attualità, politica italiana

"Astensionisti sì, ma solo a parole", di Paolo Natale

Come diceva l’altroieri Napolitano, gli imprenditori dell’anti-politica e del qualunquismo, dal Giannini dell’Uomo Qualunque all’Albanese del Cetto Laqualunque, sono sempre in agguato. Pronti a gettare un seme che sperano germogli nelle coscienze dei cittadini. E quindi dichiarare terminata l’esperienza della democrazia elettorale. Complici gli stessi sondaggi di voto, che a più riprese sottolineano come poco meno della metà degli elettori si dichiarano astensionisti, o quanto meno dubbiosi sulla partecipazione attiva o sulla forza politica da appoggiare.
C’è ovviamente del vero in quanto viene veicolato dalle indagini demoscopiche: gli antichi adepti dei principali partiti italiani vivono oggi un momento di forte confusione, di incapacità di formulare il loro appoggio a questo o quel movimento politico. Se ne avvantaggiano, fino a renderli particolarmente visibili, con percentuali di consensi che sfiorano il 10 per cento, tutte quelle aree che si nutrono di anti-politica, o di alterità complessiva al sistema, o di feroce critica alle pratiche dei partiti istituzionalizzati.
I grillini, i partiti della sinistra più radicale, i movimentisti più o meno legati alla rete vengono molto gettonati, in questo periodo, poiché incarnano perfettamente e danno voce al disagio presente nella popolazione, frastornata dal negativo comportamento di parecchi esponenti di quel mondo, di quella “Casta”. Ma se quest’area di “scontento” viene valutata in queste settimane intorno al 25 per cento dei voti validi, è utile altresì sottolineare come il 25 per cento di 50 non è altro che poco più del 12 per cento, tenuto conto della popolazione elettorale complessiva. Un fenomeno quindi abbastanza contenuto, considerando il deficitario quadro complessivo in cui navigano i partiti.
Perché la loro quota sarebbe davvero elevata soltanto qualora i potenziali astensionisti si incarnassero realmente anche nelle prossime occasioni elettorali. Ma se così non fosse? Se una parte significativa degli indecisi o dell’area del non-voto poi, davanti ad un reale consultazione, si recasse alle urne? Le cose andrebbero allora osservate e giudicate in maniera un po’ diversa.
Anche in Francia, qualche mese prima del voto presidenziale, la massa di indecisi o di “estranei” pareva molto elevata: circa il 23 per cento non intendeva recarsi alle urne e un ulteriore 18 per cento si dichiarava ancora incerta su quale candidato votare. L’affluenza, come si sa, è stata poi vicina all’80 per cento.
Allo stesso modo, nel periodo precedente le amministrative dello scorso anno in Italia, nei maggiori comuni chiamati alle urne (Milano, Napoli, Cagliari, Torino, Trieste) gli intervistati si mostravano decisamente refrattari ad indicare la propria partecipazione al voto, rifugiandosi in quote quasi maggioritarie nell’indecisione e nella decisa alterità: “tutti i candidati sono uguali, ci fanno tante promesse ma alla fine interessa loro soltanto il nostro appoggio, non il cambiamento”. Di nuovo, l’affluenza milanese, ad esempio, fu una delle più alte della recente storia amministrativa; e lo stesso avvenne negli altri comuni.
Facile peraltro spiegarne il motivo. Il mugugno anti-politico è come un rumore di fondo, sempre presente nel nostro come negli altri paesi (e certo con qualche ragione). Ma al momento della chiamata alle urne, è difficile che la popolazione non riesca a trovare un candidato, una parte politica, un partito che non sia troppo lontano dal proprio pensiero, sul quale confidare regalandogli un appoggio, sia pur con un po’ di scetticismo di fondo.
Anche lo scorso anno si parlò con grande enfasi del ruolo che il Movimento 5 Stelle avrebbe giocato nel quadro elettorale. Poi, i grillini ebbero sì un buon successo, ma restarono del tutto ininfluenti nella determinazione del vincitore, se non in specifiche realtà comunali. Perché, al dunque, gli elettori che realmente affiderebbero a movimenti di protesta la conduzione della propria comunità di riferimento, comune, regione o addirittura l’intero paese, sono particolarmente scarsi. Pisapia, o De Magistris, o lo stesso Fassino appaiono più credibili per il governo reale. Il vero problema è, per loro, trovare un’offerta politica che sembri davvero più credibile, che voglia mutare realmente lo stato attuale delle cose. Allora la speranza torna a diventare viva, e alla voglia di distruzione si sostituisce quella di costruire una comunità più vicina ai cittadini. Certo, occorrono segnali che si vada davvero in quella direzione…
da Europa Quotidiano 27.04.12