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"Sinistra e imprese Il patto possibile", di Massimo D'Antoni

Ha da temere il mondo dell’impresa da un’affermazione del centrosinistra? Il prevalere all’interno del Partito democratico di una linea che afferma la centralità del lavoro, la difesa dei diritti e il ruolo dei sindacati, l’alleanza a sinistra con Vendola, sono forse il preludio di una nuova stagione di difficoltà nei rapporti con le realtà produttive del Paese? Intendiamoci: nessun ritorno ad una lettura dei rapporti tra lavoro e impresa nel segno della contrapposizione tra capitale e lavoro Anche senza negare la possibilità di una divergenza di interessi, è chiaro che nella sfida in corso, quella per tornare a creare occupazione e benessere, per recuperare uno spazio adeguato nel mercato globalizzato e rimettere in moto l’economia, lavoro e impresa stanno dalla stessa parte.
E tuttavia, sembra sopravvivere una diffidenza di fondo. La sinistra – si dice – privilegia da sempre il rapporto con la grande impresa, quella sindacalizzata, con cui è più facile venire a patti. Essa risulta invece estranea a quel magma di piccole e piccolissime imprese che pure hanno un ruolo importante nel nostro sistema produttivo; quel mondo fatto – si dice – di padroncini che sostituiscono il paternalismo al diritto, di realtà produttive che sopravvivono su un confine grigio dove è facile il ricorso al lavoro irregolare e all’evasione. Rappresentazioni di maniera, cui è facile contrapporre l’immagine di imprenditori poco distinguibili dai loro operai, perché fino a ieri erano anch’essi operai, che si sono messi in proprio e che oggi mettono in gioco anche il proprio patrimonio personale per tenere aperta l’attività, per salvare qualche posto di lavoro.
Imprese che sentono di ricevere poco dallo Stato, e per le quali quindi lo Stato si manifesta principalmente per il peso delle imposte. Imprese che sopravvivono solo grazie all’evasione o all’informalità; e quindi, si risponde, imprese che falsano il gioco concorrenziale, frenando la transizione a forme organizzative più efficienti e adatte per dimensione alle sfide della competizione. Già, la dimensione: sappiamo che non sempre è un fattore decisivo, che i casi di successo si trovano anche tra le imprese piccole. Ma sappiamo anche che al di sotto di una certa dimensione è difficile sostenere gli investimenti richiesti dall’innovazione e dalla globalizzazione, e che un sistema così polverizzato fatica ad impiegare ingegneri e tecnici laureati.
C’è, forse, un fondo di verità nella diffidenza reciproca. Ma è su questa diffidenza che ha costruito il suo consenso il centrodestra di Berlusconi. Il messaggio era in fondo chiaro: lo Stato farà poco, ma in cambio vi lascerà fare, anche tollerando e legittimando comportamenti disfunzionali; regole e norme sono vincoli e lacci da rimuovere; rinunciare a governare i processi è la migliore politica.
Quale risposta ha da dare una forza di centrosinistra, per evitare che lo schema si riproduca? Avendo maggiore difficoltà a giocare sulla naturale vicinanza, resta la possibilità di un patto, chiaro, onesto. Da un lato legalità e fedeltà fiscale contro qualità dell’azione pubblica, servizi pubblici adeguati che giustifichino l’elevata pressione fiscale (sono nell’interesse delle stesse imprese una sanità funzionante e poco costosa, un adeguato livello di istruzione, infrastrutture moderne).
Dall’altro la promozione della produzione di qualità, dell’investimento e dell’innovazione. Attraverso una politica fiscale che premi la capitalizzazione, nuovi strumenti di credito che finanzino la crescita, una politica industriale che assista specialmente le realtà produttive che hanno più difficoltà a provvedere in proprio ad innovare e a proiettarsi sui mercati internazionali, una politica del lavoro che favorisca l’investimento in capitale umano e quindi una concorrenza giocata sulla qualità invece che sul ribasso dei costi. E poi il piano macroeconomico: allentamento della stretta dell’austerità, ma entro il quadro della permanenza in Europa, contro rischiose e costose avventure che deriverebbero da un abbandono della moneta unica. Conviene, a tutti.