attualità, politica italiana

"Un terzo degli astenuti votava centrodestra", di Renato Mannheimer

Uno dei fenomeni caratterizzanti i risultati delle amministrative di domenica e lunedì è stata, insieme all’exploit del Movimento 5 stelle di Grillo e al tracollo del Pdl, la crescita delle astensioni. Si tratta di un evento previsto, già indicato dai numerosi sondaggi apparsi nelle ultime settimane. Anzi, rispetto ai dati di questi ultimi, l’entità della diserzione dalle urne è stata inferiore a quanto alcuni osservatori avevano previsto. In confronto alle amministrative precedenti, l’astensione si è accresciuta di circa 8 punti, mentre da più parti si temeva un deficit di partecipazione superiore al 10%. Ciò è dovuto al fatto che in alcuni contesti, specie al Sud, l’allontanamento dal voto è stato temperato dalla presenza di liste e candidati locali, più o meno «civici», conosciuti direttamente dall’elettore e vissuti spesso come «alternativi» agli schieramenti tradizionali.
Resta il fatto che l’incremento delle astensioni è una circostanza assai significativa, sulla quale conviene riflettere, anche in vista delle politiche previste per il prossimo anno. Essa dipende, come si sa, soprattutto dalla delusione dei cittadini nei confronti dei partiti tradizionali, dalla sensazione, spesso giustificata dalla realtà dei fatti, che questi ultimi non abbiamo saputo o voluto rispondere alle esigenze concrete degli italiani, finendo col portare il Paese nella situazione critica che tutti conosciamo. A ciò si è aggiunto, nell’ultimo periodo, il succedersi degli scandali finanziari che hanno coinvolto diverse forze politiche, cui si accompagna il persistere di privilegi (non ultima la rilevante entità del finanziamento pubblico, per di più mascherata da rimborso per le spese elettorali) che molti leader politici continuano a mantenere e a difendere.
La sfiducia che questo stato di cose ha provocato porta, tra gli altri, a due comportamenti molto diversi tra loro, sebbene accomunati da motivazioni non tanto distanti. Il primo, come si è detto, è costituito dall’accentuarsi dell’astensione. Le ricerche più recenti mostrano come quest’ultima provenga da elettori di tutte le forze politiche, con una accentuazione, tuttavia, per quelli del Pdl, che è il partito più toccato dalla diserzione alle urne. Almeno un terzo degli astenuti a queste ultime elezioni proviene da individui che alle politiche del 2008 avevano votato per il partito di Berlusconi e Alfano. La quota di astensionisti presenti nell’elettorato passato di altri partiti è invece sostanzialmente minore.
L’altro comportamento derivato dalla rilevante crisi di fiducia che caratterizza sempre più l’elettorato italiano è costituito, come si è visto, dal voto verso movimenti di protesta, prima fra tutti la forza di Grillo che, come si sa, ha avuto molti più consensi al Nord. Ma i connotati di quanti danno un’opzione al comico genovese sono assai diversi da quelli degli astenuti. Si tratta, come si è già accennato, di persone più giovani e più interessate alla politica, anche se avverse ai partiti tradizionali. Tuttavia la provenienza è differente: hanno votato per Grillo molte persone che si erano astenute nel 2008, ma anche tanti elettori di sinistra: quasi un quarto dei votanti per il Movimento 5 stelle proviene dal Pd. Un altro 10% dichiara di aver votato nel 2008 l’Idv o la Sinistra Arcobaleno. Ma il 14% aveva scelto in passato il Pdl, mentre il 16% circa aveva votato la Lega.
I due trend, il consenso per Grillo e l’incremento delle astensioni, pur coinvolgendo persone molto differenti tra loro, presentano, come si è detto, un tratto comune. Sono entrambi derivati dallo scontento crescente per le forze tradizionali. Del quale queste ultime dovranno tenere conto per evitare una débacle ancora maggiore l’anno prossimo.

