attualità, cultura

"Quando la TV sarà indipendente", di Giovanni Valentini

In attesa dell´asta sulle frequenze tv, destinate a essere vendute e non più regalate a Rai e a Mediaset, c´è un terzo soggetto – per così dire collettivo – che opera già sul mercato e potrebbe anche organizzarsi per partecipare eventualmente alla gara. Sono i produttori televisivi indipendenti, riuniti nell´associazione Apt: dalla Lux Vide di Ettore Bernabei & Figli alla Taodue di Pietro Valsecchi, dalla Endemol Italia di Paolo Bassetti alla Palomar di Carlo Degli Esposti fino a Magnolia, fondata da Giorgio Gori e oggi controllata dal Gruppo De Agostini. Si tratta, per intenderci, delle aziende che forniscono fiction e intrattenimento, il “core business” della televisione, pubblica e privata: dalla fortunata serie del commissario Montalbano (Palomar) all´”Isola dei famosi” (Magnolia); dal “Grande Fratello”, “Che tempo che fa” e “Affari tuoi” (Endemol) a “Don Matteo”, “Guerra e pace” o “Coco Chanel” (Lux Vide), fino a “Titanic” della Dap Italy di Guido De Angelis che ha prodotto anche dieci stagioni di “Incantesimo”.
Considerando solo il segmento della fiction, si tratta di oltre 100 imprese che occupano quasi 100mila addetti. Queste aziende alimentano poi un indotto di industrie tecniche, oltre all´editoria audiovisiva (comprese le imprese di noleggio e vendita di dvd), per un totale di 200mila addetti. Un comparto, dunque, di tutto rispetto all´interno dell´universo televisivo.
Sono proprio i produttori indipendenti, in primo luogo, che possono contribuire a rinnovare e rilanciare la programmazione della tv generalista. Ma al momento la loro attività è fortemente condizionata da due fattori, uno di carattere normativo e l´altro amministrativo, che ne compromettono l´autonomia e la stessa sopravvivenza. Ed entrambi, naturalmente, giocano a favore dei broadcaster e contro quella “separazione verticale” che viene invocata da più parti, fra titolari delle reti e fornitori di contenuti, proprio in funzione di una maggiore articolazione del mercato e di una maggiore concorrenza.
Il primo punto da definire per legge, quindi, riguarda la titolarità dei diritti di sfruttamento di un´opera audiovisiva: questa, come avviene negli altri Paesi, deve spettare al suo autore e produttore che può concederli in uso per un periodo di tempo limitato e in base a una libera trattativa. Tanto più che oggi prodotti del genere possono essere utilizzati su piattaforme e mercati diversi, dalla tv digitale a quella satellitare, da Internet ai tablet.
L´altro fattore che condiziona l´attività di questo settore dipende dal mancato rispetto delle cosiddette “quote d´investimento”. Secondo la direttiva europea “Tv senza frontiere”, anche l´Italia ha stabilito nel 2007 che le emittenti televisive devono riservare almeno il 10% dei propri introiti annui “alla produzione, al finanziamento e all´acquisto di opere europee realizzate da produttori indipendenti”. E per il servizio pubblico, anzi, la quota sale al 15% dei ricavi complessivi (abbonamenti e pubblicità).
Ma, nonostante che l´Autorità sulle Comunicazioni abbia adottato una delibera in tal senso (n.66/09), la norma non viene rispettata né dalla Rai né da Mediaset né tantomeno da Sky. Sicché nel 2010 il 75% delle produzioni indipendenti sono state commissionate dal broadcaster pubblico. Il risultato è che il duopolio impera anche in questo campo: con la propria forza contrattuale, le due principali emittenti continuano ad accaparrarsi in perpetuo tutti o quasi i diritti televisivi, sottraendoli di fatto alla disponibilità dei potenziali concorrenti.
Spesso, come si dice, la realtà supera la fantasia. Ma qui, evidentemente, è la fiction che ormai supera la realtà.

La Repubblica 05.05.12