attualità, economia, politica italiana

Visco: "Non si abbatte il debito con la propaganda", di Bianca Di Giovanni

Sul debito pubblico si gioca il futuro dell’Italia (e dell’Europa). Ormai da anni si tenta di ridurlo, ma ogni passo in avanti se ne fanno due indietro. Oggi, con i mercati nervosi e la speculazione in agguato, va imboccata la strada della riduzione senza tentennamenti. Le ricette dei due schieramenti politici appaiono completamente antitetiche. Angelino Alfano promette un’operazione straordinaria gigantesca: circa 400 miliardi da incassare in un solo colpo con la cessione di asset patrimoniali pubblici. «Propaganda, non esistono bacchette magiche. E poi verrebbe da chiedere: se fosse così facile, perché non lo hanno fatto prima?». Il giudizio di Vincenzo Visco, ex ministro del Tesoro, è netto. La favola del «colpo grosso» non è nuova: quella di Alfano è solo l’ultima versione. Peccato che non funzioni, spiega Visco. Il percorso è un altro: sono possibili interventi straordinari graduali, ma soprattutto bisogna mantenere i conti in ordine, lavorare per la crescita e la competitività, e sperare che la ripresa finalmente arrivi.

L’Italia ha fatto abbastanza finora?

«Si è fatto parecchio, ma c’è ancora molto da fare. Per esempio politiche industriali più robuste, e una vera spending review, non certo quella che si è fatta ora, che porti a ulteriori risparmi di spesa con la riorganizzazione della pubblica amministrazione».

Ma quali altre riforme dovremmo fare?

«Le abbiamo fatte tutte: lavoro, pensioni, spesa pubblica. Cos’altro ci vuole? «Macché, di riforme in Italia ne servono ancora una valanga. Abbiamo mafia, corruzione, evasione, la pubblica amministrazione che non funziona. La verità è che bisogna cambiare la testa alla gente, mettere nei posti decisionali le persone che lo meritano, senza più raccomandazioni. C’è ancora moltissimo da fare».

Beh, cambiare testa alla gente mi pare un po’ complicato.

«Non è vero, perché i cittadini sono più intelligenti di quanto a volte li si dipinge. Capiscono quello che serve, però bisogna saper indicare la strada».

Sulla riduzione del debito, sembra di capire che tra la formula dell’operazione straordinaria, del Pd l, e quella del Pd degli incentivi alla crescita e la creazione del surplus primario, lei sia decisamente per la seconda.

«È sbagliato schematizzare in questo modo. E evidente che il Pdl fa propaganda, dando l’illusione che con la bacchetta magica si risolva un problema che dura da 20-30 anni».

Non è la prima volta che si parla di un’operazione straordinaria che dia un colpo netto al debito.

«Difatti, bisogna riandare indietro alle ipotesi proposte in passato. Per esempio quella di un’imposta straordinaria sul patrimonio. L’idea era sempre quella di portare a casa 10 o 20 punti di Pil in un solo colpo. Lo avevano proposto in diversi (da Giuliano Amato a Walter Veltroni e Pellegrino Capaldo e altri). Insomma, ci sono state almeno una trentina di proposte tutte basate su un equivoco di fondo: che basti dare una botta e la soluzione arriva. Poi non si capisce bene chi se la deve prendere questa botta. Dietro a questa impostazione c’è l’illusione di evitare le sofferenze del rigore di bilancio. Ma purtroppo non è così. Un’imposta straordinaria alla fine peserà su tutti, costringe i proprietari a vendere immobili e titoli, sottraendo risorse all’economia reale».

Ma Alfano non parla di tasse. Anzi, vede le tasse come il diavolo.

«Sì certo, parla di cessione di asset, ma la logica che sta dietro è la stessa. Si pensa che l’Italia non possa permettersi un avanzo primario, e quindi che è meglio privatizzare, vendere patrimonio e finirla lì, magari piazzando nelle mani di ignari cittadini titoli rappresentativi di questi asset che si deprezzerebbero un minuto dopo, trasformandosi in patrimoniale vera. Cioè una tassa. Poi è velleitario pensare che si possano incassare in un colpo 400 miliardi».

Perché

«Perché del patrimonio alla fine c’è poco da vendere. Il patrimonio demania- le arriverà a circa 50 miliardi. Il grosso è quello di Regioni e enti locali (circa 3.400 miliardi), ma in gran parte si tratta di beni strumentali, come ospedali, manicomi, giardini. Una vera mappatura di questi beni non esiste (a differenza del demanio, che ha realizzato una catalogazione avviata proprio da Visco, ndr). Inoltre spesso vendere non conviene. Quando sono tornato al governo ho riacquistato il palazzo della Sogei perché pagavamo un affitto superiore al mutuo per l’acquisto. Le cifre che circolano rappresentano valori potenziali di mercato. Senza contare che per cedere patrimonio, bisogna trovare acquirenti, creare fondi immobiliari, cambiare normative. Ci vuole tempo».

Allora come si risolve?

«A me sembra che la posizione del governo sia sensata. Quello che ragionevolmente si può fare è piazzare beni per l massimo 2 punti di Pil (una trentina di miliardi, ndr) per un certo numero di anni. Poi bisogna continuare con il rigore dei conti, mantenere l’avanzo primario, avviare politiche per la crescita. Solo così si riduce il debito».

La crescita però sembra una chimera. Il governatore ha stimato una recessione anche nel 2013.

«All’Italia serve una robusta politica industriale. È chiaro che se non si ottiene una crescita almeno dell’1%, con un’inflazione attorno al 2%, salta tutto. Il debito si riduce solo a queste condizioni, con il surplus primario. Non c’è molto di più da fare. L’altra ipotesi è il default, cosa che si sta cercando di evitare».

Questa è un’ipotesi di scuola, spero.

«Lo hanno fatto in tanti. Prima l’Argentina, poi la Grecia».

Davvero l’Italia è a rischio default?

«Se la situazione peggiora, se l’Europa non fa quello che deve, non si può escludere».

Come giudica l’ultimo intervento Bce? «Ha fatto quel che poteva. Ora bisogna capire quali sono le condizionalità che chiedono. Per me è importante che abbiano riconosciuto che sugli spread non si tratta più di un problema di finanza pubblica, ma di politica monetaria, materia che rientra nelle loro funzioni. È esattamente quello che avevo sostenuto in un intervento sul Sole24ore di un mese fa».

L’Unità 06.08.12