Il Corriere della Sera 09.05.12

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“L’analisi dell’istituto Cattaneo paragona i voti nei 24 comuni capoluogo con quelli delle regionali, delle europee e delle politiche”, di Silvio Buzzanca

I vincitori delle amministrative sono Beppe Grillo e il suo movimento 5 Stelle. Sconfitti, in modo e gradazioni diverse, tutti gli altri partiti. Con la parziale eccezione dell´Udc. Il giudizio netto, basato su schede scrutinate e voti veri, arriva dall´Istituto Cattaneo di Bologna che è andato a guardare nelle pieghe del voto di domenica. L´analisi riguarda 24 comuni capoluogo, i dati di Palermo e Catanzaro non erano ancora disponibili, ed è stata condotta paragonando i voti, non le percentuali, delle amministrative 2012 con le Regionali 2010, le Europee 2009 e le Politiche del 2008.
Il primo dato è sicuramente il trionfo di Grillo. Il suo movimento si è presentato in 101 comuni su 941 e ha ottenuto quasi 200 mila voti per una percentuale nazionale, con tutte le avvertenze del caso, dell´8,74 per cento. Ma nel Nord, in termini assoluti, si registra la quadruplicazione dei voti ad Alessandria rispetto al 2010. A Verona i voti si sono triplicati, a Parma, Monza, Cuneo e Belluno sono più che raddoppiati. Un fenomeno che però non si è verificato nel Mezzogiorno, dove, secondo il Cattaneo, ha pesato di più l´effetto del voto di scambio e meno la propensione all´innovazione e al voto di opinione del Nord.
Negli altri accampamenti regna invece lo sconforto. Specie nel centrodestra, travolto da una valanga elettorale. Piangono soprattutto i leghisti. Alle elezioni del 2008 avevano avuto nelle 24 città esaminate 331 mila voti, nel 2009 alle Europee 308 mila voti , 311 mila alle Regionali del 2010. Domenica il bottino si è fermato a quota 145 mila voti con una perdita secca del 67 per cento. Un risultato che è più marcato in Piemonte ed Emilia Romagna e un po´ meno in Lombardia e Veneto. Nel tracollo i leghisti riescono a mantenere al 30 per cento il calo in valori assoluti nei comuni sotto i 15 mila abitanti.
Un dato molto negativo segna anche il risultato del Pdl. Secondo l´Istituto bolognese perde 175.000 voti rispetto alle precedenti Regionali. Un calo che riguarda soprattutto il Nord e le regioni rosse ma che non risparmia il Centro-Sud, dove Berlusconi vede sparire il 40 per cento dei voti avuti nel 2010.
Non ha però ragione di gioire di queste cifre il centrosinistra. A partire dal Partito democratico che ha perso 91 mila voti che rappresentano il 29 per cento del preferenze raccolte nel 2010. Risultato frutto di una perdita di 60 mila voti al Nord, 19 mila nella zona rossa e di 19 mila nel Centro sud. Anche l´Idv perde consensi: meno 55 mila voti distribuiti in maniera omogenea sul territorio nazionale che rappresentano il 58 per cento dell´elettorato del 2010. Perdono voti anche Sel e la Federazione della Sinistra: meno 12 mila voti pari al 16 per cento dei consensi del 2010.
Infine rimane il voto dell´Udc. Secondo i ricercatori del Cattaneo il partito di Casini «tutto sommato tiene, contenendo le perdite al 6,5 per cento a livello nazionale rispetto alle Regionali del 2010». Ma il risultato nasconde un´avanzata nelle zone rosse, più 13 per cento, e nel Centro-Sud più 32 per cento e un forte arretramento nel Nord: meno 44 per cento.

La Repubblica 09.05.12

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“La Terza Repubblica che non sa dove andare Pdl e Lega senza leader e identità il Pd tiene, Grillo forte sul territorio”, di Ilvo Diamanti

