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"Uomini che uccidono le donne. Una bacheca mette online i volti", di Gian Antonio Stella

È un pugno allo stomaco il mucchio selvaggio di foto di mariti, fidanzati, conviventi, padri che hanno ammazzato la «loro» donna. Di bacheche zeppe di madri, figlie, fidanzate, amanti assassinate ne avevamo viste tante, in questi mesi. Ma mai una tale carrellata di assassini. Facce banali. Facce normali. Facce serene. Facce spesso «rassicuranti». E proprio per questo, messe tutte insieme, terribili.
La bacheca delle vittime e dei «sicari domestici», che si propone di diventare la banca dati per tutte le donne che si battono contro la violenza e per chi se ne occupa per i più diversi motivi professionali, dai poliziotti ai cronisti alle associazioni, è da oggi online. Si chiama inquantodonna.it ed è stata costruita giorno dopo giorno da Emanuela Valente, che per mesi ha raccolto nomi, foto, storie, documenti processuali, link di articoli, telegiornali, trasmissioni televisive per raccogliere la documentazione più ampia possibile intorno al cosiddetto «femminicidio».
Non ci sono tutte, chiariamo subito, le donne assassinate negli ultimi anni. Proprio perché la curatrice, che via via sta aggiornando l’elenco coi nomi e le storie anche delle vittime di cui non esistono le fotografie, non ha voluto mischiare tutti i casi insieme: «Se una poveretta è stata uccisa in una rapina in banca o per aver litigato su un prestito, ad esempio, ho preferito lasciar perdere. E questo per sottolineare quante siano le donne uccise proprio “in quanto donna”. A causa di un “amore” malato, patologico, delirante. Meglio: a causa dell’idea di “possesso” che avevano i loro assassini».
Spiega il sociologo Marzio Barbagli, che forse meglio di tutti ha studiato la storia della criminalità in Italia, che «in realtà non è che oggi siano uccise più donne rispetto a una volta». Se ogni 100 mila abitanti venivano assassinate 3,4 donne nel 1865, la quota già dimezzata a 1,7 nel 1991 (l’anno più violento degli ultimi decenni) è calata nel 2007, ultimo anno di riferimento statistico, a 1,4: un terzo circa rispetto a un secolo e mezzo fa. Mentre in parallelo il tasso di maschi ammazzati scendeva in modo ancora più vistoso di quasi sei volte: da 20 omicidi ogni 100 mila cittadini subito dopo l’Unità a 3,6 oggi. «Quella che è cambiata però, grazie a Dio, è la percezione della gravità del fenomeno», insiste il criminologo, «insomma, l’omicidio di una donna massacrata “in quanto donna” ci sembra ogni giorno più insopportabile».
Giovanissime e anziane, poco vistose e bellissime, povere e benestanti, remissive o toste, orgogliose o rinunciatarie: erano una diversa dall’altra, le donne assassinate. Facevano le professoresse e le infermiere, le casalinghe e le operaie, le studentesse o le pensionate. E toglie il fiato scorrere quelle immagini di una quotidianità brutalmente interrotta: Elena con un vaso di fiori, Maria Silvana con lo zainetto in montagna, Giulia col vestito da sposa, Anna con un cappellino di paglia, Ilaria che brinda con un calice di prosecco, Lia che coccola il figlioletto nella culla… E fermano il fiato le didascalie che sintetizzano le tragedie da approfondire con un clic: «Emiliana Femiano, 25 anni, estetista. Massacrata con un numero indefinibile di coltellate (almeno 66 di cui 20 al cuore) dall’ex fidanzato che già l’aveva accoltellata un anno prima». «Mirella La Palombara, 43 anni, operaia. Uccisa con dodici colpi di pistola dal marito». «Alice Acquarone, 46 anni, dipendente di una mensa scolastica, mamma. Uccisa dal compagno che le ha fracassato il cranio con una chiave inglese, ha poi avvolto il corpo in un tappeto e lo ha gettato nel cortile condominiale».
Più ancora, però, se possibile, gela il sangue scorrere le foto dei tantissimi «lui». E se qualcosa nei nostri pensieri è rimasto impigliato degli studi di Cesare Lombroso intorno a certe facce che si distinguono «per la esagerazione degli archi sopracciliari, pel naso deviato molto verso destra, le orecchie ad ansa» o certi «uomini bruti che barbugliano e grugniscono», la panoramica del nuovo sito web mostra tutta un’altra categoria di assassini della porta accanto. E se esistono rare facce che ti farebbero cambiar marciapiede la sera, in gran parte quegli omicidi rappresentano in pieno la banalità del male. La ferocia che si nasconde dentro esistenze apparentemente anonime. «Strano, era tanto bravo ragazzo…». «Mai dato problemi sul lavoro…». «Sempre così gentile, così educato…».
Alcuni, come Salvatore Parolisi (il marito assassino di Melania Rea) o Mario Albanese (il camionista che un anno fa uccise a Brescia l’ex moglie Francesca, il suo compagno, una figlia e il suo fidanzatino) son finiti sulle prime pagine. Altri hanno avuto qualche titolino qua e là. Quello che li accomuna, accusa Emanuela Valente, è la volontà di affermare il «dominio» sulla donna assassinata. E spesso l’aver beneficiato di una certa «indulgenza» giudiziaria.
Come «Ruggero Jucker detto Poppy, 36 anni, rampollo della Milano bene, Re della zuppa. Fa a pezzi la fidanzata con un coltello da sushi e lancia pezzi in giardino. Condannato a 30 anni in primo grado, pena patteggiata in appello e scesa a 16 poi ulteriormente ridotta a 13. Ha già usufruito di 720 giorni di libertà come permessi premio e sarà libero nel giugno 2013». O l’impiegato palermitano Renato Di Felice che qualche anno fa uccise la moglie Maria Concetta Pitasi, una ginecologa, durante l’ennesima lite davanti alla figlia. Non aveva mai avuto grane con la giustizia, era descritto come un uomo mite sottoposto dalla consorte a piccole angherie quotidiane, era difeso dalla figlia: «Non ne potevamo più». Dopo due giorni, in attesa del processo, fu mandato a casa perché «non socialmente pericoloso». Mesi in cella dopo la condanna: dieci.
Per non dire di certi recidivi. «Emiliano Santangelo appena esce dal carcere uccide la ragazza che lo aveva fatto condannare per violenza sessuale. Quando Paolo Chieco — condannato a 12 anni e 6 mesi poi ridotti a 8 anni e 4 mesi per il tentato omicidio della convivente Anna Rosa Fontana — ottiene i domiciliari, a 300 metri di distanza dalla casa di Anna Rosa, finisce di ucciderla. E lo stesso fa Luigi Faccetti: condannato a 8 anni per il tentato omicidio della fidanzata, dopo appena 10 mesi ottiene i domiciliari e la uccide con 66 coltellate: 52 in più rispetto alla prima volta». Quasi tutte le donne uccise, accusa la curatrice del sito, avevano subito già minacce e violenze, ma la maggior parte di loro non le aveva denunciate: «Quelle che l’hanno fatto, però, non hanno ricevuto alcuna protezione. Lisa Puzzoli, Silvia Mantovani, Patrizia Maccarini e molte altre sono state uccise dopo aver denunciato chi le minacciava, dopo aver chiesto ripetutamente aiuto. Monica Da Boit ha chiamato il 113, terrorizzata, poche ore prima di essere uccisa ma la pattuglia non è intervenuta. Sonia Balconi è morta per un “guasto elettrico al sistema informatico” che aveva fatto dimenticare le sue denunce…».

Il Corriere della Sera 19.01.13

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