in armi, dei militari che non si arresero ai tedeschi, dei contadini che aiutarono i combattenti, delle donne che fecero irruzione nella vita politica nazionale per battersi in favore della libertà, dei sacerdoti che aiutarono i partigiani e i militari, di tutti coloro – insomma – che hanno composto il grande quadro della Resistenza; tutto questo è prioritario, rispetto ad ogni altra cosa, perché è dovuto al loro sacrificio ma anche all’esempio che ci hanno dato di fierezza e di speranza. Quei combattenti che non anelavano soltanto alla libertà, ma volevano anche avviare la ricostruzione di un Paese distrutto, sui sentieri della democrazia. Ed è proprio alle loro speranze e ai loro sogni che oggi va dato il massimo tributo perché la memoria non sia formale e retorica, ma sia utile per capire e affrontare il presente e il futuro. Viviamo in una fase difficile, di fronte a una crisi che non è temporanea ma strutturale, alle difficoltà di tante famiglie senza lavoro e senza un’adeguata sicurezza sociale, al lavoro “dimenticato”, alla dignità sepolta nei meandri del precariato, alle tante modestissime pensioni di vecchiaia, alla ricerca affannosa di accompagnare al necessario rigore quell’altrettanto necessaria equità senza la quale i sacrifici non possono essere accettati. Una fase difficile, aggravata dal distacco dei cittadini dalla politica (che rischia sempre di trasformarsi in una pericolosissima “antipolitica”), dalla corruzione dilagante, dall’assalto della criminalità organizzata al nostro stesso sistema economico, dalle nostalgie di un passato che non può più tornare, dal degrado anche culturale che sta avviando, da tempo, il Paese su una china estremamente rischiosa. Una fase difficile anche perché alla rassegnazione e alla indifferenza si uniscono talora una protesta e un’indignazione, altrettanto pericolose se fini a se stesse, perché la storia ci insegna che certe derive portano facilmente a soluzioni populistiche e autoritarie, come ci dimostra in questi giorni, anche l’incredibile affermazione elettorale di un movimento di destra estrema in Francia. In una fase come questa, ci si può affidare allo scoramento, alla caduta di ogni speranza, e perfino alla rassegnazione? Io credo che sarebbe cadere in un baratro senza ritorno. Non sta a me indicare le soluzioni e le alternative; perché non è questo il compito dell’Anpi, mentre lo è l’indicare la strada per “resistere” e avviare il Paese verso il riscatto, con un cambiamento deciso di rotta sul piano economico, politico e sociale. Il fondamento di questo impegno si può trovare soltanto nel ricorso ai princìpi e ai valori della Costituzione che affondano le radici nella Resistenza che oggi ricordiamo. A quel rilancio di valori dobbiamo contribuire tutti, perché questa, solo questa, è la via della salvezza del Paese. Per questo, oggi la Festa è – e deve essere – di tutti, perché al ricordo aggiungiamo il richiamo ai valori fondamentali che si riassumono in parole semplici (lavoro, dignità, uguaglianza, solidarietà) ma estremamente significative. Una festa di tutti. E sarebbe ora che tutti lo capissero, abbandonando i negazionismi e i revisionismi di sempre e mettendo finalmente da parte i troppi rigurgiti neofascisti (sono di ieri i manifesti che inneggiano alla Repubblica di Salò!), per riconoscersi finalmente in ciò che di grande è avvenuto nel nostro Paese, attraverso la ricostruzione dell’Unità nazionale, nella libertà, e l’apertura delle porte alla democrazia. Rivolgo dunque, un invito fraterno e amichevole a tutti, cittadine e cittadini, donne e uomini di altri Paesi che si trovano in Italia, a raccogliersi, oggi, nelle piazze attorno alla Resistenza, alla Costituzione, ai valori di fondo che fanno del nostro Paese una vera Nazione. Un giorno di libertà e di festa, nel commosso ricordo dei caduti, volgendosi indietro con la memoria, ma con lo sguardo rivolto in avanti, proteso con la volontà e l’azione verso un futuro migliore

L’Unità 25.04.12