Il Carroccio resiste ma a fatica. Il risultato di Verona si deve esclusivamente al sindaco Tosi È un voto “personale”. Si tratta solo di amministrative. Elezioni che hanno coinvolto una quota ridotta di popolazione e di Comuni. Un test, in fondo, limitato. Peraltro, molti giochi sono ancora aperti, visto che in tre quarti dei Comuni maggiori si andrà al ballottaggio. Eppure, i risultati del primo turno sono destinati a produrre effetti politici significativi sul piano nazionale.
Le prime elezioni nell´era del Montismo hanno, anzitutto, suggerito che, insieme a Berlusconi, stia uscendo di scena anche il suo “partito personale”. Quasi per conseguenza automatica e naturale. Il Pdl. In caduta, dovunque. Da Nord a Sud passando per il Centro. Non è facile decifrare i dati di elezioni specifiche, come quelle amministrative. Caratterizzate dalla presenza di molte liste civiche. Tuttavia, nei Comuni capoluogo, rispetto alle elezioni amministrative precedenti, il Pdl ha dimezzato il suo peso elettorale: è passato dal 30% al 14% (media delle medie). Governava in 95 Comuni (maggiori), insieme alla Lega. Al primo turno ne ha perduti 45 (inclusi quelli in cui è escluso dal ballottaggio). Ne ha mantenuti 5, conquistandone uno solo di nuovo. Negli altri 45 andrà al ballottaggio. In 16 Comuni, però, è in sensibile svantaggio.
A livello locale, peraltro, il Pdl non aveva mai avuto basi solide e radicate. Ma senza Berlusconi ha perduto identità, senso. In qualche misura, speranza. Così ha travolto, nella slavina, anche il retroterra di An. Che, invece, fino a ieri, disponeva di una presenza diffusa in molti contesti. Soprattutto nel Sud.
2. La Lega resiste. Ma a fatica. Il risultato di Verona si deve, esclusivamente, a Tosi. È un voto “personale”. Per molti versi, espresso “contro” la Lega di Bossi. Tosi, infatti, è il principale alleato di Maroni, come ha ribadito anche in questi giorni. Verona, d´altronde, non è una roccaforte storica della Lega, che si è insediata in città (e nell´area) solo nell´ultimo decennio. Prima era una zona di forza della Destra, da cui Tosi ha attinto molti consensi. Allargandoli in misura ampia, con la sua azione. E amministrazione. Altrove, però, la Lega non ha fatto bene. Complessivamente, nei Comuni dov´era presente, la Lega ha perduto poco rispetto alle amministrative del 2007, ma ha dimezzato la percentuale del voto rispetto alle politiche del 2008 e le europee del 2009. Fra le 12 città maggiori al voto dove il sindaco uscente era leghista, la Lega ha perduto in 5 e in altrettante è al ballottaggio. Oltre a Verona, al primo turno ha vinto solo a Cittadella. Una roccaforte nel cuore del Veneto. Luogo quasi simbolico. Evoca la Lega che non è scomparsa, come alcuni ipotizzavano (e auspicavano). Ma “resiste” all´assedio. Ha reagito meglio nei Comuni più piccoli, inferiori a 15 mila abitanti (secondo l´analisi dell´Istituto C. Cattaneo).
Tuttavia, le sarà difficile, su queste basi, riproporsi come “partito del Nord”. Tanto più perché perdere sindaci e peso nelle amministrazioni locali significa perdere radicamento nella società e nel (suo) territorio.
Dove oggi appare un soggetto politico minoritario.
3. Ne deriva che il Pdl e la Lega, al di fuori dell´alleanza di centrodestra, risultino perdenti. Su base locale e non solo. D´altronde, anche un anno fa, alle amministrative, anche se alleati, avevano subito un notevole arretramento e alcune sconfitte pesanti. Per prima: Milano. Ma oggi, che Pdl e Lega corrono ciascuno per conto proprio, e anzi, uno contro l´altro, il loro futuro appare quanto meno difficile. D´altronde, solo Berlusconi era riuscito a coalizzarli, a farli stare insieme. Con argomenti efficaci. Per forza e/o per interesse. Il rapporto fra i due partiti, peraltro, era molto “personalizzato”. Fondato sulle relazioni dirette fra Berlusconi e Bossi. Ma oggi il ruolo dei due leader si è ridimensionato e anche il legame fra i partiti si è sensibilmente allentato.
