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"La sindrome dell’ostaggio", di Andrea Bonanni

La Corte costituzionale tedesca assicura che emetterà la sua sentenza sulla fattibilità del nuovo fondo salva-Stati entro il 12 settembre, come promesso. L’ennesimo ricorso dell’ennesimo economista tedesco in cerca di notorietà, anche se presentato con furbesco ritardo, non dovrebbe bloccare la decisione e non riuscirà a dare il colpo di grazia all’euro né agli strumenti che l’Europa tenta di mettere in campo per difenderla. Sempre che, naturalmente, il verdetto della Corte sia positivo, come ci si aspetta. In caso contrario, infatti, i governi europei avrebbero gettato due anni di lavoro e di negoziati dalla finestra, e l’euro si troverebbe senza difese di fronte agli attacchi della speculazione.
Ma questo ennesimo assalto dei “falchi” contro la moneta europea, condotto questa volta per via giudiziale, ha in realtà evidenziato un vecchio problema mai risolto e che rischia ora di diventare cruciale per il futuro del continente.
Non è la prima volta che la Bundesverfassungsgericht di Karlsruhe viene chiamata a decidere i destini dell’Europa. Praticamente tutti i passi adottati dai governi a Bruxelles per far fronte alla crisi, dalla creazione del primo fondo salva-Stati ai vari interventi in aiuto di questo o quel Paese, sono stati portati davanti ai giudici tedeschi che hanno dovuto pronunciarsi sulla loro costituzionalità. Lo stesso meccanismo è stato messo in opera per i vari Trattati europei, compreso l’ultimo, fortemente voluto dalla stessa Germania.
È stata proprio la Corte di Karlsruhe, infine, che ha sostanzialmente tarpato le ali alla libertà di azione del governo di Berlino stabilendo che qualsiasi accordo la Cancelliera concluda a Bruxelles deve essere preventivamente approvato dal Parlamento nazionale tedesco.
Tutto questo è ineccepibile dal punto di vista della legittimità interna di un Paese democratico. Ed il rigore con cui la corte esercita il proprio mandato è certo encomiabile in una Germania che non ha dimenticato gli orrori e le deviazioni dallo stato di diritto compiute durante il nazismo. E tuttavia come risultato di questa situazione l’Europa si trova regolarmente presa in ostaggio da un organismo che non le appartiene, che non ha nominato, su cui non ha giurisdizione. Un organismo che agisce secondo le regole e i criteri di una Costituzione altra rispetto a quella europea e a cui le istituzioni e i cittadini europei non possono appellarsi, a meno che non siano tedeschi.
Si crea dunque un paradosso da cui è difficile uscire. La Corte di Karlsruhe è chiamata dalla Costituzione federale a difendere la sovranità nazionale tedesca in un momento in cui è proprio la stessa Germania a chiedere agli altri Paesi d’Europa di rinunciare alla propria sovranità per salvare la moneta unica. Il problema è che oggi i cittadini europei si trovano a dover osservare due dettati costituzionali: quello delle Costituzioni nazionali, che in molti casi salvaguardano la sovranità di ciascun Paese, e quello dei Trattati europei, che prevedono formalmente una sempre crescente integrazione, con relativa cessione di sovranità.
Il paradosso, in sé, non è molto diverso da quello che l’Europa ha già dovuto affrontare quando in diverse occasioni è stata costretta a congelare i Trattati per la prevalenza di qualche migliaio di voti negativi nei referendum tenutisi in Danimarca o in Irlanda. È la democrazia, si dirà. Certo. Ma è una democrazia a fettine, che mal si concilia con il principio di legittimità e di bene comune. Nessuno, infatti, ha mai voluto sottoporre i Trattati Ue ad un referendum pan-europeo riconoscendo così il principio fondante di ogni democrazia per cui il voto di ogni cittadino ha lo stesso valore. Facendo a fette la legittimità democratica, oggi il voto di un danese conta come quello di dieci italiani. E il giudizio di un magistrato costituzionale tedesco prevale non solo su quello di un suo collega italiano, ma di fatto anche su quelli della Corte di Giustizia europea.
Per decenni l’Europa ha convissuto senza troppi drammi con queste contraddizioni. Ma non potrà continuare a farlo a lungo. Infatti, proprio su impulso della Germania, l’Unione monetaria sta entrando in un quinquennio di sempre maggiore integrazione e federalizzazione non solo delle politiche economiche, ma della politica tout court.
Dopo il fondo salva Stati, verrà l’unione bancaria. Dopo l’unione bancaria, verrà l’Unione di bilancio. Dopo l’Unione di bilancio, verrà la federalizzazione del debito. E dopo ancora verrà l’Unione politica con la creazione di un governo economico comune. Sarà un percorso difficile, che dovrà trovare un punto di conciliazione tra gli interessi divergenti dei diciassette governi, a loro volta controllati e condizionati dai diciassette parlamenti nazionali. Se a questo puzzle già quasi irrisolvibile si dovessero aggiungere le diverse sensibilità delle diciassette corti costituzionali nazionali, potremmo risparmiarci fin dall’inizio la fatica di tentare questa ennesima avventura.

La Repubblica 15.08.12