In concreto, nel centrodestra si è aperto un vuoto di rappresentanza politica che non è chiaro come e da chi possa venire colmato.
4. Nel centrosinistra la situazione appare migliore. Soprattutto perché i partiti che ne fanno parte hanno, perlopiù, confermato l´alleanza. Anche se con geometrie variabili. Punto fisso: il Pd, che ha costruito intorno a sé diverse intese. In prevalenza, con la sinistra, ma anche insieme all´Udc. Al primo turno, nei capoluoghi di provincia ha tenuto, passando (in media) dal 19% al 17%: 2 punti in meno. Inoltre, nei 53 Comuni dov´era al governo, prima di queste elezioni, dopo il primo turno ne ha riconquistati 14 e altri 11 li ha strappati al Centrodestra. Eppure è indubbio che anche in quest´area emergano segni di sofferenza. Nel Pd – ma anche nel centrosinistra. Il quale non riesce a capitalizzare il crollo del centrodestra.
Subisce, nelle sue aree, il peso dell´astensione. Che raggiunge non a caso il massimo nelle zone rosse: in Toscana, in Emilia Romagna, nelle Marche.
E, ancor di più, è incalzato dalla concorrenza del Movimento 5 Stelle, ispirato da Beppe Grillo. La sorpresa di questa consultazione. Dove i suoi candidati sono al ballottaggio in 5 Comuni oltre 15 mila abitanti (tra cui Parma). A Sarego, piccolo comune in provincia di Vicenza, è riuscito a fare eleggere il suo candidato sindaco. Il risultato del Movimento 5 Stelle, però, appare rilevante soprattutto per il livello dei consensi ottenuti un po´ dovunque. Oltre il 10%, in media, nei Comuni capoluogo. Il 9% nell´insieme dei Comuni dove è presente. In alcuni contesti, peraltro, ha ottenuto performance importanti. Intorno al 20%.
5. La tendenza – e la tentazione – diffusa è di etichettarlo come un fenomeno “antipolitico”. Equivalente e alternativo rispetto all´astensione. Una valutazione che mi sembra poco convincente.
A) Perché è comunque un soggetto “politico” che ha partecipato a una competizione democratica chiedendo e ottenendo voti. Facendo eleggere i propri candidati. B) Poi perché il suo successo deriva, sicuramente, dalla critica contro il sistema di Grillo, ma anche dal fatto che il Movimento ha coagulato gruppi e leader attivi a livello locale. Impegnati su questioni e temi coerenti con quelli affrontati nel referendum di un anno fa. Collegati alla tutela dell´ambiente, ai beni pubblici. Alla lotta contro gli abusi. Progetti di “politica locale” promossi da persone a interessi privati e a lobby. Per questo credibili, in tempi scossi da scandali e polemiche sulla corruzione politica. C) Infine, perché i loro elettori sono tutto fuor che “impolitici”. Mostrano un alto grado di interesse per la politica (sondaggio Demos, aprile 2012). Certo, un terzo di essi, alle elezioni politiche del 2008, si è astenuto. Ma il 25% ha votato per il Pd e il 16% per l´Idv. Il Movimento 5 Stelle, per questo, rivela il disagio verso i partiti. Soprattutto fra gli elettori dell´area di centrosinistra. Ma non solo: un´analisi dei flussi elettorali condotta dall´Istituto Cattaneo sul voto di Parma, infatti, rileva una componente di elettori sottratti alla Lega (3% sul totale, rispetto alle regionali del 2010). Il Movimento 5 Stelle, dunque, offre a una quota di elettori significativa una rappresentanza, che può non piacere, ma è “politica”.
Io, comunque, sono sempre convinto che sia meglio un voto, qualsiasi voto, del vuoto. Politico.
Nell´insieme, questi risultati rafforzano l´impressione che il Paese sia ormai oltre la Terza Repubblica, fondata da – e su – Berlusconi e il Berlusconismo. Ma non sappia dove andare.
Con questi partiti, questi leader, questi schieramenti, queste leggi elettorali e con questo sistema istituzionale: temo che passeremo ancora molto tempo a discutere di antipolitica. Per mascherare la miseria della politica.

La Repubblica 09.05.12

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“Le macerie dopo il miracolo”, di Guido Crainz

L´Italia delineata dal voto non alimenta illusioni ma pone problemi di grande rilievo. La stagione di Berlusconi si è definitivamente conclusa ma lascia segni profondi e il terreno è ingombro di macerie.
Lo stesso voto del resto ci ricorda che ad essa non ha posto fine un´opposizione efficace e lungimirante, pronta ora a governare. Ci ricorda che la alternativa riformatrice non è limpidamente all´orizzonte. Per comprendere meglio l´entità del tracollo della ex maggioranza occorre ricordare che le elezioni regionali di due anni fa avevano segnato ancora una sua significativa vittoria, in parte trainata da una Lega in espansione persino nelle “regioni rosse”. E il Pdl era dilagato anche a L´Aquila e in altri centri abruzzesi, sull´onda della promessa e illusionistica “politica del fare” del Cavaliere: ora a L´Aquila non è ammesso neppure al ballottaggio. Una tenuta del centrodestra che aveva sfidato ogni previsione si è dunque dissolta con rapidità estrema, ed entrambi questi aspetti impongono riflessioni non contingenti: non riducibili cioè al succedersi di scandali dell´ex premier o a casi di corruzione sempre più gravi, estesi e clamorosi (da cui peraltro il centrosinistra non è stato esente). Non è per essi che Berlusconi si era dovuto dimettere, ma per l´infuriare della crisi economica e per la sua totale inadeguatezza a farvi fronte. Anche in precedenza, del resto, era stata la crisi economica in tutta la sua ampiezza e in tutte le sue conseguenze a rivelare la natura e la miseria del “patto con gli italiani” del Cavaliere. Quel patto si era basato sulle sinergie non di virtù ma di accondiscendenze, e su distorsioni trasformate in normalità. Aveva avuto a propria bussola l´attenuarsi di regole e vincoli per governanti e governati, e la garanzia per entrambi di una “protezione” basata sull´uso dissennato delle risorse pubbliche. La nave va, diceva ai suoi tempi il Craxi trionfante, e ne condivise poi l´affondare. Berlusconi aveva riproposto in nuove e differenti forme le stesse illusioni, e con esse una ideologia che ha alimentato alcuni dei modi peggiori di essere italiani. Tutto questo ha iniziato a dissolversi quando parti crescenti del Paese hanno dovuto abbandonare un ottimismo infondato e irresponsabile. Quando la crisi, appunto, ha reso sempre più evidente che l´assenza di regole non è un´opportunità per nessuno ma la premessa di una comune rovina. Quando la “protezione paternalistica” che aveva retto sin lì è andata in frantumi: con un premier isolato nel bunker dei propri processi e dei propri privati interessi, sempre più privo di prestigio all´interno stesso della propria miserevole corte. E con un Paese sempre più esposto ad una bufera internazionale che ne minacciava e ne intaccava il vissuto quotidiano, proiettandovi angustie e inquietudini. È per questa via che quel patto è giunto a lacerarsi irrimediabilmente, lasciando “orfani” ampi strati sociali: esposti ora al disincanto, se non al rancore, e alla ulteriore chiusura negli egoismi individuali e di ceto. Non è stata, o non è stata solo, una virtuosa società civile a insorgere contro un centrodestra e un sistema politico screditato: l´abbaglio dei primi anni Novanta non può oggi ingannare nessuno, e già allora la disillusione fu molto amara.
Che Italia ci lascia dunque la fine di questa stagione? Nel dicembre del 1994, nella crisi del primo governo guidato da Berlusconi, Sandro Viola scriveva lucidamente su questo giornale: “Quando il governo prima o dopo cadrà, sul Paese non sorgerà un´alba radiosa. Vi stagneranno invece i fumi tossici, i miasmi del degrado politico di questi mesi”. I mesi sono diventati anni, molti e lunghi anni, e i sintomi di una crescente involuzione sono stati evocati sempre più spesso da molte e preoccupate voci. Concordi nel segnalare il diffondersi di forme di “società incivile” poco rispettose dei beni pubblici e della legalità. Concordi anche nel tracciare i contorni di un Paese sfibrato e sfiduciato: un Paese che, per dirla con Raffaele Simone, considera le questioni ideali “come il fumo che gli impedisce di mordere l´arrosto delle proprie urgenze quotidiane”. Una Italia che ha visto nuove forme di “plebeismo” insinuarsi sin “nel cuore ansioso dei nuovi ceti medi”, sempre meno attivi nel promuovere e attivare “processi di civilizzazione” (vi si è soffermato Carlo Donolo in un suggestivo libro recente, Italia sperduta). Anche l´ultimo rapporto del Censis, del resto, ha analizzato con attenzione questi processi e ha indicato però al tempo stesso le risorse positive pur presenti nella società italiana: ad esempio una responsabilità collettiva pronta ad entrare in gioco, già decisiva in passaggi chiave della nostra storia nazionale. Non mancano certo forze vitali nell´economia e nella cultura, e vi è un´ampia area di cittadini non travolti dall´antipolitica ma legati ancora alla speranza di una politica migliore, basata su trasparenza, efficacia, eticità e legalità.
Le energie per avviare un´inversione di tendenza sembrano dunque esserci, anche se non è ancora riconoscibile il progetto in grado di metterle in moto e di farle interagire. In grado di sorreggere un´opera di Ricostruzione, economica e morale, pari a quella che pur fu compiuta in altri e più drammatici momenti. È questo il compito che attende i partiti, ove siano capaci di rigenerarsi e di rifondarsi. Partiti “obbligati” anche da questo voto a decidere nelle prossime ore, non nei prossimi mesi, quelle misure drastiche e limpide sul modo di essere della politica che sono state invocate da più parti. Oggi il tempo è scaduto, nessuno può nasconderselo. Sarà altrettanto importante in questo scenario l´operare del governo, chiamato più che mai a delineare il futuro. A dare risposte, prospettive e fiducia a un Paese smarrito. E sarà importante il contributo stesso dei cittadini.

La Repubblica 09.05.12